La nazione non è ora più considerata come lo storico prodotto della convivenza di uomini che, pervenuti grazie ad un lungo processo ad una maggiore unità di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana; è invece divenuta un’entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possano risentirne. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente minacciato dalla potenza degli altri e considera suo «spazio vitale» territori sempre più vasti, che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza, senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquetarsi che nella egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti. (p. 13)

Come vediamo sin dalle prime pagine, il Manifesto di Ventotene contiene osservazioni che si attagliano perfettamente all’oggi: nazioni che pensano solo “alla propria esistenza e al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno” che fanno alle altre, volontà di dominio di chi  “considera suo spazio vitale territori sempre più vasti”.

Il quadro che viene tracciato nel Manifesto di Ventotene continua ad essere applicabile anche all’oggi: lo stato mette in campo “tutte le facoltà per massimizzare l’efficienza bellica”, i periodi di pace sono considerati semplicemente come “soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive”, la volontà dei ceti militari  rende sempre più difficile “il funzionamento di ordinamenti politici liberi: la scuola, la scienza, la produzione, l’organismo amministrativo”, i bambini vengono educati fin dalla più tenera età “all’odio verso gli stranieri”, “le libertà individuali si riducono a nulla”, le guerre costringono ad “abbandonare la famiglia, l’impiego, gli averi, ed a sacrificare la vita stessa per obbiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore”; “decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo” vengono azzerati (p. 15).

Suscitare guerra per “obiettivi che nessun comprende”, totalmente lontani dal sentire delle persone. Lucida nel manifesto la denuncia della strategia della razza per fomentare l’odio:

“Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza, e le più elementari nozioni storiche ne facciano risultare l’assurdità, si esige dai fisiologi di credere, dimostrare e convincere che si appartiene ad una razza eletta, solo perché l’imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare nelle masse l’odio e l’orgoglio”. (p.24-25)

Chiara la visione di un mondo globalizzato che non può essere imbrigliato in vincoli fittizi:

A causa della interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo

che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà moderna è tutto il globo; (p. 25)

Il manifesto di Ventotene mette in guardia da chi si presenta come sostenitore “della libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere” per conservare il suo potere:

“Le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati, si proclameranno amanti della libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuate dietro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati, convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovranno fare i conti” (p.47).

Il Manifesto di Ventotene individua nel nazionalismo il tarlo che porta al conflitto:

“Ciascuno stato di nuovo riporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza delle armi. Compito precipuo tornerebbe ad essere a più o meno breve scadenza quello di convertire i popoli in eserciti. I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti a profittare delle autarchie (…). Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzirebbero in un nulla, di fronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra.

Come sembrano rispecchianti la situazione attuale queste parole: “convertire i popoli in eserciti”, “prepararsi nuovamente alla guerra” sono le parole d’ordine che risuonano ancor oggi alle nostre orecchie. (p.49)

Compare già nel Manifesto di Ventotene la piena consapevolezza dell’inerzia delle Nazioni Unite, che sperimentiamo oggi nei conflitti in corso:

È ormai dimostrata l’inutilità, anzi la dannosità di organismi sul tipo della Società delle Nazioni, che pretendeva di garantire un diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni, e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti.

La direzione che indica il Manifesto è quella dell’abolizione degli eserciti nazionali e delle autarchie economiche:

“costituire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari; abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l’autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli” (p.57).

Il manifesto rivendica l’assoluta specificità del pensiero e del movimento federalista distinguendolo dalle altre forze progressiste, con le quali però intende instaurare una positiva collaborazione: 

Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che han saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà saper collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, e in genere con quanti cooperino alla disgregazione del totalitarismo; ma senza lasciarsi irretire dalla prassi politica di nessuna di esse (p.47).

Dalla Federazione europea discende la pacifica cooperazione tra i popoli. Il pensiero si spinge fino ad auspicare una Federazione di tutti i popoli della terra, una “unità politica dell’intero globo”:

“Bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo” (p. 55).

Il nuovo organismo (…) sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa. (…) Per costituire un saldo stato federale, basta che ci siano “nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò”, (…) poiché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera. (…) Sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi: del MOVIMENTO PER L’EUROPA LIBERA ED UNITA

Se letto con attenzione il Manifesto non prefigura affatto l’abolizione della proprietà privata, anzi al contrario si preoccupa che la statalizzazione dei mezzi di produzione possa nuocere all’economia, come di fatto si è verificato in Italia:

La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere (…) non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita. (p. 59)

La statizzazione generale dell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista; ma, una volta realizzata in pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia (p. 61).

L’interesse individuale, lo spirito d’iniziativa individuale non vanno negati, anzi “quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore opportunità di sviluppo e di impiego, e contemporaneamente vanno consolidati e perfezionati gli argini che le convogliano verso gli obbiettivi di maggiore vantaggio per tutta la collettività”. (p. 61)

La vita economica europea deve essere “liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale”. (p. 63)

Nel Manifesto troviamo una sorprendente anticipazione del reddito di cittadinanza:

“La solidarietà umana verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica, dovrà, per ciò, manifestarsi (…) con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio” (p. 67).

L’obiettivo da raggiungere è quello di “dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi, le libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto, e non solo formale, per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un continuo ed efficace controllo sulla classe governante”. (p. 69)

L’appello finale parte dalla presa di coscienza della crisi della civiltà europea e dalla chiamata a raccolta di tutti coloro che hanno a cuore l’elevazione dell’umanità:

“Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità (…) La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà! (p. 81)

Per le citazioni del testo Per un’Europa libera e unita (noto come Manifesto di Ventotene) ho utilizzato l’edizione pubblicata nel 2017 dal Senato della Repubblica per gentile concessione dell’Istituto di Studi Federalisti “Altiero Spinelli” disponibile gratuitamente online in formato elettronico al sito www.senato.it/pubblicazioni.

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