Se sentiamo parlare di “Pace di Kiev”, tutti vorremmo che quest’espressione si riferisse a un qualche trattato di pace che mettesse fine a quella guerra che da troppo tempo, ormai, sta colpendo al cuore l’Europa. Non è così, purtroppo, ma forse quest’espressione, e l’oggetto che designa, potrebbero essere intesi come un buon auspicio, una sorta di presenza ben augurale in tal senso. Se spostiamo la nostra attenzione verso un’altra Guerra e un’altra Pace, quelle del monumentale romanzo di Tolstòj, tra i personaggi minori, sullo sfondo, ne troveremo uno con una parte minuscola: il conte Nikolaj Petrovič Rumjancev (1754-1826). Ministro degli affari esteri dello zar, non nascondeva la propria ammirazione per la Francia e per lo stesso Napoleone. Come tutta l’aristocrazia russa, Nikolaj Petrovič parlava più francese che russo. Il suo amore per la cultura europea lo aveva indotto a “investire” parte del patrimonio di famiglia in un’interminabile Grand Tour. Affascinato dalle città italiane, si era innamorato di Roma: inevitabile, per un cultore del neoclassicismo, estimatore di Mengs e Winckelmann. Aveva ristrutturato il suo palazzo in stile neoclassico, con tanto di colonne corinzie sulla facciata. Non stupisce dunque che, giunto a una posizione di assoluto prestigio nell’ambito della gerarchia imperiale russa, nel 1811 decidesse di commissionare al genio neoclassico di Antonio Canova una statua allegorica in marmo bianco, per il salone più importante del suo palazzo, sull’Angliyskaya Naberezhnaya di San Pietroburgo. E quale soggetto scegliere? Per lui, che poteva definirsi un “pacifista”, era quasi naturale immaginare un’allegoria che celebrasse i servizi resi alla pace dai Rumjancev, a cui si dovevano le firme dei trattati che avevano posto fine a tre guerre (con Svezia, Turchia e di nuovo Svezia): i trattati di pace di Åbo, 1743, Küçük Kaynarca, 1774, e Hamina, 1809, sottoscritti rispettivamente dal nonno, dal padre e da lui stesso, come Cancelliere dello zar. Occorreva dunque perpetuarne la memoria racchiudendola nella materia marmorea che prendeva vita tra le mani del più grande scultore neoclassico, facendone una sorta di simulacro apotropaico per il Casato e per la Grande Madre Russia. Una grande allegoria della Pace, dunque. Antonio Canova accettò la commissione: la bozza di contratto è datata 12 dicembre 1811, e vi si fa cenno ad antiche “medaglie” con la Pace: l’iconografia tiene conto, infatti, di raffigurazioni della Pace presenti nella numismatica romana, in particolare in un denarium argenteo con l’immagine dell’imperatore Claudio e l’iscrizione “Paci Avgvstae”, dove è presente il serpente, simbolo dell’inganno e dell’aggressione.

Il denarium dell’imperatore Claudio,
con la “Pax Augustae”

Il denarium dell’imperatore Claudio, con la “Pax Augustae”

Ma è probabile che Canova avesse in mente anche la Minerva Ludovisi, antica statua romana del I secolo – rimaneggiata poi dallo scultore Alessandro Algardi nel ‘600 – al cui fianco appare un enorme serpente.

La Minerva Ludovisi

La Minerva Ludovisi

L’artista si impegnava a realizzare in tre anni un’allegoria della Pace a grandezza naturale, recante tre iscrizioni commemorative – in francese – dei trattati siglati dai Rumjancev.
Ma la minaccia della Grande Armée alla Grande Madre Russia finì col minare gravemente le idee filofrancesi del conte, che comunque tentò a lungo di dialogare con Napoleone, il cui volto, agli occhi del popolo russo, andava identificandosi sempre di più con quello dell’Anticristo. Intanto, da Roma, Canova scriveva all’amico Quatremère de Quincy: “La statua della Pace si farà (…) Ma io temo che alla pace generale non si farà statua per ora. Così si potesse farla, come io l’alzerei a mie spese!”.
Infatti, nel giugno del 1812 l’armata napoleonica cominciò ad invadere la Russia. A questa notizia, Rumjancev fu colto da un ictus, tragico simbolo del naufragio delle sue idee pacifiste, che segnò la fine della sua vita pubblica.  Ma lo scultore italiano continuava a lavorare alla sua Pace. In corso d’opera, a causa del conflitto, fu deciso che le iscrizioni non dovessero più essere in francese, ma in russo. Del resto, anche in Guerra e pace le conversazioni dell’aristocrazia passano progressivamente dal francese al russo. Alla fine, si decise però di puntare sull’“universalità” della lingua latina, cosa che dovette fare molto piacere a Canova: la presenza dei caratteri cirillici doveva sembrargli non opportuna in un’opera così profondamente ispirata all’antichità classica. La scultura fu compiuta nel maggio 1815, in quei Cent-Jours che precedettero il disastro di Waterloo, e la scomparsa del Bonaparte dalla scena europea. Quatremère de Quincy la definì subito “Une des plus estimables productions de Canova”. La maestosa figura di donna alata che schiaccia il serpente simbolo della guerra, dallo sguardo frontale, è protagonista assoluta; gli attributi allegorici non ne appannano la potente fisicità, accentuata dallo straordinario panneggio che sottolinea le forme della figura; la
capigliatura è finemente cesellata, virtuosisticamente modellata, come nelle Teste ideali realizzate dal Canova negli stessi anni. La Pace arrivò a San Pietroburgo nel novembre 1816, accolta, oltre che dal conte Rumjancev – ormai dedito all’otium, tra libri e opere d’arte – da una folla in delirio per la disfatta del tiranno francese, gonfia d’orgoglio nazionale, dunque incline a interpretare la canoviana figura alata come Vittoria-Nemesi, la dea che ristabilisce la giustizia.

