Ѐ da un particolare riferimento relativo alla vita di Franz Kafka (Praga 1883 – Kierling 1924) che prende le mosse, e si svolge arrivando fino al 2017, il libro postumo di Patrizia Di Donato (scrittrice, saggista, docente, organizzatrice di eventi culturali, prematuramente scomparsa nel maggio 2022), “Per amore di Grete” pubblicato nel 2023 da Re[a]daction Editrice Roma. Il celebre scrittore ebreo boemo di lingua tedesca avrebbe cioè avuto a Praga, nel 1914, all’età di 31 anni, un figlio da una transitoria relazione con l’ebrea Margarethe (o Margaret) “Grete” Bloch (Berlino, 1892-Auschwitz 1944), di 9 anni più giovane. A farli conoscere era stata Felice Bauer, la donna più conosciuta quale compagna dello scrittore, di cui Grete era amica.

La storia ufficialmente racconta altro. Kafka, che non si sposò mai, non ebbe figli e morì quarantunenne di tubercolosi nel 1924, durante un ricovero terminale nel sanatorio di Kierling presso Vienna. Fu uomo dalla turbolenta, tormentata e inappagata vita sentimentale-erotica, popolata da molte amanti e mai sarebbe stato consapevole di aver concepito un figlio in quanto Margaret Bloch era già separata da lui quando lo partorì nel 1914 e non lo informò né della gravidanza né della nascita. Il bambino, cui era stato dato il nome di Casimiro, sarebbe poi morto, o dato per morto, all’età di 7 anni (1921) a Monaco di Baviera, dove venne redatto il suo certificato di morte.

Il figlio unico e segreto di Kafka, dunque, è il protagonista del libro di Patrizia Di Donato, la quale era tuttavia una troppo consapevole storica e saggista per consegnare un’ipotesi del genere a un romanzo, semplicemente perché costruire una narrazione su un dato inventato sarebbe stato inammissibile per chiunque e tanto più per un personaggio della notorietà di Kafka (del quale tutto o quasi si pretende oggi di sapere). Ma in realtà il dato è suffragato – pur venendo dall’Autrice, per tutto il libro, correttamente presentato e sottolineato come non verificabile –  da fonti plurime di Kafka, tra cui i suoi maggiori biografi Reiner Stach e Max Brod, il secondo dei quali, intimo amico dello scrittore, fu il curatore della sua opera, pubblicata in gran parte postuma e contro le indicazioni dell’autore stesso che aveva raccomandato di distruggerla (dopo averne egli stesso distrutto gran parte), col che non avremmo avuto La metamorfosi, Il processo, Il castello e altre pietre miliari della letteratura contemporanea.

Alcuni dati di partenza, nel libro Per amore di Grete, sono dunque storici: è accertato, dall’epistolario dello stesso Kafka, che lui e Grete si siano frequentati nel periodo che porta alla gravidanza e che nel ‘14 abbia partorito Casimiro, del quale dichiarò, sempre e a molti, che un “celebre scrittore” ne era il padre, sino alla morte avvenuta nel campo di sterminio di Auschwitz all’età di 52 anni, dopo essere stata dapprima rastrellata, in quanto ebrea, dall’Italia (da San Donato Val di Comino nel Lazio dove era vissuta vari anni) e poi deportata, da Fossoli in Emilia, ad Auschwitz in Polonia dove morì nel 1944, probabilmente venendo subito avviata alla camera a gas.

Dato di partenza dunque documentato, ma molto particolare, questo di Per amore di Grete, in quanto basato su testimonianze della sola diretta interessata, presunta madre del figlio di Kafka.

E qui a dare un colpo d’ali alla (mai abbandonata) prudenza dell’Autrice s’ inserisce una storia struggente e bellissima: il figlio di Kafka non sarebbe morto a 7 anni; il suo finto decesso sarebbe stato ideato dalla madre per salvarlo; Casimiro sarebbe vissuto fino a 93 anni, allevato all’estero con altro nome per sottrarlo – nella precarietà sia economica sia psichica della madre –  al triste destino che la vita gli riservava soprattutto in quanto ebreo, nella ripresa dell’antisemitismo serpeggiante in Europa dopo la Prima Guerra Mondiale e che sarebbe esplosa col nazismo nella Germania degli anni 30/40. Grete, dunque, lo avrebbe finto morto e fatto dichiarare tale con la complicità di un medico bavarese, per farlo fuggire e affidarlo in Inghilterra a due famiglie, nella seconda delle quali, peraltro, avrebbe anche rischiato di essere ucciso dal patrigno, spia nazista attiva a Londra (poi suicidatosi, dopo essere stato scoperto dagli inglesi). In questa famiglia a rischio, col nuovo nome di George Smith, Casimiro sarebbe stato tuttavia protetto dalla madre adottiva finché era viva e in contatto con la madre biologica Grete; e avrebbe beneficiato di una buona istruzione, nonostante l’handicap del mutismo che lo affliggeva.

