
Tra le pagine di Auyán-tepui. Grotte alle origini del tempo. Coordinamento editoriale di Francesco Sauro, LA VENTA ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE EDITORE, 2025 Treviso
Un libro magico. Tra le pagine ti attraversano di colpo sensazioni così forti che ti vengono i brividi del panico, quelli che chiamerei dell’agorafobia più che della claustrofobia, anche se è dal territorio di sotto che si scatenano i sensi, più che da quelle infinite distese verdi di sopra. No, i due termini sono comunque impropri, come ‘panico’ e la ‘fobia’ che contengono. Perché se lo smarrimento è davvero fortissimo, però attiene alla meraviglia, ad un’immensità difficilmente contenibile nella dimensione umana: immensità vertiginosa di spazi larghi che replicano all’infinito l’orizzonte, di abissi che vanno dentro e dentro e più a fondo degli sprofondi immaginabili, di antri e cavità così vasti da figurare una realtà, di una bellezza novissima stupefacente di colori e forme; ma soprattutto immensità sentita, palpata da chi, dentro al suo ‘attimo’, intuisce il quasi ‘sempre’, il quasi ‘eterno’.
Il ‘cratone’, per gli ignoranti (non offensivo, ma alla lettera del nonsapere) come me, è un’estensione di territorio tra i più antichi della crosta terrestre, molto solido, fisso, duraturo, che si è formato miliardi di anni fa, in genere composto da uno “scudo” di rocce antichissime, ricoperto da un mantello, “tavolato”, di rocce più recenti delle sottostanti. Ce ne sono vari sparsi per il globo, sopravvissuti alla deriva dei continenti, capaci di resistere alle scosse telluriche in tutte le direzioni. Qui ci interessa quello denominato ‘cratone dell’Amazzonia’, formatosi da 3,8 a 1,6 miliardi di anni fa, con uno spessore che arriva anche a 3 chilometri, che si estende fra il sud-ovest del Venezuela (la zona della regione di Bolìvar, del Territorio Federeale Amazonas, della Gran Sabana – sono minuziosa, perché tanti turisti ci sono andati, magari inconsapevolmente o quasi come me), l’est della Colombia, il nord del Brasile, la parte alta della Guyana. Lì, prima c’era una catena di montagne che attraversava il territorio amazzonico di oggi. La parte più recente del mantello è come cemento: i quarzi sminuzzati dall’erosione millenaria si sono conficcati nelle varie fessure delle rocce, colmandole e rendendole resistentissime. Qua e là, ma noi restiamo nella parte venezuelana, scattano in su dalla foresta pluviale o dalla savana i tepui. Cos’è un tepui?
Quand’ero più giovane, alla fine di una poesia in cui lo avevo nominato, a “postilla” dicevo: “che poi solo io sappia cos’è un tepui / non toglie a quel lontano la sua perla”, che mi piaceva assai tenere chiusa nel mio palmo. Anche adesso, che devo rivelarvelo, mi sembra di aprire uno scrigno – e un pochino mi dispiace – tanto per me sono meravigliosi e straordinari e misteriosi e gelosamente miei.