La cosiddetta “Pace” di Kiev, 1815, di Antonio Canova

La cosiddetta “Pace” di Kiev, 1815, di Antonio Canova

Dieci anni più tardi, dopo la morte di Nikolaj Petrovič, fu avviata la cessione allo stato della vasta biblioteca e delle collezioni Rumjancev, che diedero origine alla Biblioteca Nazionale e al primo Museo pubblico russo. Nel secolo successivo, Canova patì la stroncatura di Roberto Longhi, che lo definì “lo scultore nato morto”. La bellezza eidetica ed essenziale delle sue opere era da tempo fuori moda. La Pace, un tempo osannata, era finita dimenticata in qualche corridoio o deposito. Nel 1953 viaggiò in silenzio fino al Museo Nazionale Khanenko di Kiev, fattavi trasportare da Kruscev – che aveva origini ucraine – appena diventato Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.  Qui continuò il suo sonno d’oblio. Gli storici dell’arte l’avevano data per dispersa: era nota solo per due bozzetti in terracotta (uno dei quali è conservato a Edimburgo, alle National Galleries of Scotland) e per il modello in gesso, terminato nel settembre 1812, oggi acefalo, conservato nel Museo Canova di Possagno.

Modello in gesso della Pace di Kiev di Canova, 1812. Possagno, Museo Gypsotheca Antonio Canova

Modello in gesso della Pace di Kiev di Canova, 1812. Possagno, Museo Gypsotheca Antonio Canova

Fu soprattutto lo storico dell’arte inglese Hugh Honour, con la sua rivalutazione del Neoclassicismo, a dare l’impulso a un nuovo fervore di studi e ricerche intorno a questo movimento e ai suoi autori, in particolare Antonio Canova. Su questa scia, la storia di quest’opera straordinaria quanto misteriosa, rimasta per tanto tempo ignota al pubblico, è stata rivelata. E ciò è avvenuto grazie al ritrovamento, nei primi anni duemila, da parte di Irina Artemeva (Conservatrice dell’Arte veneta presso il Museo Statale Ermitage) di una lettera di Antonio Canova nella Sezione Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Russia, a San Pietroburgo: una lettera all’ambasciatore russo a Vienna, che aveva fatto da mediatore nella commissione.
La Pace canoviana, nuovamente apprezzata, era esposta al Museo di Kiev ancora pochi giorni prima dello scoppio di questa nuova guerra, quando ancora molti speravano, come il conte Rumjancev, nella diplomazia. Ora si è di nuovo nascosta, al riparo dalle bombe, con il resto della collezione del Museo Khanenko. È stata forse proprio la fragilità della pace a ispirare a Canova un’immagine tanto bella e potente, tanto attuale rispetto al suo tempo quanto universale. E fa pensare il fatto che quest’opera, per tanto tempo, sia stata sostanzialmente dimenticata.

  1. Avatar giovanna
    giovanna

    Dalle notizie preziose e dalle icone qui riportate mi emozionano, oserei dire, ma è scontato, più e più mi feriscono l’immagine acefala del modello in gesso della Pace canoviana e le sue peripezie: l’opera un tempo osannata, poi dimenticata e rimasta per tanto tempo ignota al pubblico, colpita dal “sonno dell’oblio”, dispersa, poi rinvenuta, “di nuovo nascosta, al riparo dalle bombe”. Tutto questo racconta passo, passo la vicenda della pace nella storia recente , remota e presente del genere umano.

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