
Sempre più, nei giorni tragici che viviamo, credo che un’azione necessaria e utile sia tornare alla voce di maestre e maestri che ci hanno preceduto e che hanno saputo dare luce a problemi, situazioni e storie che meritano riflessione e scelte anche oggi.
Tragici questi giorni non solo per le guerre che devastano il mondo, ma per quella nebbia che avvolge tutto e non lascia più distinguere il falso dal vero, il bene dal male e getta nel calderone dell’approssimazione e del qualunquismo ogni questione. Colpa dei media? Colpa della subdola prevaricazione del denaro? Di un gotha di potenti che manovrano il mondo e illudono, confondono e zittiscono ogni domanda, ogni cenno di interrogazione?
Non so rispondere. Mi confronto con amiche care e sapienti e temo sempre che anche il nostro parlare prenda la piega del modello maschile: bianco e nero, bisogna fare così, è giusto agire cosà, quello ha detto, quella ha fatto, dunque…
Non se ne esce (e non credo neppure che sia possibile uscirne).
Si parla tanto di comprensione, di ricerca delle ragioni, di necessità di conoscere, ma credo che prima di ogni cosa sia necessario avere qualche limpida linea in cui confidare e a cui affidarsi.
A dicembre ricorrono i cento anni dalla morte di Anna Kuliscioff che è stata certamente una presenza luminosa nel difficile tempo tra fine Ottocento e inizio Novecento. Forse oggi non tutto del suo pensiero può essere accolto, ma il modo con cui ha affrontato i temi cruciali del suo tempo, vale senza porre dubbio. È stata convintamente socialista, tanto da superare l’approccio politico anarchico di molti dei suoi compagni, fondatrice di quel partito che, nei suoi intenti, doveva tener conto dell’aspetto umano di ogni condizione, ignara della deriva di disprezzo che quell’idea avrebbe attraversato nel Novecento.
Nata a Cherson (Ucraina meridionale, guarda un po’) in data incerta tra il 1854 e il 1857, da una famiglia ebraica benestante, mostrò subito il suo spirito di indipendenza trasferendosi in Svizzera per gli studi di filosofia e poi di ingegneria. Conobbe qui Andrea Costa, anarchico imolese, che grazie a lei e con lei lavorò alla fondazione del socialismo italiano. L’accusa di anarchia nei loro confronti portò ripetutamente all’arresto e alla detenzione, esperienze che causarono in Anna la tubercolosi e l’artrite che la segnarono per tutta la vita.
Si trasferì a Imola, nella casa di Andrea Costa e diede alla luce la figlia Andreina, della quale si prenderà cura da sola, poiché il rapporto con Costa finì in breve tempo.
Tornata in Svizzera si iscrisse alla facoltà di medicina, seguendo le orme di illustri luminari, all’università di Pavia e poi di Napoli dove si laureò nel 1986 con una innovativa tesi sulle origini batteriche della febbre puerperale che causava la morte di molte donne. Cominciò da lì l’insistenza di Anna sulle regole dell’igiene come prima pratica per la salvaguardia della salute. Si spese infatti sempre, nell’esercizio della sua professione, anche dopo la specializzazione in ginecologia, nell’insegnare alle donne, soprattutto alle lavoratrici, a quelle delle classi più disagiate, i modi per salvaguardarsi da infezioni e degenerazioni. La ‘dottora dei poveri’, così la chiamavano, aprì infatti un consultorio gratuito insieme ad Alessandrina Ravizza, attiva per la questione femminile e a Emma Modena, medica socialista.
