(In margine alla mostra Arte della Resistenza, Fondazione Corrente, Milano, 15 aprile – 10 luglio 2025)
Dove siete, partigia di tutte le valli,
Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?
Molti dormono in tombe decorose,
quelli che restano hanno i capelli bianchi
e raccontano ai figli dei figli…
Primo Levi, Partigia
Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono
chiusi alla luce
perché tutti li avessero aperti
per sempre
alla luce
Giuseppe Ungaretti, Per i morti della Resistenza
L’arte è un fatto etico, prima che estetico.
Mario Mafai
Nel 1944 la polizia fascista arrestò Mario De Micheli, figura centrale della critica d’arte del Novecento. Era accusato di aver nascosto nella sua casa di Sormano, in provincia di Como (dove era sfollato negli anni della guerra), ebrei e “criminali” politici, per poi aiutarli a raggiungere la Svizzera. Il suo nome, insieme a quello della moglie Ada, è segnato sul Muro del Giardino dei Giusti di Gerusalemme. Arrestato, riuscì a sottrarsi alle accuse, aggravate peraltro anche dal ritrovamento, nel suo studio, di una traduzione del poema Marcia Trionfale – Coriolano di T. S. Eliot, nella quale era riportato un lungo elenco di armi di ogni tipo, interpretato dalla polizia fascista come prova del suo aiuto alla lotta partigiana. In effetti De Micheli partecipò in modo diretto alla lotta contro il nazifascismo, ed è figura chiave nel definire l’arte della Resistenza. Era nato a Genova nel 1904, e nel 1938 si era trasferito a Milano entrando nel movimento “Corrente” appena questo si era costituito, nel 1939 : un movimento artistico-culturale che fu punta avanzata dell’antifascismo italiano, a cui aderirono intellettuali, filosofi, letterati, poeti, registi cinematografici e teatrali, pittori e scultori (tra cui il giovane Guttuso), convinti della natura profondamente etica dell’arte. Il celebre dipinto Guernica di Picasso fu eletto a modello insuperabile di arte rivoluzionaria e di denuncia sociale. Scriveva Ennio Morlotti, altro pittore del gruppo: “Con Guernica abbiamo cominciato a voler vivere, a uscire di prigione, a credere nella pittura e in noi, a non sentirci soli, aridi, inutili, rifiutati; a capire che anche noi pittori esistevamo in questo mondo da fare, eravamo uomini in mezzo agli uomini, dovevamo ricevere e dare”.

Il primo libro di De Micheli, uscito nel 1942, era proprio dedicato a Picasso : qui il critico sviluppava la sua interpretazione politico-civile del grande pittore spagnolo, e presentava per la prima volta in Italia una serie di disegni preparatori per il “Bombardamento di Guernica”, che ebbero naturalmente grande influenza sugli artisti di “Corrente”. Il volume superò le maglie della censura fascista, ma la sua seconda edizione fu sequestrata. Alla fine della guerra, divenuto anche critico d’arte ufficiale de “L’Unità”, scrisse la prefazione al Diario di Gusen dell’amico pittore Aldo Carpi, reduce dall’omonimo campo di sterminio, il quale anche grazie alla campagna promossa dallo stesso De Micheli poté tornare a dirigere l’Accademia di Brera. Molti i libri sulla Resistenza usciti dalla sua penna: Uomini sui monti, VII G.A.P., Barricate a Parma“…
Il celebre critico si dedicò anche a raccogliere disegni sul tema della Resistenza, realizzati da numerosi artisti che alla Resistenza avevano in qualche modo partecipato personalmente, e che quindi condividevano con lui idee e convinzioni politiche. La collezione che venne a formarsi comprende disegni realizzati tra il 1941 e il 1945, testimonianze dirette di un’epoca di lotta e di trasformazione culturale. Opere di Anzil (Giovanni Toffolo), Vinicio Berti, Renato Birolli, Aldo Borgonzoni, Aldo Carpi, Bruno Cassinari, Fernando Farulli, Giansisto Gasparini, Renzo Grazzini, Rolando Hettner, Ibrahim Kodra, Vittorio Magnani, Alfredo Mantica, Quinto Martini, Luciano Minguzzi, Ennio Morlotti, Giuseppe Motti, Gabriele Mucchi, Giovanni Paganin, Armando Pizzinato, Pino Ponti, Pippo Pozzi, Franco Rognoni, Aligi Sassu, Ampelio Tettamanti, Eugenio Tomiolo, Ernesto Treccani e Tono Zancanaro. Si tratta di scene di guerra, persecuzioni, azioni partigiane, critica sociale e politica, con al centro il dramma umano delle vittime, fino alla rappresentazione dei momenti simbolici della Liberazione.



