Il cinema per sua natura non è neutrale. Il cinema sceglie cosa e come raccontare. L’insieme delle inquadrature che compongono un film selezionano spazi visivi e sonori. Mai come quest’anno questa riflessione è risuonata alla mente di molti affrontando una Mostra del cinema che si tiene in un contesto internazionale dove infuriano guerre e massacri e che non può restare neutrale di fronte ad eventi così tragici e drammatici. Quindi c’era molta attesa martedì 26 Agosto alla pre-apertura del Festival veneziano, rispetto a quanto i responsabili della manifestazione avrebbero dichiarato in proposito. Prima del magnifico documentario Origin di Yann ArthusBertrand che ha inaugurato le proiezioni, il presidente della Biennale Pierangelo Buttafuoco ha esordito leggendo un brano da Le Troiane di Euripide dove si racconta di una nonna che piange la morte del suo nipotino. L’allusione a quanto sta succedendo a Gaza dove lo sterminio di bambini (e non solo) è insopportabile e purtroppo quotidiano, era più che evidente. Poi per mantenere comunque una distanza e non sbilanciarsi troppo ha passato la parola a Don Nandino Capovilla, il sacerdote di Marghera bloccato all’aeroporto di Tel Aviv ed espulso da Israele il 12 Agosto scorso dalla cosiddetta “unica democrazia” del Medio Oriente. L’uomo dalla croce non ha usato i classici, ma la propria esperienza per affermare che “…non solo a Gaza, non solo dove governa Hamas, non dal 7 Ottobre 2023, ma prima e dopo, in tutto il Territorio palestinese occupato si sta compiendo un preciso disegno di pulizia etnica iniziato con la Nakba del 1948, un tassello di quel colonialismo di insediamento alla base del sionismo. Tutto questo poteva non essere, ed è. Può essere fermato e non lo stiamo facendo…”. Parole chiare applaudite con partecipazione e commozione. Parole che non possono essere smentite, che tuttavia echeggiano nel deserto del mondo politico che governa non solo il nostro Paese ma l’intero Occidente, sempre così attento alla difesa dei diritti umani e sempre pronto a impartire lezioni di democrazia e libertà e straordinariamente incoerente quando si tratta di     intervenire presso “governi” amici: montagne di sanzioni contro la Russia e nemmeno una verso Israele.

La Mostra è poi continuata, ma non come sempre. Sono stati molti gli interventi di attrici e attori che con gesti, segni anche solo simbolici, hanno denunciato il massacro fin sul red carpet del Lido. C’era quindi molta attesa per le decisioni della Giuria perché in concorso figurava un film espressamente riferito alla situazione palestinese: La voce di Hind Rajab della regista tunisina Kouther ben Hania. E un po’ salomonicamente il film ottiene il Gran premio della Giuria. Che è un riconoscimento importante ma non così coraggioso come l’Oscar assegnato dall’Academy statunitense al documentario No Other Land che testimoniava proprio un aspetto della pulizia etnica perpetrata dal governo israeliano per mano dei coloni e dell’esercito nei territori occupati della Cisgiordania, dove Hamas peraltro non c’è.

