L’impatto dell’inquinamento, con tutto ciò che ne consegue, sull’intero pianeta, è equivalente, se non superiore, a quello del Corona virus, e delle sue varianti, sulla nostra vita. In entrambi i casi, si tratta di un cambiamento radicale che tende a spezzare il presente, il corso degli eventi normalmente scandito dal tempo storico in un caso, geologico nell’altro, e che provoca un senso di smarrimento, di discontinuità irreparabile, di totalità infranta. Un senso acuito dal ballardiano ‘schock del futuro’, in un mondo in continua accelerazione, dove cogliere l’essenza dei mutamenti è come inseguire un orizzonte, e dove l’Essere sfuma, come ha detto acutamente il filosofo Ernst Bloch, nel ‘non essere ancora’.
Nella fattispecie, di fronte alle isole di plastica negli oceani, ai mutamenti climatici, al viaggio planetario dei veleni chimici (già nel dopoguerra fu trovato DDT nel corpo di animali polari!), per non dire altro, si ha l’impressione di vivere in un mondo che non è né totalmente né parzialmente pervaso dal senso, ma è piuttosto un accozzo di ciechi accadimenti: come in una nave dove ognuno fa ciò che più gli aggrada, senza rendersi conto che sta per naufragare. Le conseguenze sono cronaca quotidiana: riscaldamento globale, scioglimento dei ghiacciai, foreste incendiate, estinzioni di massa. In Australia, per fare solo un esempio, a causa degli incendi, delle 50 specie di marsupiali, pare che ce ne siano rimaste pochissime! Oltre a questo, l’effetto serra, accumulando energia e vapore acqueo nell’atmosfera provoca piogge torrenziali, uragani e altri fenomeni talora apocalittici: per esempio due anni fa, negli USA, si sono verificati 32 tornado in una sola notte; più o meno nello stesso periodo, a Zhengzhou, in Cina, dopo una formidabile alluvione, sono stati pubblicati dei video che mostravano i passeggeri della metropolitana, intrappolati nei vagoni invasi dall’acqua, che cercavano di alzare la testa il più possibile, per poter attingere all’ultima sacca d’aria, mentre l’acqua continuava a salire…. Intanto le foreste bruciano, anche nel freddo e nella neve, come è accaduto a dicembre 2021 in Colorado; nel 2019 in Alaska e Siberia … Una tragedia ecologica che infrange le gerarchie sistematiche della Natura, l’armonia degli ecosistemi e il principio creativo su cui si fonda l’evoluzione: ‘Unità nella diversità’ o, meglio, nella biodiversità. Teilhard de Chardin ha espresso questo concetto nella forma più breve e più poetica: «Créer c’est unir» (alludendo alla ‘geniale’ unificazione di diversi elementi eterogenei in un’unità funzionale, come ad esempio nell’evoluzione degli arti, trasformati in ali…). Ma ormai, purtroppo, la natura non appare più come un tessuto continuo e indissolubilmente intrecciato. La grande cesura segnata dal ‘fattore antropico’, ha avuto un effetto devastante in tal senso, non tanto per i limiti della ‘ragione’, quanto per l’illimitatezza dell’egoismo umano, come quello di coloro che cercano un profitto a qualunque costo, ignorandone le conseguenze. Diceva bene Indira Gandhi: «Il mondo è abbastanza grande per il bisogno di tutti, ma è troppo piccolo per l’egoismo di pochi». Anche e proprio per questo il futuro planetario è a rischio: se le foreste scomparissero, e il mare diventasse sempre più inquinato, l’ossigeno che alghe e piante producono, assicurando la vita sulla Terra, potrebbe cominciare a diminuire in modo allarmante, di pari passo con l’aumento della temperatura! Se non si prendono al più presto le adeguate contromisure, avrà ragione il proverbio cinese: «Se non cambi strada rischi di arrivare dove sei diretto»! Ma investire sull’ambiente, è un po’ come piantare un albero sapendo che altri godranno della sua ombra… In altre parole, non dà un risultato né un frutto immediato e, purtroppo, come dice François de La Rochefoucauld, «Le virtù si perdono nell’interesse come i fiumi nel mare»… Ma in questo caso si perdono anche l’armonia, la bellezza e l’immenso valore di tutto ciò che la natura ha costruito nel tempo profondo. Nell’incendio di una foresta, in pochi