Nel 1885, avendo con sé sempre la figlia, iniziò la sua convivenza a Milano con Filippo Turati nell’appartamento di Portici Galleria 23, al quarto piano, affacciato su piazza del Duomo. Quella casa divenne centro di studio e di elaborazione di pensiero; lì nacque “Critica sociale”, la rivista voluta da lei e da Turati e sulla quale entrambi scrissero, firmando gli articoli T.K.; lì nacque due decenni più avanti, “La difesa delle lavoratrici” a cui collaborarono, firmando gli articoli spesso tutte quante, molte donne impegnate nel partito, nel sindacato, nelle attività pacifiste, nomi noti e meno noti: Angelica Balabanoff, giornalista e saggista che raccoglierà l’eredità di Kuliscioff nella direzione di “La difesa delle lavoratrici”; Carlotta Clerici, fondatrice della sezione femminile della Camera del lavoro, che fondò il Comitato per il risveglio dell’attività femminile; Rosa Genoni, riconosciuta oggi come inventrice del ‘made in Italy’, creatrice di moda e attivista socialista; Linda Malnati, maestra, attiva nel movimento per il suffragio universale; Maria Giudice, maestra, giornalista e dirigente socialista, non solo madre di Goliarda Sapienza; Abigaille Zanetta, educatrice, pacifista socialista e antifascista; Maria Gioia, segretaria della Camera del lavoro di Romagna, mandata al confino poi dal regime fascista; e molte altre che meriterebbero di essere riportate alla luce con ricerca, approfondimenti e riflessioni.
In entrambe le riviste, la prima a fondamento delle questioni che interessavano il dibattito in seno al Partito Socialista, la seconda attenta alle tematiche femminili, era fortissimo l’orientamento di denuncia per gli eventi politici, come per il disagio economico e la disparità dei diritti.
Per Anna Kuliscioff la questione femminile fu sempre prioritaria, nonostante le sue divergenze con il ‘feminismo’ delle origini. Memorabile il suo intervento, Il monopolio dell’uomo, al Circolo filologico di Milano, aperto solo agli uomini, nel 1890, di cui porto un frammento breve:
L’esperienza di altre e molte donne che si attentarono a deviare dal binario tradizionale della vita femminile in genere, e soprattutto l’esperienza mia propria, m’insegnarono che, se per la soluzione di molteplici e complessi problemi sociali si affaticano molti uomini generosi pensatori e scienziati, anche delle classi privilegiate, non è così quanto al problema del privilegio dell’uomo di fronte alla donna.
Tutti gli uomini, salvo poche eccezioni, e di qualunque classe sociale, per una infinità di ragioni poco lusinghiere per un sesso che passa per forte, considerano come un fenomeno naturale il loro privilegio di sesso e lo difendono con una tenacia meravigliosa, chiamando in aiuto Dio, chiesa, scienza, etica e le leggi vigenti, che non sono altro che la sanzione legale della prepotenza di una classe e di un sesso dominante. Ed è per questo che, malgrado gli intimi rapporti che corrono fra i vari problemi, mi parve di poter isolare il problema della condizione sociale della donna, da tutti gli altri fenomeni morbosi dell’organismo sociale, generati in gran parte da quel dramma terribile della vita, ch’è la lotta per l’esistenza.[1]
Tra i contributi a “Critica Sociale” è vivacissima e profondamente motivata la sua presa di posizione nei confronti dei compagni di partito, Turati compreso. Quella che va sotto il nome di Polemica in famiglia, stampata in un quaderno della stessa rivista nel 1910, è uno scambio incalzante di motivazioni quanto mai articolate tra Turati e Kuliscioff. Il primo si fa portavoce delle idee del Partito Socialista con una lettera all’“Avanti” che porta il titolo Suffragio universale? e giustifica l’esclusione delle donne
… l’aggiunta contemporanea del suffragio femminile al maschile non avrebbe a senso nostro, alcuna influenza immediatamente benefica, … e ciò per effetto della ancor così pigra coscienza politica e di classe delle masse proletarie femminili…[2]
e Anna che vigorosamente si oppone a questa visione:
Il voto è la difesa del lavoro, e il lavoro non ha sesso. I pericoli del suffragio universale, se pericoli annida – né sarebbero maggiori di quelli d’ogni altra libertà – anch’essi sono comuni ad ambo i sessi e non hanno che un solo correttivo: l’educazione che nasce dall’esperienza del diritto esercitato. Se il suffragio universale servì al dispotismo di un Bonaparte, alle velleità dominatrici di un Boulanger, non servì meno, quando fu più illuminato, a difendere e consolidare la libertà e la repubblica, meglio d’ogni guardia nazionale. Ben vero che l’elemento femminile, oppresso dalla insufficienza dei salari e dal peso immane delle faccende domestiche, che ne assorbe anche le ore e i giorni di riposo, non può accorrere, quanto il maschile – e il fenomeno è comune a tutti i paesi – nelle organizzazioni economiche del proletariato. Ma è questa una ragione di più per chiamarlo alla conquista del diritto politico, che ridesti, in queste ultime fra gli oppressi, la coscienza di classe, la coscienza di donna, di madre, di cittadina. Per sé, che han più bisogno di difesa, e per la causa comune.[3]
