Il mio incontro con Piero Ricci è avvenuto sotto il segno di Alice.
Alice in wonderland.
Complice un corso biennale post-laurea al Centro Internazionale di Semiotica e di Linguistica di Urbino, a cui sono approdata dopo la laurea in filosofia.
Io, Daniela Coppini ed Elisa Goldoni, ammesse al corso, usavamo il nostro giorno libero e buona parte dell’estate per correre a sentire le lezioni.
Un mondo dischiuso.
L’amore per le pratiche testuali corroborato da nuovi metodi, da nuove prospettive d’ingresso e di lettura: la scoperta di Lotman, Greimas, Barthes, Bachtin, Kristeva, attraverso il filtro di insegnanti come Pino Paioni, Raffaella Ceccarini, e, soprattutto, Piero Ricci.

Piero Ricci in cappotto di casentino color arancio o in sahariana (a seconda delle stagioni), spettinato, occhi ironici e parlata aretina: semiotica attraversata con l’attenzione rivolta a ogni nome, a ogni piega, a ogni traccia del testo, sospeso tra oralità e scrittura, indagato nelle sue soglie, nel suo corpo e infine nella sua ricezione.
Piero Ricci, affabulatore senza retorica, divertente e divertito, di una curiosità intellettuale vivacissima, giocosa e contagiosa, pari solo alla sua cultura saldamente classica ma assolutamente multi-direzionale, capace di ospitare le infinite varietà della linguistica ma anche l’amore per l’Artusi, la fiaba del sorcetto e l’arte del Trinciante.

E allora come resistere? Pur di avere la sua guida, la scelta della tesi cadde su Alice in wonderland, per scoprire la reciproca donazione di senso che intercorre fra corpo, cibo e parola, il contrasto fra la logica di superficie e quella del profondo che anima questo testo complesso.
Un meraviglioso viaggio nel caos onirico di quest’opera, viaggio che si è successivamente tradotto, dopo la fine del biennio, nella costruzione di un gioco, per restare in lusu, il più a lungo possibile.

Insieme con Piero e altri amici matematici abbiamo usato il gioco come ipotesi di transcodifica dei meccanismi di Alice in wonderland, in una operazione patafisica, in cui ci siamo serviti addirittura della teoria delle catastrofi di René Thom!
Un anno e più di lavoro, molto intenso per progettazione e realizzazione, e di divertimento assoluto. Con Alice abbiamo giocato in situazioni impensabili: nel Monastero di Chiusi della Verna, su un altare sconsacrato, al Palazzo dell’EUR a Roma, nel Convegno dedicato al rapporto fra gioco e scienza, con Omar Calabrese… L’incontro didattico si è insomma trasformato in tante collaborazioni sempre motivanti e in un’amicizia lunga quarant’anni, durata tutta la vita, estesa alle nostre famiglie, un’amicizia a distanza per necessità geografiche, eppure coltivata da Piero con grande cura, quella di chi sa unire in una sintesi armoniosa cultura, gentilezza e umanità.

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