giorni vengono bruciati milioni di anni del paziente lavoro evolutivo: opere della natura immortalmente perse. MUTATIS MUTANDIS, sarebbe come distruggere, per il mondo della cultura, quasi tutte le opere del Rinascimento… Detto per inciso, queste ricorrenti devastazioni della biosfera, oltre che dai piromani, sono causate dai fulmini o da surriscaldamenti eccessivi, dunque dall’inquinamento atmosferico. Nel secolo scorso Jakob von Uexküll scriveva, nel suo piacevole linguaggio, sempre ricco di belle immagini, che ogni organismo ha un rapporto ‘contrappuntistico’ con il suo ambiente; il che è molto difficile, oggi, nella perduta armonia degli ecosistemi. Ma possiamo trovare qualcosa del genere in questa antica poesia degli indiani d’America, segno di una raffinata cultura e di grande sensibilità, pure queste in via di ‘estinzione’. PREGHIERA KWAKIUTL A UN GIOVANE CEDRO: “Amico, guardami! / Sono qui a supplicarti per la tua veste. / Sono qui per te: / per il tuo legno, i tuoi rami, / la tua corteccia, le tue radici. / Sono qui perché tu abbia pietà di noi. / Tu ci dai generosamente la tua veste/ e io sono qui a implorarti per questo, / tu che dai lunga vita. / Per te io farò un cesto / con le tue radici. / Ti imploro, amico: / non provare collera / per quello che farò. / E dillo ai tuoi fratelli / perché sono qui. / Amico, proteggimi! / Amico, allontana la malattia da me / e la morte in guerra. “È difficile capire la ricchezza interiore, la nobiltà d’animo espressa in questi versi, per uno che vive nel nostro tempo, in un mondo fondamentalmente marcio, basato com’è sulla mercificazione di ogni valore, la competizione quale regola onnipresente, la visibilità ad ogni costo, l’abitudine invalsa di seppellire quotidianamente il cervello nel cellulare, ecc. Ed è conseguentemente difficile comprendere la vitale importanza della natura e attingere alla profonda sorgente dei suoi insegnamenti. A titolo di esempio, il tempismo, la meticolosa perseveranza e la pazienza infinita che uccelli, insetti sociali ed altri animali mostrano nella costruzione del nido, nella riproduzione e cura della prole, anche a costo della vita, e quant’altro, dovrebbero insegnarci molte cose e farci riflettere. Sotto questo aspetto, come dice Darwin: «La compassione e l’empatia per il più piccolo degli animali è una delle più nobili virtù che un uomo possa ricevere in dono». Una verità sempre valida, anche se in forte tensione con la mentalità dominante. Sarebbe invece auspicabile condividere le sagge parole di Darwin, che è quanto dire una concreta partecipazione alla profondità e agli insegnamenti della Natura, ai fondamenti genetici della vita che essa ha posto in noi, che a noi preesistevano e che continueranno ad essere dopo di noi, e che non altro esprimono se non l’unità di tutti gli esseri viventi, dal micro al macrocosmo biologico. Dal che si desume che la Natura è un inestimabile valore (nel senso di Heinrich Rickert) e che si potrebbe e dovrebbe considerare sotto un diverso rispetto ogni altra forma di vita, con cui la specie umana condivide tante pagine della storia evolutiva. Un altro modo di vedere, insomma, come nella poesia che segue:
“RIFLESSIONI”
in liquidi orizzonti sprofondiamo
vedo il tuo volto fluire
fra le ali cadute dentro il cielo
ornato di muschi e capelvenere

talune fremono ancora frammentando
il rotondo specchio del pozzo
vespe coleotteri farfalle
ed altri piccoli
indefinibili esseri
fanno tremare la volta celeste
tentando un impossibile
volo nell’azzurro
fra stracci di nuvole
agitate dal vento
come bianchi fazzoletti
di un immenso addio