Accanto a queste posizioni, che non sono che un pallido esempio del suo lavoro, la scelta di fare della sua casa il luogo di redazione delle importantissime riviste a cui diede vita ha una valenza simbolica di grande spessore: lo stesso luogo a cui le donne sono state confinate per le storture culturali prodotte nei secoli (agli uomini le questioni sociali, alle donne quelle casalinghe), luogo di ‘contenimento’ delle loro azioni, diventa spazio in cui progettare vie di valorizzazione, di salvezza, di crescita culturale e politica. Si accentua lì, o lì se ne vedono gli estremi, la contraddizione che relega la donna agli angoli delle possibilità di scelta e di decisione: quanto più acquista responsabilità nel lavoro e nella società, tanto più viene esclusa dalla sfera pubblica, dalle scelte economiche e relegata alla condizione subalterna in famiglia, nel lavoro e in politica. Kuliscioff ne fu lucidamente consapevole e rivolse le sue riflessioni non solo ai rappresentanti del suo partito, (convinse Turati e Treves a farsi portavoce in Parlamento del suo pensiero per il suffragio universale anche se poi risultarono in minoranza), ma per esprimere posizioni differenti rispetto alle femministe emancipazioniste e liberali, guidate da Anna Maria Mozzoni. Anna vide in queste un’idea di emancipazione riferita alle donne borghesi e una forma di antagonismo competitivo nei confronti degli uomini che si distanziava in modo netto dalla sua idea di giustizia sociale. Per lei il centro della questione era il lavoro, l’indipendenza economica delle donne. I sanguinosi fatti del 1898 a Milano, la repressione brutale del generale Bava Beccaris, le ottantadue vittime, donne, uomini, bambine e bambini, la resero salda nella convinzione che il ‘quarto stato’ non comprende solo presenze maschili e consolida quanto aveva già da tempo espresso:
Noi donne dobbiamo più di tutto temere che caso mai venisse il quarto stato, che è il proletariato maschile al potere, noi non rimanessimo nelle condizioni del quinto stato, senza diritti di nessun genere e sempre piene di doveri come lo è stato sino ad ora… Ed è per questo che la nostra battaglia è doppia: contro il capitalismo accanto agli uomini da una parte e dall’altra abbiamo una lotta immediata da sostenere che è differente da quella degli uomini.[4]
Alla stesura della prima legge sul lavoro femminile Kuliscioff aveva partecipato attivamente elaborando insieme a Turati un progetto che, anche se abbondantemente tradito dalla legge Carcano, varata nel 1902, accorciava il tempo della giornata di lavoro delle donne, introduceva il diritto a un breve congedo per maternità e costituiva il fondamento teorico per alcuni articoli della Costituzione.
Per conto nostro, questa è la via, e la battiamo da un pezzo: le donne del lavoro lottano valorose negli scioperi, entrano sempre più numerose nelle Leghe di resistenza (85 mila donne organizzate, già a quest’ora in Italia), mandano le loro avanguardie nel partito socialista, dove la difesa dell’interesse proletario, antagonistico a quello di tutte le classi del capitalismo industriale e agrario, assurge a coscienza operosa di classe; riversano sui loro stessi compagni l’influenza educatrice e suscitatrice della loro solidarietà, della loro combattività, del loro entusiasmo.[5]
Certo la personalità di Kuliscioff, autorevole per la lucidità del suo pensiero, per la sua stessa formazione internazionale, per le scelte di vita e gli interessi culturali, non poteva lasciare indifferenti né gli uomini dei partiti, né le donne attive per i diritti. La sua idea di giustizia sociale, fondata sulla valorizzazione delle singole persone e su un’azione collettiva capace di mutare l’assetto sociale, trovò una sorta di importante esempio nella sua relazione con Turati: il legame affettivo non impedì differenti opinioni, differenti progetti. La reciproca fiducia divenne il metodo per risolvere i contrasti e studiare i diversi punti di vista. E anche con Costa, con il quale il rapporto si era sciolto a causa delle gelosie e della richiesta di una vita domestica contenuta da parte del giovane compagno dopo la nascita di Andreina, Anna mantenne una straordinaria indipendenza di pensiero sempre. Non aveva voluto sposare Andrea e neppure Filippo, considerando il matrimonio un ‘contratto commerciale’ che penalizzava ulteriormente la donna ma, quando la figlia decise di sposarsi con il giovane Luigi Gavazzi, rampollo di una famiglia ricca e di rigide tradizioni religiose, rispose alle scandalizzate osservazioni di Costa:
Mio caro Andreino, sì, hai ragione, è una gran malinconia di dover convincersi che noi non siamo i nostri figli, e che essi vogliono far la loro vita… La malinconia non proviene da quel piccolo incidente di matrimonio religioso, ma dal fatto che nostra figlia non ha né l’animo ribelle, né il temperamento di combattività… Un pensiero la tormentava, perché vuol molto bene a me, ch’io avrei potuto soffrire, se avesse fatto il matrimonio religioso… D’altronde come buoni e convinti socialisti dobbiamo rispettare anche la volontà e l’individualità dei nostri figli… Io sapevo che un giovane di famiglia borghese, dati i pregiudizi sociali, familiari e religiosi, difficilmente se non molto innamorato la sposerebbe per le presunte colpe della madre, che schiaffeggiava la società sotto tutti i rapporti[6].