I tepui sono quanto resta di montagne antichissime (centinaia di milioni di anni); in genere sono costituiti da strati di arenaria risalente a 1,6 miliardi di anni fa. Svettano di colpo da una zona piana d’intorno i più giovani, diritti e tondi come cilindri spesso, altri hanno forme più articolate, degradano più dolcemente alla foresta, tutti comunque lì da quando la Pangea si divise e la grande acqua dell’Oceano Atlantico si mise in mezzo tra l’Africa e l’America del Sud. Sono percorsi al loro interno da grotte tra le più vaste e antiche (da 30 a 40 milioni di anni) del globo, perché il quarzo minerale, di cui sono in gran parte composte, è quasi del tutto incorruttibile dall’erosione: offrono squarci di bellezza sconvolgente e inaudita, ambienti che raccontano direttamente geologie e biologie dei tempi dell’inizio, ad esempio forme di vita uniche nel pianeta e a volte rimaste intatte dalle forme originarie, primigenie, come i guaciari (Steatornis caripensis): sono uccelli dotati della vista notturna più acuta di tutta la fauna esistente oggi, e di un sistema di orientamento simile a quello dei pipistrelli; sono comparsi nella notte dei tempi (pare da 5 milioni di anni, per comparazione con ritrovamenti fossili), non hanno nessuna parentela con gli uccelli attuali; nella grotta di Imawan-Yeutà fanno il nido a terra e non alle pareti, per la sicurezza di non correre pericolo di predatori: una specie decisamente longeva e fortunata! Sulle cime dei tepui, a volte come altipiani, a volte con ulteriori picchi fino a notevoli altezze, ci sono spesso le simas, piccole, medie, enormi voragini, veri abissi in molti casi, a forma cilindrica o come grandi serpeggianti crepe, quasi sempre ‘vegetate’ (termine imparato dal libro!) finanche a 300 metri sotto. Pochi i tepui esplorati almeno in parte e in tempi recentissimi, molti quelli inviolati. Anche le popolazioni locali li hanno affrontati poche volte o mai, considerandoli sacri e dimore di spiriti. Le spedizioni che recentemente li hanno varcati hanno dovuto munirsi delle conoscenze più varie, dai biologi agli attrezzisti, dai geologi agli alpinisti, e delle tecniche più sofisticate, nonché di notevole esperienza e disponibilità all’imprevisto, all’impensato. In questo libro ci sono resoconti da brividi molto più urticanti dei gialli e dell’horror, anche se apparentemente trattano solo di ganci da conficcare nel quarzo.
La Venta è un’associazione italiana di Esplorazioni Geografiche – aggiungerei: Ardite (tra cui quelle di ‘filogrotteri’ – mi perdonino i coraggiosi subterranei il termine scherzoso che vorrebbe soprattutto evidenziare la passione per le caverne ) che progetta e organizza spedizioni finalizzate ad esplorare siti geografici e speleologici in “aree remote e di difficile accesso” del pianeta: lo dicono proprio loro, presentandosi così subito per la passione e per lo spirito di ‘scavezzacolli’ temerari ma consapevolmente organizzati che li caratterizza. È dal ‘92 che si preparano, con un percorso di conoscenza pratica progressiva, insieme a gruppi analoghi venezuelani, ultimo dei quali il gruppo Theraphosa, ad esplorare l’Auyán-tepui e il sistema di grotte dell’Imawarì-Yeutà (Casa degli dèi, in lingua Pémon). E questo magnifico libro, intitolato Auyán-tepui- Grotte all’origine del tempo, coordinato da Francesco Sauro, edito nel 2025 dalla stessa La Venta che si è organizzata anche come casa editrice, ne è il resoconto. Molto accorta e precisa la presentazione tecnico-scientifica, nonché la descrizione, spiegazione dei reperti minerali, vegetali, animali, con accurata illustrazione cartografica –mappe, piante e profili topografici –, ma, non meno essenziali, i vari racconti dei protagonisti in momenti davvero particolari delle spedizioni, compreso il blues in grotta, e le leggende del popolo Pémon, ed i nomi fantastici da Isola che non c’è peterpanesca: Universo del Silenzio, Laguna del Drago, Terra dei Vulcani, Abisso del Vento, Agorafobia (giuro!).
