Vive a Modena, dove è nato nel 1951 – Ha lavorato come insegnante all’Istituto Tecnico Enrico Fermi di Modena. Diplomato in regia cinematografica nel 1981 presso il “Centre de formation au cinema direct” di Parigi, presieduto da Jean Rouch, si è dedicato alla realizzazione di numerosi documentari e spettacoli teatrali fra i quali diversi musical (Jesus Christ Superstar, Cats, Hair, Il Re leone). Da giornalista scrive periodicamente sul settimanale Tempo edito anche on-line da Radiobruno (Carpi- Modena).

A prova di errore è un film di Sidney Lumet del 1964 che ho incontrato sulla via della cinefilia quando ero un curioso adolescente. Mi piaceva il cinema, ci andavo anche due volte a settimana: la domenica nelle numerose sale di prima visione di cui Modena era magnificamente dotata e il martedì al cineforum dell’ARCI. La cosa che ancora oggi mi sorprende è che i film che mi piacevano non erano quelli “adatti” a un sognante giovincello, ma, pur non trascurando le commedie, i musical o i kolossal hollywoodiani, io volevo vedere i film dei grandi, quelli che mi parlavano del mondo, delle persone vere coi loro problemi e difficoltà esistenziali. Ero ansioso di crescere. Non amavo le favole e attraverso il cinema scoprivo la realtà che mi circondava e che mi aspettava. Eravamo in piena guerra fredda, il mondo era diviso in blocchi, e io ne conoscevo già i termini, vivevo come tutti, ottimisticamente speranzoso, nell’equilibrio del terrore. Ottimismo non proprio condiviso da questo Fail-Safe (titolo originale) che traduceva in immagini il romanzo omonimo di Eugene Burdick e Harvey Wheeler. Nel quadro realistico dove le due superpotenze di allora, gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica si fronteggiavano schierando ognuna la propria potenza nucleare, il racconto fanta-politico ipotizzava che per errore una bomba atomica americana colpiva Mosca. Per convincere i russi a non effettuare una rappresaglia che avrebbe innescato una guerra totale il presidente americano al telefono con quello russo, lo rassicura che si è trattato veramente di un errore e che avrebbe fatto bombardare New York per pareggiare il conto. Svelata la trama di quella catastrofica ipotesi cinematografica veniamo al film attuale di Kathryn Bigelow presentato alla recente Mostra di Venezia: A house of dynamite. Fuor di metafora la casa a rischio esplosione perché piena di dinamite è l’intero mondo nel quale ci troviamo a sopravvivere. Succede infatti che improvvisamente i sistemi di allarme, di controllo e difesa intercettino un missile nucleare, partito non si sa da dove, che entro circa 19 minuti, con poco margine di errore, potrebbe andare a schiantarsi su Chicago col suo carico distruttivo. Il film comincia citando proprio A prova di errore con una scena domestica in cui una funzionaria americana lascia la famiglia per recarsi al lavoro nella “situation-room”, struttura adibita alla sicurezza degli Stati Uniti. Seguiamo quindi per circa un terzo del film tutto quello che succede nel claustrofobico ambiente. E ne capitano davvero tante tranne la più sperata, quella necessaria a individuare il luogo di provenienza dell’ordigno e di conseguenza chi l’abbia lanciato. In poche parole non si sa chi è il nemico. Poi si passa ad altri punti di osservazione, disseminati qui e là sul pianeta e naturalmente alla Casa Bianca e al Pentagono per rivivere gli stessi angoscianti 19 minuti. La struttura articolata sullo stesso arco temporale mostrato più volte dalle diverse prospettive non è nuova al cinema ma resta sempre piuttosto interessante perché permette di sviscerare il progredire della storia fin nei minimi particolari. Le tre sequenze non rispettano il tempo reale, cioè 19 minuti, ma dilatano e comprimono il tempo cinematografico come una moviola minuziosa e amplificatrice del clima di tensione e di suspence della visione, permettendo ogni sottolineatura dello stato psicologico dei personaggi che agiscono, rallentano e accelerano decisioni e indecisioni nella loro evidente impotenza, così da prolungare l’attesa del pubblico per l’agognata soluzione. C’è un nemico subdolo che non si mostra se non attraverso quel missile anonimo, e per questo ancor più pericoloso, diretto a minare la “tranquillità” e la sicurezza di chi quotidianamente si sente protetto nella sua fortezza occidentale fin nel buio di una sala cinematografica.
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