L’attività politica di Anna Kuliscioff continuò tenacemente nonostante la fragile salute fino al 1914, quando passò la direzione di “La difesa delle lavoratrici” ad Angelica Balabanoff. Era il momento in cui la parte riformista del Partito era stata messa in minoranza dai massimalisti di cui l’esponente di spicco era l’allora direttore dell’“Avanti”, Benito Mussolini.
Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915, Anna incitò i socialisti a sostenere “i nostri infelici soldati” perché le notizie che arrivavano per mezzo dei profughi “sono strazianti”.
Nel mezzo della guerra giunse poi la notizia della rivoluzione che scuoteva la Russia e Anna sperò nel suo carattere democratico, nella sua portata mondiale e nella sua influenza sulle sorti della guerra, ma ben presto ne denunciò il carattere di “dittatura terroristica” e le derive autoritarie ed espansionistiche, definendo Lenin il “primo zar del comunismo”. Colse anche con straordinaria lungimiranza, subito dopo la fine della prima guerra mondiale, il pericolo incombente del fascismo, “il paese di giorno in giorno si avvicina al precipizio”. Non sarà allora forse inutile fare un passo indietro e ritrovare le parole che Anna aveva scritto per le donne, nel 1913, e che dicono una possibilità per oggi. Nella piattaforma proposta dal Partito Socialista, per il Suffragio Universale, il primo comma per esempio raccomandava “una ferma e sistematica opposizione alla politica di avventure coloniali e ai bilanci militari.” E Anna sottolineava:
È tutta la questione sanguinante della guerra, della Libia, degli armamenti, che è prospettata in quelle poche parole. Chi potrà, chi dovrà, più delle nostre donne, sentire l’importanza di cosiffatti problemi? Non sono esse le madri, le spose, le compagne, le sorelle dei nostri soldati, barbaramente sacrificati al nuovo imperialismo coloniale della borghesia? La borghesia militarista e guerrafondaia sostiene che il voto non si dovrebbe concedere alle donne, appunto perché esse son “femmine”, incapaci di sentire la bellezza e la nobiltà delle gloriose imprese della guerra e dei macelli umani. E pensiamo noi pure che, il giorno che spetterà alla donna dire la parola decisiva, sarà finita nel mondo la barbarie della guerra, e della pace armata, forse ancora più disastrosa.[7]
[1] A. Kuliscioff, Il monopolio dell’uomo, Conferenza, 1890.
[2] F. Turati, Polemica in famiglia, da “Avanti”, 25/03/1910
[3] A. Kuliscioff, Polemica in famiglia, da “Critica Sociale”, 16/03-01/04/1910
[4] A. Kuliscioff, Proletariato femminile, Relazione al circolo ‘Genio e lavoro’, 1892.
[5] A. Kuliscioff, Per il suffragio femminile, Società editrice “Avanti”, 1913.
[6] A. Kuliscioff, Ad Andrea Costa, 27/03/1904.
[7] A. Kuliscioff, Per il suffragio femminile, Società editrice “Avanti”, 1913.
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