Ma torniamo al film in concorso. Il 29 Agosto 2024 i volontari della Mezza Luna Rossa palestinese (l’equivalente della nostra Croce Rossa), nella loro sede di Ramallah, a 83 chilometri dalla Striscia, ricevono una chiamata da una bambina di cinque anni, prigioniera tra le lamiere di un’automobile colpita mentre stava raggiungendo una zona sicura dopo l’ordine di evacuazione dell’esercito israeliano. Lei è l’unica sopravvissuta all’attacco dei militari e si trova a soli 8 minuti di strada dall’ambulanza più vicina. Il film è costruito intorno alla registrazione autentica delle ripetute richieste di aiuto della piccola Hind. E sullo schermo nero compare il segno grafico della registrazione. Il soccorso però deve essere autorizzato dall’esercito, per evitare che anche l’ambulanza venga colpita e sterminato il personale medico. Il centro di Ramallah dove gli operatori si attivano per portare a termine il salvataggio è il luogo della parte fiction del film, che si muove in uno spazio ristretto, dove l’effetto claustrofobico è amplificato dalla consapevolezza che è arduo e spesso impossibile fare uscire da quelle quattro mura anche solo una speranza di salvezza. Gli operatori telefonano, informano l’Autorità palestinese preposta, che a sua volta contatta le autorità occupanti israeliane, che poi interpellano l’IDF; poi le telefonate procedono in senso inverso, perché sono i militari che devono dare luce verde all’ambulanza che deve raggiungere la bambina. Si susseguono parole, litigi, speranza e disperazione, e non svelo niente di inedito se racconto che quando la luce verde finalmente arriva e l’ambulanza può partire, il suo tragitto, seguito su uno schermo computerizzato sarà complicato e comunque rischioso, perché le strade sono piene di macerie degli edifici bombardati e il fuoco dei soldati sempre attivo. La registrazione audio con l’ultima richiesta di Hind che grida disperata “venitemi a prendere” si interrompe a segnare la fine del soccorso perché anche l’ambulanza e i suoi occupanti, sono stati colpiti dallo stesso esercito che ne aveva autorizzato l’azione. Nel finale la macchina da presa esce in esterni a mostrarci i resti, le lamiere contorte, il silenzio sotto i colpi delle armi che hanno ucciso la voce di Hind Rajab. Il film verrà distribuito nel nostro Paese da I Wonder Pictures e vederlo non sarà solo un atto di solidarietà, ma la possibilità di prendere coscienza delle peripezie, delle vessazioni, dell’estrema brutalità e crudeltà di un conflitto impari contro una popolazione inerme che come la bambina vorrebbe solo poter vivere.

La regista tunisina ha dedicato il premio “alla Mezza Luna Rossa, a coloro che salvano vite umane a Gaza. Sono dei veri eroi e cercano di ascoltare le grida delle persone a cui nessuno risponde… il cinema ci dà coraggio. Lei (Hind) non c’è più ma la sua presenza è ancora qui… e risuonerà finché non ci sarà giustizia…”. Il film “…continua a dirci la storia di un intero popolo che sta subendo un genocidio inflitto dal regime israeliano che agisce con impunità.”

Ha lasciato un po’ stupefatti il Leone d’Oro assegnato al film Father mother sister brother di Jim Jarmusch.Perché si tratta di un film piccolo e minimalista, impeccabile se si vuole, interpretato magnificamente da un cast di prima grandezza distribuito con eleganza in tre divertenti e malinconici episodi. Il primo ci mostra fratello e sorella (Adam Driver e Mayim Bialik)che fanno visita al padre (Tom Waits). Dai loro discorsi intuiamo che non vanno molto d’accordo. Condividono invece l’impressione che il padre non navighi in buone acque. Nel secondo due sorelle (Cate Blanchett e Vicky Krieps) fanno visita alla madre (Charlotte Rampling) e di nuovo le due figlie viaggiano su frequenze diverse. La madre le invita per un tè con biscottini solo una volta all’anno. Insomma un altro quadretto famigliare davvero idilliaco. Nell’ultimo episodio sorella e fratello (Indya Moore e Luka Sabbat) sono gemelli, e finalmente si amano e si rispettano, ma sono orfani a causa di un incidente. All’interno di un appartamento ormai vuoto confrontano i rispettivi ricordi, ravvivano un legame davvero empatico. Tre città diverse fanno da sfondo: New York, Dublino e Parigi, ma restano fuori dalla porta e dalle finestre perché al regista interessano i tre gruppi di famiglia in un interno in cui figurano strani e coincidenti colori nel vestire, finti o veri Rolex e brindisi con bevande piuttosto insolite: acqua, thè e caffè. And Bob is your uncle! Come dicono gli inglesi, che capirete se andrete a vedere il film, distribuito da Lucky Red, annunciato per Dicembre. 