Erano per De Micheli non solo una collezione di opere d’arte, ma un insieme di immagini nelle quali riconoscere se stesso, la propria storia e quella di chi aveva condiviso con lui anni di vita alla luce dello stesso ideale di ribellione alla dittatura e di ricerca della libertà. Il carattere particolare di questi lavori venne del resto colto con precisione dallo stesso De Micheli che, nella presentazione della raccolta in una mostra tenuta alla Galleria La Melagrana di Milano nel 1970, scriveva : “Molti artisti avvertirono chiaramente che era in gioco qualcosa di più di una semplice innovazione del linguaggio. Avvertivano cioè che tutto l’uomo era in gioco, non soltanto il ribaltamento di un piano o il mutamento di un gusto. La Resistenza chiamava l’artista a trasformare se stesso e a trasformare di conseguenza la sua arte.”
Poco tempo prima di morire, Mario De Micheli decise di donare la sua biblioteca di trentamila volumi, e la stessa collezione di disegni della Resistenza al Comune d’origine della madre, Trezzo sull’Adda, dove scelse di essere sepolto. La collezione – 68 opere su carta conservate presso il museo della Permanente di Milano – è oggi protagonista della mostra organizzata dalla Fondazione Corrente di Milano in occasione dell’80° anniversario della Liberazione: Arte della Resistenza. Colpisce molto, di queste opere, in prima istanza la cronologia, che, tranne in pochi casi, occupa gli anni della guerra e della lotta partigiana. Tutti disegni che all’epoca sarebbero stati considerati “illegali”, inizialmente concepiti come strumento per fermare sulla carta un’idea scaturita da una tragica esperienza di vita, e trasformatisi in preziose testimonianze storiche, oltre che artistiche, capaci di restituirci all’istante lo stato d’animo dei loro autori, la loro condizione emotiva, e insieme la coscienza profonda e il senso di partecipazione esistenziale ed etica al progetto di rivolta contro il fascismo.
Si tratta di riproduzioni perlopiù espressionistiche della disperazione e dell’umiliazione, della violenza e dei cadaveri da essa generati, di esecuzioni, grida e silenzi, di interrogatori e torture: una rappresentazione macabra del fascismo, di un incubo che si fa reale e di una realtà che diventa mostruosa. La tragica plasticità dei bianco/neri di alcune opere, o l’intenso cromatismo di altre, sono la cifra stilistica di artisti che danno forma a un’arte fedele a una realtà bruciante, lontanissima da ogni forma di sperimentazione astratta.



All’origine, la matrice del vero che affonda le sue radici nei modelli del realismo francese (Courbet, Delacroix, Géricault), e ancora più indietro, nel protoespressionismo del Goya de I disastri della guerra e delle Fucilazioni del 3 maggio 1808. Ma si avverte anche la necessità di rendere visibile la violenza, il sangue, la crudeltà della guerra, attraverso il ricorso a tecniche e stili che rimandano alle Avanguardie del primo Novecento, espressionismo e cubismo, soprattutto, con l’esperienza multiforme di Picasso: oltre Guernica, le sue “strisce” Sogno e menzogna di Franco, che alimentano le oniriche visioni di Tono Zancanaro nelle illustrazioni di La nostra patria è in pericolo e Gibbo (1937-’45)