Era infatti, Casimiro/George, in grado di parlare e udiva benissimo, ma per un blocco (forse legato ai traumi della separazione – sia pur a fini salvifici – dalla madre, nonché dell’affido a famiglie problematiche), avrebbe perso l’attitudine alla parola, esprimendosi per tutta la vita tramite biglietti scritti e pronunciando rarissime, faticose frasi. Ecco il Casimiro/ George, figlio di Kafka, protagonista del romanzo. Per amore di Grete. Il quale, afono o quasi al mondo, sarebbe stato abitato da un indomabile, disperato urlo interiore per tutta la sua lunga esistenza: la ricerca della madre e il capire non tanto di chi era figlio, quanto perché fosse stato allontanato da lei.

La penna della scrittrice ci racconta però una costante cura materna, a distanza, del figlio che stava crescendo, attraverso lettere dirette alle due famiglie cui lo aveva affidato. Nel romanzo c’è un vertice d’invenzione narrativa circa questo carteggio segreto della madre naturale con le madri affidatarie. Col tempo, tuttavia, queste avrebbero maturano un rapporto ambivalente col bambino, affezionandosi a lui sicché – forse d’accordo con Grete, stessa, per non moltiplicare le identità materne; o forse tradendo, invece, l’accordo con lei – non gli avrebbero fatto sapere che la vera madre era viva e chiedeva di lui.       

A questo punto entra in Per amore di Grete una nuova partizione del romanzo da definire “italiana”, dopo quella asburgica, poi tedesca e poi inglese per il figlio Casimiro/George. Questa partizione italiana si origina a Firenze, dove l’ebrea Grete cerca di sopravvivere come può, con precari commerci e precarie protezioni che si dileguano quando servirebbero, fino alla contrazione delle condizioni di vivibilità portata dalle leggi razziali del 1938, che la sorprendono in Italia…Grete infatti – scrive Patrizia Di Donato – ha la costante capacità di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. E infatti in base alle leggi razziali viene destinata a San Donato Val di Comino nel Frusinate, insieme con altri ebrei, tutti osservati dalla polizia fascista.

Ma dal Lazio di fine anni 30 i tedeschi, che occuperanno l’Italia dal ’43, sono ancora lontani e prevale anzi in queste aree dell’ex Stato Pontificio una tradizione se non di convivenza, di tolleranza dei “giudei”, sicché Grete a San Donato torna un po’ a vivere. Mentre il macrocosmo circostante scivola verso la tragedia della guerra, il microcosmo sandonatese torna a farle conoscere un sorriso e anche un nuovo amore. La sua minuta figura viene accettata dalla comunità locale. Lei ama quei monti appenninici e quelle valli tra cui una bizzarra sorte l’ha portata, non per sua scelta, a vivere; ama la generosa e accogliente popolazione locale che la guarda come un personaggio esotico e bizzarro, proveniente da un altro mondo; ama questa solare parte dell’Italia celebrata dal poeta David Herbert Lawrence che fa breccia in lei, nata e vissuta nelle brume nordeuropee. San Donato Val di Comino diventa perciò una patria di speranza, sostenuta com’è Grete dal desiderio di ricongiungersi al figlio ormai adulto che non ha visto crescere, ma che ha salvato. Continua infatti a porre in essere disperati tentativi per raggiungerlo; tenta di farsi passare per inglese in modo da essere autorizzata a partire per Londra; implora, tempesta le autorità per avere un permesso di espatrio che non le viene concesso.  Poi la guerra travolge tutto, spezza ogni speranza. Il destino di morte per lei assume il volto di un’altra donna, innamorata di un tedesco, che tradisce gli ebrei di San Donato, denunciandoli e rivelando i loro nascondigli. Tutto precipita. Gli ebrei vengono rintracciati e rastrellati dal paese, avviati a un campo di raccolta in Emilia, nel nord controllato dai nazisti, e da lì messi sul treno per Auschwitz, dove si compirà la loro sorte.

