
Fiorella Falteri continua la sua tenace vocazione di curatela dell’opera di Alberta Bigagli, editando corpi di scrittura, prose, poesie, officine di pensieri, documentazioni del grande lirico laboratorio psicopedagogico di questa autrice di cui tante volte ho scritto e parlato. Qui, ancora, nell’attenzione di un’altra occasione editoriale dal titolo Sto leggendo, note critiche in versi e in prosa, Edizioni Polistampa, 2025. Si tratta di un’antologica di corrispondenza dentro cui Bigagli risponde e corrisponde a poeti, scrittori che attraversa nei suoi studi e nelle sue letture.
Riceve libri in dono, come spesso ci accade, e lì versa il corpo con luce di attenzione, riflessione, connessione, meditando, e nel piacere del filo percorso rimanda con generosità appassionata la sua scrittura o in prosa o in poesia. Il libro documenta nomi e cognomi a lei cari: Martha Canfield, Giovanna Fozzer, Assunta Fininguerra, Nina Maroccolo, Giulia Perrone, Paolo Ruffili, Pietro Civitareale, Giovanni Stefano Savino, solo per citarne alcuni. Nomi con cui ho lavorato e su cui ho lavorato negli anni anch’io. Sorprende quanto Bigagli dedichi alla narrazione della sua emozione, del suo percorso di lettura dell’opera dell’altro, non tanto per farne una recensione o un saggio da pubblicare, ma come atto privato di congiunzione umana e letteraria, dentro cui affonda precisioni di critica e passi di intimità personale.
Leggiamo insieme alcune sue righe dopo la lettura di Uccelli di passo di Franca Maria Catri. Firenze febbraio 2014
Ma ecco, ho ricordato che, io vivendo in una soffitta, i tetti mi sono familiari. Quindi è stando seduta sulle tegole che ti guardo o amica, passare. Sai, quassù la schiera dei volatili, specie in primavera, alba e tramonto, completa. Va dalla rondinella al corvo. E tutti insieme, io lo capisco, mimano il tuo poetico cifrato racconto, di una follia dolcissima.
Grazie a te per avermi chiamata a questa lettura. Sembra non vero, ma è stato proprio a “la cinquo de la tarde” (neanche vado a controllare l’esattezza della scrittura). È noia qui e grigiore, oggi. Eppure ad ovest ho visto che il giallo del cielo, all’orizzonte, si faceva intenso. Un po’ di speranza per le creature di buona volontà. Ma la speranza è incerta. Limitata è la vita. Ed io ho letto segni musicali sulle onde dell’aria. È quanto basta.
È un tratto dentro cui si accende la consonanza tra ciò che si è letto, e da cui si è chiamati, a ciò che in quel momento si sta vivendo. Apre al luogo, alla dimora alta in cui viveva Bigagli, in Via Ghibellina a Firenze, dove è deceduta nel 2017. Prendo la poesia a Assunta Fininguerra, poeta a me carissima, che più esplicita questa originale forma espressiva di Bigagli.
Si va bene il confronto con le autrici storiche
dopo aver letto il tuo “Solije” o Assunta
ma la tua abilità direi che dalla storia esce
e direi che consiste nel far letteratura col sangue
senza che il sangue arrivi mai all’astratto.
Non è facile non è per niente facile lo so.
Tu mi sei apparsa Carmen come pure Medea
ma mai Violetta che s’improfuma e rinuncia.
La tua è la canzone popolare di ogni tempo
è la preghiera colta di Jacopone e Francesco.
È una continua insistita danza di flamenco.
Al centro un battito e un moto disciplinato
e intorno le varianti crescenti non domabili.
È una nenia di madri scure mediterranee
Come da Ofelie passeggianti su foglie bagnate.
È struggimento da moglie di Pescatore
magia scaturente da compresso potere-donna.
Sei l’artigiano di te stessa il quale si scompone
nel corpo con dolore e il sabato si ricompone.
Sei l’Arcangelo che cacciato per burocrazia
si fabbricò un riparo superbo nel fogliame.
La mia attenzione su questa pubblicazione non solo mi permette di tornare alla personalità psicopedagogica di Bigagli, ma dà occasione di centrare il suo approccio lirico alla vita, e alla vita delle relazioni, purissimo, con estrema cura, studio, economia di parola lavorata artisticamente, racchiusa in un foglietto, imbustata, inviata in viaggio volatile fino alle mani del destinatario. In una unicità di lettura, tra due persone che accendono un ponte di inchiostro, su una liquidità che estende il proprio sangue.
Ha fatto bene Fiorella Falteri a documentare queste vie praticate da Bigagli per rilevarne la sua singolarità così estranea da opportunismi letterari, serissima, in ogni suo singolo atto di scrittura, indipendentemente dalla pubblicazione, dal riconoscimento dell’altro. È più importante il proprio riconoscimento, nel senso di riconoscere l’altro e individuarlo, cantarlo su un palmo di carta, e restituendo a lui il ritratto. Il calco.
Credo che l’esperienza di Bigagli abbia una sua originalità: ci propone una riflessione su quanto e come oggi sussistano o meno ancora carteggi. Se epistolari su carta, nel loro fascino, attraverso la fisicità rivelatoria della carta, degli inchiostri, dei corsivi personalissimi che manifestano ogni emotività e caratterialità dello scrivente, possono essere confrontabili oggi con quelli digitali. La digitalizzazione non permette lentezza nell’articolare e creare il segno. Consonanti e vocali corrono sulla tastiera uniforme e standardizzata. La loro virtualità velocissima ha un’inconsistenza materiale. Può essere eliminata con un colpo di dito. Non accartocciata, bruciata, o deposta negli scrigni bui di un profondo cassetto, scaffale, angolo privatissimo del mondo.
Non sono qui per demonizzare la digitalizzazione, ma per valutare passaggi della nostra cultura, della nostra quotidianità, del nostro modo di creare, nutrire, agire nella relazione.
Fiorella Falteri ha passato ore, giorni, tra i corpi delle lettere, tra quelle pelli scritte da Bigagli, come estensione della sua propria pelle, in un’emozione contenuta e convogliata. Falteri ha riportato alla luce grande, pubblica, la luce della lampada interiore dell’amica, maestra. Di colei che insegna a leggere, ascoltare il mondo, cantarlo.

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