Ray Bradbury, in Cronache Marziane, narra di una civiltà immaginaria che ha risolto il problema dell’inquinamento e della guerra con un ‘cambiamento di paradigma’, per dirla con Thomas Kuhn, affidandosi proprio alla ‘saggezza’ della natura: «I marziani scoprirono il segreto della vita tra gli animali. L’animale non cerca di capire la vita. La sua stessa ragione di vivere è la vita; esso gode e gusta la vita. […] Così, gli uomini di Marte si accorsero che per sopravvivere avrebbero dovuto dimenticare la solita domanda. PERCHÉ VIVERE? La vita era risposta a se stessa.[…] La vita era bella ora e non abbisognava di discussioni e di analisi. Smisero di cercar di distruggere tutto, di umiliare tutto. Fusero religione, arte e scienza perché, alla base, la scienza non è che la spiegazione di un miracolo che non riusciremo mai a spiegare e l’arte è l’interpretazione di quel miracolo. Essi non permisero alla tecnologia di stritolare l’estetica e la bellezza». In effetti, come Bradbury lascia intuire, lo studio della natura insegna molte cose, e rivela sorprese e seduzioni anche esteticamente godibili, come certi esempi di mimetismo, o la grande armonia di strutture e funzioni, oppure le meravigliose sequenze dei processi biochimici che ci consentono di vivere, così sapientemente interconnessi e organizzati da suscitare incredulità e stupefazione, come di fronte ad un evento miracoloso, ovvero all’opera di una mente superiore. Tanto che molti epistemologi, unendo per certi aspetti scienza e religione, optano per il cosiddetto INTELLIGENT DESIGN, attribuendo tutto questo ad un essere divino. Ne può nascere una nuova TELEOLOGIA. Ilya Prigogine ha gettato un ponte tra fisica, chimica, ecologia e scienze sociali, arte compresa, per studiare tali settori non separatamente, ma come sistemi tra loro interagenti. Altri autori vedono, nei raggiungimenti di scienza e letteratura, due modelli diversi che possono coesistere, come nell’opera Le Due Culture, del chimico e letterato inglese Charles Percy Snow. Un elenco delle suddette ‘meraviglie’ della natura è praticamente impossibile, perché sarebbe interminabile: dagli ‘uccelli indicatori’ che guidano gli orsi, o anche le persone, verso i nidi di api, per avere in cambio un po’ di miele; alla vespa che fa una sorta di ‘trattamento antiparassitario’ quando depone le uova nel corpo di un bruco, cospargendole con un virus che poi le difenderà dal sistema immunitario dell’ospite; alle farfalle Effimere le quali, come kamikaze, si gettano nell’acqua per deporvi le uova; alle piante che ‘comunicano’ con un alfabeto di atomi; al geometrico linguaggio delle api, incentrato sul sole; al viaggio infernale dei salmoni verso i paradisi della fecondità, allo scopo di realizzare il ‘sogno’ di ogni organismo, che è quello di riprodursi, parafrasando una bella metafora del citato Uexküll . Per non parlare, come già accennato, del grandioso ‘concerto’ di fenomeni biochimici che organicamente esprimono l’armonia del nostro corpo, nonché la ‘saggezza’ di vere e proprie ‘parabole’ molecolari. O per non parlare della cosiddetta flora microbica e degli altri miliardi di microrganismi che vivono in simbiosi con noi: «Coesistiamo con i batteri di oggi e ospitiamo in noi vestigia di altri batteri; inclusi simbioticamente nelle nostre cellule. In questo modo, il microcosmo vive in noi e noi in esso» (Lynn Margulis & Dorion Sagan). Stando così le cose, in un certo senso ogni uomo è una moltitudine, l’io diventa un noi… In ultima analisi, la devastazione di ambiente e biodiversità, da parte dell’uomo, la cui esistenza affonda le radici nell’evoluzione ed è contessuta all’opera di esseri innumerevoli, è anche e soprattutto una forma di autodistruzione, un suicidio simbolico. È l’essenza metafisica dell’ingratitudine. Per concludere, con una suggestione di John Donne, si potrebbe ‘ritoccare’, per adattarla al nostro discorso, una frase tratta da un suo celebre sermone*, peraltro citato da Ernest Hemingway in epigrafe a Per chi suona la Campana: «Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un frammento del mondo vivente, una parte del tutto. La morte di qualsiasi creatura mi diminuisce, perché io faccio intimamente parte della natura. E dunque non chiedere mai dove brucia la foresta: la foresta brucia dentro di te».


*«Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto… La morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: la campana suona per te». John Donne (1572-1631) MEDITAZIONE XVII.

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