Grete capisce tutto, ma riesce in un’ultima disperata impresa, prima di essere allontanata da San Donato; consegnare al fato una traccia perché il figlio la ritrovi. Si rivolge a un uomo che l’ha amata e gli affida un codice segreto, che l’uomo non può capire ma solo trasmettere al figlio se dovesse un giorno apparire lì – con ciò dimostrando di non averla dimenticata, di volerla cercare e di essere sulle giuste tracce. Cosa dovrà questo inconscio messaggero, o dovranno i suoi inconsci eredi, riferire a Casimiro/George?

 Le parole, i numeri di un gioco che da bambino lui faceva con la mamma; attraverso cui capire il luogo segreto dove lei gli ha lasciato due valigie che raccontano tutto di lei al figlio: anche con chi lo abbia concepito, cioè con lo scrittore Franz Kafka. Ma il figlio dovrà avere tanto disperato amore da cercare allo spasimo, tra i ricordi d’infanzia, questa traccia per decodificare il messaggio in codice. Solo se ne avrà conservato memoria, sarà degno di ritrovare la madre. Solo se non l’avrà dimenticata, potrà riaverla.

E in questo finale Patrizia Di Donato inserisce il clou del romanzo facendo ricorso a un antico espediente narrativo, il quest – “la sfida”, come si chiama tecnicamente – che consiste nel cercare dentro l’anima, in remoti episodi del passato, l’amore che dischiuderà un nuovo presente e un nuovo futuro.  

In tale sfida o quest Casimiro/ George ultranovantenne risentirà la voce della madre. Riannoderà il filo della coppia Grete/Franz ritrovandovi non ciò che non gli interessa (essere figlio di Kafka), ma la liberazione da ciò che gli ha divorato la vita, il sospetto di essere stato inaccettabilmente lasciato e dato ad altri da lei, capendo che ciò è avvenuto solo per salvarlo.  

Questa è la trama di Per amore di Grete.

Chiunque la legga, avrà già capito quale sia stato l’amor che ha “dittato dento” a Patrizia Di Donato e di cui ella è andata per tutta la vita,  “significando”, sino a farne un romanzo: un immenso amore per Kafka e una profonda conoscenza della vita di lui e delle donne che la popolarono, ispirando il  suo inquieto e inquietante epistolario amoroso, nel quale vi sono in effetti molte lettere del 1914 indirizzate a Grete; lettere in cui non si parla di amore tra loro, ma l’amore, fortissimo e non contraccambiato da parte di lui, si percepisce presente ad ogni passo in lei. L’amore di Patrizia Di Donato per questo mondo l’ha dunque spinta a “ricreare” o riscoprire un figlio segreto di Kafka, e ad immaginare quale ne sarebbe stata la vita, come in una protrazione esistenziale dello scrittore, portandone, nel suo unico, ignoto discendente, la inquietudine sino alle soglie dei nostri giorni.  

 Un romanzo dunque sulla identità, sulla maternità che ne è la fonte primaria e sulla drammaticità del vivere in quelli che Brecht, rivolgendosi a “Coloro che nasceranno dopo”, chiamò i finsteren Zeiten, gli anni oscuri della invenzione delle appartenenze razziali, delle conseguenti persecuzioni e della Shoah di cui fu vittima l’ebrea Grete. E anche di un altro grande tema che attraversa tutti quelli appena detti, il sentimento del tempo, perché è soprattutto questo a far vibrare e a far volare alta la – lirica, densa – prosa di Patrizia Di Donato. La quale abbandona di continuo il racconto autobiografico di Casimiro/ George per farlo ricongiungere, ormai vecchissimo, alle tenerezze, ai giochi e all’amore materno della prima infanzia, bramati per l’intera vita: aprendo  in ogni pagina squarci introspettivi alla ricerca del tempo perduto, delle identità rapite e di quelle poi restituite dal tempo ritrovato; aprendo squarci sulla tragicità di vite, usando una prosa che non teme di far sfoggio della propria elevatezza, ma la coltiva; aprendo squarci nell’anima.                            

  1. Avatar Enzo Rapagna'
    Enzo Rapagna’

    Con la pubblicazione sulla Vs. Importante Rivista letteraria “Cartavetro” della recensione a firma di Giovanni D’Alessandro, inerente il Romanzo postumo di Patrizia Di Donato, si è rafforzata la “volontà alla lettura del romanzo” ed è aumentata l’apprezzamento nei vostri confronti di tutti gli estimatori di Patrizia! Grazie!

  2. Avatar giovanna
    giovanna

    Recenzione eccellente, contributo importante ai fini della comprensione di un romanzo complesso, originale, centrato sul rapporto madre – figlio in un contesto storico altamente drammatico.

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