Un’arte – secondo la concezione di “Corrente” – visivamente aggressiva e contenutisticamente antifascista. Uno stile quasi cronachistico, dunque – seppure frequentemente surreale e visionario – che ha il fascino dell’appunto visivo abbozzato all’istante, magari con mezzi di fortuna, prima che sfugga l’immagine, e con essa l’emozione pungente. Si comprende immediatamente che lo scopo è quello di creare immagini capaci di arrivare a chiunque, di scuotere dal torpore, dall’assuefazione alle ingiustizie e alla violenza, alla privazione della libertà. Un’arte di chiara denuncia sociale, che mira a rappresentare il dolore degli oppressi. Un’arte di partigiani – artisti e critici – che si muove di pari passo con la loro esperienza personale. Impossibile separarla dall’antifascismo, dall’avvento dei regimi in Europa, dagli orrori della guerra, dalla politica dello sterminio e dall’esperienza dei lager nazisti…Del resto inquietudini, premonizioni, ossessioni nella forma e nei contenuti pittorici non erano mancati nel corso degli anni ’20 e nei primi anni 30, alimentate dalla violenza delle classi dominanti e dal presagio di una catastrofe prossima ventura. Con la retorica guerrafondaia e il mito della modernità che prometteva guerre con un’efficienza distruttiva mai vista, nessuno dubitava che sarebbe presto arrivata. L’avrebbe rappresentata con estrema efficacia Mirko Basaldella, scolpendo il cancello del Mausoleo delle Fosse Ardeatine, luogo dolorosamente celebre in cui si commemorano 335 italiani catturati a Roma e portati nelle cave di via Ardeatina, e lì trucidati. Basaldella non raffigura un momento contingente, ma dà lo spunto per una riflessione universale e sempre attuale: un groviglio di figure e di linee, che rimandano a corpi risucchiati nel vortice irrazionale della violenza e, allo stesso tempo, quasi in tensione verso ciò che resta di umano in tutti loro.

In alcuni disegni della raccolta De Micheli il tema del martirio, del sacrificio di partigiani e civili rinvia a matrici religiose, e assume le sembianze tradizionali di Crocefissioni, Deposizioni di Cristo e Pietà. Tra il 1940 e il ’46 Sassu e Guttuso, poi Manzù e Gentilini, riprendono il tema del supplizio di Cristo, lo stesso utilizzato da Chagall nel celeberrimo Résistance. E ci sono anche il Cristo percosso di Aldo Borgonzoni e il Cristo deriso di Carpi, o La pietà di Bruno Cassinari.


E ci sono gli uomini ridotti a impressionanti figure spettrali dalla vita del campo di sterminio, dalla disciplina massacrante, dal dolore lacerante, dalla fame senza fine, come nei disegni di Aldo Carpi, deportato a Mauthausen e a Gusen. Liberato, rientra a Milano nel 1945 e scrive: “Attraverso questo passaggio oscuro, attraverso questa atmosfera di dolore e di terrore, ora guardo alla vita come a una nuova primavera”.

Gli fa eco Aligi Sassu, altro protagonista della raccolta De Micheli, e autore di uno dei più celebri dipinti che immortalano l’atmosfera tragica di quei terribili anni :
“Ho dipinto I martiri di Piazzale Loreto nell’agosto 1944, subito dopo aver visto il ludibrio che la canaglia repubblichina faceva dei corpi dei nostri fratelli. Eppure vi era in me, nel fuoco e nell’ansia che mi agitava, nel cercare di esprimere quello che avevo visto, una grande pace e non odio, ma una tristezza immensa per la lotta fratricida. Da quei corpi sanguinanti e inerti sorgeva un monito: pace, pace.”

(Le immagini dei disegni di Vinicio Berti, Aligi Sassu, Alfredo Mantica, Anzil Toffolo, Bruno Cassinari, Ennio Morlotti Tono Zancanaro, Giansisto Gasparini, Ibrahim Kodra sono tratte dalla cartella stampa realizzata dalla Fondazione Corrente per la mostra Arte della Resistenza; quella del disegno di Aldo C arpi è tratta dal sito dei Beni Culturale della Regione Emilia Romagna (Museo del Deportato, Carpi (Modena)
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