La fotografia non solo superba, ma capace in 21 x 29,8 cm di rendere quell’immensità di cui parlavo all’inizio. Ho apprezzato soprattutto la tecnica con cui le immagini acchiappano i sensi e li portano dove è quasi come essere lì: sbirciare, magari da un angolo pertugio, un’enorme vastità, che si fa esplorare da un capo all’altro, finché non distingui tra le rocce un segmentino verticale e t’accorgi, a fissarlo bene, che è un uomo: e allora zoom! di colpo tutto si espande e sei in mezzo all’infinito sottoterra. Oppure sull’orlo di una sima, rotonda come un pozzo, tutta verde luminoso intorno e poi, dentro, le pareti sempre più verde scuro fino ad un nero indecifrato, misterioso, senza fiato. Oppure a volo sull’infinito mare verde della foresta coi tepui che sbucano fuori come a respirare e di colpo ti accorgi sull’orlo di un ritaglio d’ala dell’aereo: eh sì!, ti senti davvero sospeso lì nell’aria, meccanico miracoloso insetto alato, ma dentro la naturaleza. E poi le meraviglie della grotta: dal salone di Paolino Comettini, il più grande: mezzo milione di metri cubi!, alle cascate di luce dai pozzi, alla marmitta incandescente di lava che è solo una gran pozza d’acqua colorata di fuoco, ai gessi che si esibiscono in sottili aghi di luce cristallizzata o in tonde spugne dai corti aculei o in svettanti divaricate esplosioni di getti luminosi. Lì, dove anche minuscole stalattiti richiedono milioni di anni per pendere di pochi centimetri, i coralloidi di opale formano grosse solide colonne; ma, anche, da rocce spuntano in mazzetti di fiori come viole, oppure sporgono mammelliformi, maternali, dai soffitti, quando non sbucano su dai pavimenti a perfetta imitazione di funghi porcini. Ci sono soffitti a lavorazione di merletti e intarsi geometrici e arabeschi alla maniera di muqarnas o di Gaudì; ci sono mineralizzazioni su pareti che sembrerebbero grandi foglie tracciate da pittori impressionisti, ed enormi formazioni a termitai, formicai appese in alto, si dice per sconosciuti processi microbiologici. Poi ti svegli, sei di qua dalla pagina, hai solo appena avuto un incontro del terzo tipo. Con un pianeta alieno.
Che stiamo per distruggere. Anche qui. Ci avvertono gli scrittori del libro: tra i tanti attentati, soprattutto le miniere per l’oro e i diamanti si stanno sempre più avvicinando ai tepui e già nella Gran Sabana hanno fatto buchi antropocenici incolmabili. Io andai in Venezuela per trovare un amico che lì, nella Gran Sabana, aveva aperto una mina. Ho visto con i miei occhi cosa fa una mina, anche piccola come quella del mio amico. Ti si strizza il cuore per tutto quel mercurio e altre robacce che vengono dispersi nel terreno, così che, anche se poi si spostano e abbandonano il sito e in pochi anni la foresta torna, la foresta è malata, ha perduto tanti micro e macro organismi necessari al suo stato primigenio. Quella là di prima, delle origini, perduta per sempre.
Ogni informazione che qui ho dato, l’ho presa da questo libro, che consiglio vivamente a chi fosse interessato non solo alle grotte, ma ad un viaggio in un futuro Venezuela più sicuro di quello attuale, dove sono possibili alcune esperienze in luoghi limitrofi a quelli narrati dagli esploratori. Luoghi senza pericoli, come il centro d’accoglienza di Canaima, presso la bellissima cascata omonima, al centro di un parco nazionale dal 1962, ora di 30.000 km2, patrimonio dell’Umanità dal 1992; da cui partono escursioni in canoa a motore per Salto Angel, la cascata di più di 800 metri – si dice la più alta del mondo – che si butta dall’Auyàn-tepui nel Rio Churùn Merù, che affluisce al Carrao nel suo viaggio verso l’Orinoco. Ma sono possibili anche più brevi visite, con l’elicottero o il cessna, per grotte ‘facili’, comunque avventurose. In vari punti della Gran Sabana sono possibili escursioni guidate nella foresta, dove si incontrano piccoli corsi d’acqua con affioramenti di rocce dai tagli geometrici perfetti e dai colori stupefacenti, di quel genere che si suol dire ‘sembrano finti’.
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