Alle 16:58 del 19 luglio 1992 un’autobomba esplose in Via d’Amelio a Palermo.

Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta vennero massacrati, dopo appena 57 giorni dalla “Strage di Capaci”, in cui l’amico e collega Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e la scorta di questi trovarono la loro tragica fine.

Poco dopo la deflagrazione, l’Agenda nella quale il Magistrato soleva appuntare i colloqui con i collaboratori di giustizia, i così detti pentiti, e i rappresentati delle Istituzioni, venne sottratta da uomini dello Stato.  

Da allora la verità su questi fatti non è mai emersa in tutta la sua portata e gravità.

Borsellino sapeva di essere in pericolo tanto da essere avvertito dell’arrivo di un carico di esplosivo a lui destinato, non dal suo superiore ma da un Ministro che lo incontra per caso.

Perché uccidere Borsellino subito dopo Capaci, visto che Cosa Nostra sapeva molto bene che a tale evento sarebbe seguita una reazione da parte dello Stato?

Una accelerazione strana con successive stragi nel continente a Roma, Milano e Firenze (1993-1994) che anni di indagini, dal 1992 ad oggi, hanno evidenziato avere anche la presenza acclarata di entità esterne alla Mafia stessa, quali coadiutrici delle azioni dinamitarde che così pesantemente hanno ferito Palermo e la Storia italiana stessa.

La moglie di Borsellino, Signora Agnese, ha piĂą volte ribadito che il marito soleva dire che la mafia sarebbe stata la mano che lo avrebbe ucciso ma che i mandanti sarebbero stati altri.

Una dura constatazione oltre alla certezza di essere lasciato solo, ovvero in quella condizione in cui tutte le vittime togate uccise prime di lui si sono immancabilmente trovate.

Una guerra tra bene e male anomala perché se in guerra è probabile e ahimè normale essere uccisi dal nemico, in questa è la mano formalmente amica a sparare sui propri uomini.

Le Mafie hanno sempre trattato con lo Stato tramite corruzione, collaborazione elettorale, contributo al quadro geopolitico bipolare che vedeva Est ed 0vest contrapposti: lo stesso Giulio Andreotti soleva dire che la mafia (Cosa Nostra) fu una pedina importante nel contrasto del Comunismo all’epoca della “Guerra Fredda”.

Uno scenario inquietante  in cui,  oltre alla abituale storica alleanza tra Stato e Altro Stato (CriminalitĂ  organizzata di stampo mafioso nello e con lo Stato),  si evidenzia una particolare trattativa avente  oggetto uno scambio di favori: la mafia chiede un alleggerimento del carcere duro al quale i mafiosi sono sottoposti in virtĂą dell’art. 41 bis e lo Stato chiede la possibilitĂ  di arrestare il Capo Stragista,  Totò “U Curtu” Riina per facilitare la latitanza di Bernardo Provenzano,  il capo moderato di Cosa Nostra.

La chiusura del carcere di massima sicurezza dell’Asinara fu parte dell’accordo e l’odierno dibattere sulla abrogazione del 41 bis sembra chiudere questo contesto di scambio che forze politiche, in virtù di un osannato garantismo a senso unico, poiché a favore esclusivo del reo, sembrano appoggiare.

La normativa di contrasto al fenomeno mafioso del nostro Paese, di cui l’art. 41 bis e l’art 4 dell’Ord. Penitenziario sono elementi essenziali, è la più evoluta al mondo e dovrebbe, anzi, essere aggiornata in virtù delle nuove modalità operative delle cosche mafiose sempre pronte ad adeguarsi ai nuovi scenari geopolitici, economici e sociali.

Oggi, le Criptovalute, il Dark-Web, l’Alta Finanza sono gli strumenti e i luoghi digitali di scambio e di transito di valuta non tracciabile che rende complessa ogni indagine e che rende una pallida idea di come le Mafie siano divenute Imprese Multinazionali del Crimine mercatiste che operano con logiche paretiane di massimizzazione del profitto e di valutazione dei rischi.

Il “Movimento Agende Rosse” nasce grazie a una lettera che Salvatore Borsellino, fratello del Magistrato, il 15 luglio 2007 scrive intitolandola “19 luglio 1992: una Strage di Stato” in cui afferma che la ragione principale della morte del fratello Paolo è proprio nell’accordo sopra accennato di non belligeranza fra Pezzi dello Stato e Cosa Nostra.

In questo quadro così articolato e complesso Salvatore Borsellino, con il suo Movimento, ha condotto e conduce tuttora una lotta pacifica ma decisa contro la disinformazione e contro la omissione di verità attorno alle vicende che causarono la morte di suo fratello.

 Si impegna in prima persona e unitamente agli iscritti dei gruppi presenti sul territorio nazionale, gruppi intitolati ognuno alla memoria di una vittima di mafia, in incontri informativi e formativi nelle scuole, convegni, eventi per dare parola a ciò che la trattativa negata ha significato e ancora significa per la nostra realtĂ  politica e sociale.

Salvatore disse quando scese a Palermo dopo anni di rifiuto verso questa Città: “… io ritengo che il più grosso vilipendio alle Istituzioni sia il fatto che persone, non degne di occuparle, le occupino”.

La Trattativa vi fu e oggi resta il dovere di parlarne nonostante la si voglia cancellare dalla Storia.

E allora emergono come monito e guida le parole di due grandi nomi, fra i tanti citabili, della cultura contemporanea:

“I vuoti di oblio non esistono. Nessuna cosa umana può essere cancellata completamente e al mondo c’è troppa gente perché certi fatti non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per raccontare e perciò nulla può mai essere inutile, almeno non a lunga scadenza” di Hanna Arendt

e

“Ammiro chi resiste,

chi ha fatto del verbo resistere carne, sudore, sangue

e ha dimostrato senza grandi gesti

che è possibile vivere,

e vivere in piedi anche nei momenti peggiori” di Luis Sepùlveda.

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