Il Leone d’Argento alla miglior regia è stato assegnato a Benny Safdie per The smashing machine.

È ispirato alla vera storia di Mark Kerr, mastodontico campione di MMA (Mixed Martial Arts) che tradotto è una lotta libera ai bordi del wrestling, interpretato dal gigante Dwayne Johnson. Per gli appassionati del genere sarà senz’altro godibile. Personalmente non l’ho trovato entusiasmante. Certo sul piano tecnico è filmato con puntuale maestria ma paragonato al mio ricordo del Leone d’oro 2008 The wrestler di Darren Aronofsky, sconta un leggero svantaggio. La macchina distruttrice si comporta come tale anche fuori dal ring con la sua forza e le sue fragilità, e questo è forse l’aspetto più interessante del film dove il personaggio femminile, interpretato da Emily Blunt ruba spesso la scena al protagonista.

Meritava certamente di più del Premio alla Miglior Sceneggiatura A pied d’oeuvre della regista francese Valérie Donzelli che è scritto naturalmente molto bene ma la sua traduzione audiovisiva arricchisce notevolmente il suo valore, anche grazie all’interpretazione accorata e tenace di Bastien Bouillon. Il film tratta una storia attualissima, che riguarda moltissimi giovani e no. Si segue infatti la vicenda di un fotografo di successo che abbandona la valutatissima professione per inseguire il desiderio di diventare scrittore. Lo incrociamo quando l’editore lo informa che il testo ricevuto non verrà pubblicato. Il giovane si ritrova così senza una fonte di guadagno e in più vive una separazione dalla moglie che lo priva anche della casa. Lui non demorde e individualmente si offre sul mercato precario del lavoro pur di racimolare la sopravvivenza. La regia segue il suo personaggio senza perderlo mai di vista, con misura e sensibilità. Con oggettività, ma senza trascurare l’inevitabile sofferenza fisica e affettiva di una esistenza spinta oltre i margini del benessere vissuto precedentemente.

La Giuria ha poi voluto riconoscere un Premio Speciale a Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi, documentarista già premiato col Leone d’oro nel 2012 per Sacro Gra. Spiace non poterlo al momento commentare perché l’algoritmo che ha governato le mie prenotazioni non mi ha dato la possibilità di assistere alla proiezione. Rimedierò su qualche schermo modenese. 

Sono rimasto invece molto soddisfatto dalla Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile al grande Toni Servillo, protagonista del film La grazia di Paolo Sorrentino. La sua presenza nei panni di un Presidente della Repubblica Italiana resterà memorabile tanto è precisa nel sottolineare forza e debolezza di politici d’altri tempi che trascinano nel presente più i difetti che i pregi. Ma ci sarà occasione di parlarne più a lungo in futuro.

La Coppa Volpi per la miglior attrice è andata alla cinese Xin Zhilei, protagonista di The sun rises on all us di Cai Shangjun, storiaccia di una donna responsabile di un incidente stradale in cui una persona rimane uccisa. Ma ad assumersi la colpa e a scontare la relativa condanna nel successivo processo è il suo compagno che le stava al fianco. La coppia torna ad incontrarsi quando l’uomo esce di galera dopo aver espiato la pena, e il film comincia. Senza nulla togliere alla bravura e al talento di Xin avrei preferito un riconoscimento a Valeria Bruni Tedeschi, eccezionale interprete di Eleonora Duse nel film di Pietro Marcello. Ma anche di questo riparleremo.

Per chiudere il cerchio sulla Mostra, a conclusione della cerimonia di premiazione il presidente della Biennale dopo aver dato appuntamento al prossimo anno ha rinunciato alla propria parola sull’attualità e l’ha ceduta al cardinale Patriarca di Gerusalemme, monsignor Pierbattista Pizzaballa e la voce della Palestina ha risuonato ancora.

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