Nato a Concordia (MO) nel 1944, vive e opera a Castelfranco Emilia (MO), come scrittore, vignettista, illustratore, organizzatore di eventi culturali. È stato il responsabile di Edizioni Rossopietra. Tra le sue numerose pubblicazioni: Il sommesso viaggiatore, poesia (Incontri Editrice, 2008), Fulet/folletti, poesia (Rossopietra, 2012), Rosso di sera, romanzo (Incontri Editrice, Sassuolo 2009), La luna innamorata, filastrocche illustrate (Rossopietra, 2010), FUMUS PERSECUTIONIS (Rossopietra, 2021), vignette satiriche.
Forug nasce a Teheran, il 15 day 1313 (5 gennaio 1935) da una famiglia benestante di media borghesia. Trascorre un’infanzia felice, come ricorderà con nostalgia in molte poesie. Frequenta il liceo Kosro Kavar di Teheran, dove si iscrive al corso di pittura. Ama le lezioni di geometria, ma odia quelle di componimento, non perché non ami scrivere, ma in quanto scrive “troppo bene” per la sua insegnante che la accusa di copiare dai libri. Le piace la lezione di cucito, perché, dopo, “scrivo meglio le mie poesie”, afferma. Comincia a leggere e scrivere poesie a 13 anni, soprattutto in ghazal, la principale forma classica della lirica persiana, che tratta principalmente di amore (tema preferito di Forug), mistica, primavera e vino. Sono ancora poesie giovanili, quasi un divertimento (“specialmente quando mi stancav o di pulire la verdura”). Si sposa sedicenne con Parviz Shapur e dopo un anno nasce il suo unico figlio, Kamiar. Ma presto si accorge “che il tempo della speranza nella fedeltà dello sposo / era sprecato, sprecato” e che il matrimonio è una prigione dalle “fredde e scure sbarre”, soprattutto per l’atteggiamento dispotico della famiglia del marito che avversa duramente le sue poesie “scandalose” perché parlano liberamente dell’amore. La conseguenza non può essere che il divorzio nel 1331 (1953), la cui sentenza è atroce: non potrà più rivedere il figlio. Oltre alla sofferenza della separazione, si aggiunge la preoccupazione per il futuro giudizio di Kamiar, che solo in parte attenua con la speranza che, da adulto, potrà conoscerla “veramente” e non come l’”hanno sporcata” nella “sua purezza con infami storie”. Almeno questo si avvererà, quando Kamiar confiderà al fratello adottivo Hosein, in Inghilterra: “Ho conosciuto mia madre nelle sue poesie”. Tornata presso il padre a Teheran dopo il divorzio, ha una breve e intensa relazione con Nader Naderpur, che la segnerà in modo profondo la sua poesia. A 17 anni (1331-1953) pubblica la sua prima raccolta, Prigioniera e a 21 Il muro. Le due raccolte sorprendono il mondo letterario per la loro originalità, ma scatenano anche la reazione dei benpensanti e dei conformisti: i “miopi”, li chiama lei. Non si lascia intimorire e continua a scrivere coraggiosamente come sente e come pensa, nonostante la contrastino fino alla disperazione. Fa un viaggio in Germania e in Italia; a Roma scrive alcune tra le poesie più appassionate e ribelli, come Il canto della bellezza e La ribellione di Dio. Nel 1336 (1957) pubblica Ribellione che segna una raggiunta maturità poetica, anche se le successive raccolte Rinascita (1341-1963) e Crediamo all’inizio della stagione fredda (1345-1967) segnano la più compiuta pienezza. Conosce bene l’italiano, l’inglese e abbastanza il francese. Traduce Santa Giovanna, tragicommedia di Bernard Shaw sulla sorte paradossale riservata ai santi ed eroi, e Colosso di Marussi di Henry Miller, senza però trovare sbocco nella pubblicazione. Si dedica anche all’attività cinematografica e al teatro. Nel 1337 (1959) frequenta in Inghilterra un corso sul cinema e al ritorno realizza il suo primo cortometraggio, Un fuoco, girato ad Ahvaz, in collaborazione con Sahrok Golestan, in cui racconta la lotta di una squadra di uomini per spegnere l’incendio di un pozzo petrolifero, e con il quale vince il primo premio per i cortometraggi al 12° festival di Venezia. Segue poi il film sul rito della richiesta di matrimonio in Iran, a cui partecipa anche come attrice, commissionato dall’Istituto Nazionale Canadese del Cinema. Nel 1340 (1362) dirige la terza parte del bellissimo film Acqua e calore, sull’ambiente umano e industriale di Abadeh. Nello stesso anno è aiuto regista di Ebrahim Golestan nel film L’onda, il corallo, il riccio. Torna quindi in Inghilterra per perfezionarsi nell’arte cinematografica. Nella primavera del 1341 (1963) si reca nel lebbrosario di Tabriz per conoscere quella realtà. Nell’estate successiva è ancora aiuto regista di E. Golestan nel film Il mare, in cui recita anche una parte importante. Tornata nell’autunno al lebbrosario per girarvi un documentario sulle misere condizioni di vita dei lebbrosi, non si sottrae ai contatti fisici e contro ogni tabù stringe rapporti di autentica solidarietà e amicizia con queste persone derelitte che vivono da recluse in condizioni disumane. Il documentario, La casa è nera, vince il primo premio al 10° festival di Oberhausen, riconoscimento che la porterà a essere stimata a livello internazionale. Scrive quindi un soggetto per un film sulla condizione della donna in Iran, che però non riuscirà a realizzare. L’anno dopo è ancora aiuto regista di E. Golestan nel film Il mattone crudo e lo specchio; quindi seguono viaggi in Germania, Italia e Francia. Nel 1344 (1966) l’Unesco realizza un documentario su di lei, per la sua arte e la sua vicenda umana. Bernardo Bertolucci la cita poi ampiamente nel film L’età del petrolio. Partecipa al 2° festival del cinema di Pesaro nel 1345 (1967), quindi accetta di recarsi in Svizzera per realizzare un film. Ma il 13 febbraio 1967 viene stroncata da un incidente stradale. Nello stesso anno in Inghilterra, Svezia, Francia, Germania viene chiesta l’autorizzazione a tradurre e pubblicare le sue opere.
Leggi l'articolo completo