Originariamente, questo articolo doveva essere una semplice recensione su di un film, No Other Land, che volevo segnalare e che, a mio parere, è necessario andare a vedere non solo perché premiato con l’Oscar per il miglior documentario, ma soprattutto per la tematica presa in considerazione. Tutta questa riflessione è venute prima che, ad un mese di distanza dalla notte dell’Hollywood Theater, uno dei quattro registi del film, Hamdan Ballal, venisse arrestato, il 24 marzo, e sottoposto a maltrattamenti durante la detenzione ad opera della polizia israeliana. Questo atto intimidatorio, compiuto in appoggio ad un gruppo di circa venti coloni israeliani (cioè abitanti di insediamenti illegali in Cisgiordania) che avevano circondato e lanciato pietre contro la casa di Ballal che si trova ad una decina di chilometri a sud della città palestinese di Hebron, nei pressi della zona di Masafer Yatta, il piccolo villaggio la cui storia di resistenza pacifica viene ricostruita dal documentario.
Come in questo ripugnante caso di cronaca, prassi quotidiana in quella zona della Palestina, anche nel corso del film vengono testimoniate le vessazioni commesse sia dall’esercito, sia dai civili israeliani nei confronti di una popolazione inerme che si oppone, con il solo utilizzo della propria resistenza non violenta, all’espropriazione delle sue terre senza altro motivo ufficiale che quello di trasformarle in area militare. In realtà, come viene ampiamente documentato dai quattro registi, due palestinesi e due cittadini di Israele, tutto questo viene operato in appoggio alle operazioni di occupazione abusiva che i coloni ebrei compiono inesorabilmente da decenni nei territori che dovrebbero essere riservati alla popolazione palestinese.
Quest’ultima, senza cedere alla provocazione quotidiana delle armi, delle ruspe che distruggono le case, delle incursioni violente, durante le quali non di rado restano feriti, anche gravemente, gli abitanti del luogo, quest’ultima dicevo, continua a resistere con l’unico strumento che queste persone possono utilizzare: restare inamovibili col proprio corpo, a rischio della propria incolumità, di fronte ad ogni affronto alla loro dignità. E con somma dignità e rigore documentaristico, senza indulgere a patetismi che avrebbero danneggiato l’opera, No Other Land racconta questa preziosa, seppur dolorosa, storia di attaccamento alle proprie radici e soprattutto al senso di giustizia, mostrandoci tutta la sconcertante semplicità con cui ci si può opporre a chiunque voglia strapparci di mano anche quei pochi strumenti di sussistenza per una vita decorosa.
Personalmente, ho assistito alla proiezione durante un evento organizzato da MSF nella mia cittĂ , Macerata, ed al termine le luci in sala hanno svelato una profonda commozione scaturita dalle immagini, in piĂą momenti anche crude, che ci hanno trasportato per due ore sulle scabre colline della Cisgiordania, mostrando quanto l’atteggiamento neocoloniale di una cultura di formazione occidentale sia oppressivo nei confronti di un popolo che abita quei territori da millenni e che null’altro vorrebbe se non vivere pacificamente. Il tentativo di conciliazione passa necessariamente dal riconoscimento reciproco delle peculiaritĂ  e delle istanze di ciascuna delle componenti etniche della Palestina attuale, e di questo processo sono esempio plastico e non stucchevole due dei registi che si stagliano come protagonisti  in primo piano in No Other Land: Basel e Yuval, palestinese ed israeliano, coltivano tenacemente la loro amicizia riflettendo senza ipocrisie sulle criticitĂ  e conflitti scaturiti dalle opposte posizioni dei rispettivi organi politici. Solo da questa volontĂ  ferrea di parlarsi e riconoscersi germoglia quella resistenza tenace che da anni funge da unico scudo agli abitanti di Masafer Yatta e che li tiene radicati a quella che resta l’unica loro scelta, l’unica loro terra.

Precedente:
Successivo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarĂ  pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *