Silvia Pegoraro

Critica e storica dell’arte, progettista e curatrice di mostre indipendente, si è laureata all’Università di Bologna, e ha conseguito il Dottorato di ricerca presso la stessa Università. Qui ha collaborato, come docente a contratto, con la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, per l’insegnamento di Sociologia dell’arte, tenendo nel frattempo, per diversi anni, corsi di Teoria e Fenomenologia della Critica al Master per Curator all’Accademia di Brera di Milano. Ha fatto parte della redazione della rivista “Parol – Quaderni d’arte”, edita dall’Istituto di Estetica dell’Università di Bologna, e collaborato con altre riviste d’arte, di letteratura e di estetica, tra cui “Il Verri” e la “Rivista di filologia e critica”, oltre che con “Il Corriere della sera” e con “Il Messaggero”. È stata consulente della casa editrice Leonardo Arte di Milano (sezione International), come responsabile dell’edizione italiana di monografie dedicate all’arte moderna e contemporanea (Picasso, Dalì, Frida Kahlo, Modigliani ecc.).

Nota biobliografiaca di Silvia Pegoraro

RI-VELAZIONI: IL VELO COME METAFORA E MISTERO DELLA VISIONE. A PROPOSITO DELLE DONNE VELATE DI Rosetta Berardi

Arte

L’EREDITÀ DI EMPEDOCLE (IN MARGINE A UNA MOSTRA DI Anselm Kiefer A ROMA)

Arte

Mario Sironi: LA SOLITUDINE DI UN ANTICONFORMISTA

Arte

L’ORO DI Burri

Arte

LA PACE DI KIEV

Zoom

IMMAGINI DI PAROLE. A PROPOSITO DELLA PITTURA-SCRITTURA NELL’ARTE DI Luisa Gardini

Arte

LO SPECCHIO DELLA PITTURA: RITRATTO E AUTORITRATTO NELLA MODERNITÀ

Filosofia

CARTE PER ORIENTARSI. ERRANZA E PROGETTUALITA' DELLE OPERE SU CARTA NELL'ARTE CONTEMPORANEA

Arte

RI-VELAZIONI: IL VELO COME METAFORA E MISTERO DELLA VISIONE. A PROPOSITO DELLE DONNE VELATE DI Rosetta Berardi

Ciò che è nascosto affascina. Il velo è, per tradizione, la manifestazione di meccanismi di ostensione/occultamento presenti nella dimensione sociale, etnoantropologica e artistica. Esso partecipa altresì di quel gioco paradossale secondo cui necessariamente ci si focalizza sulla parte che si pretende coprire…                                                                       In uno degli illuminanti libri di Roland Barthes, Il sistema della moda, l’autore ci parla di come gli uomini riescano a produrre senso attraverso i capi di vestiario. Il velo è uno dei più suggestivi e antichi, per ciò che riguarda l’abbigliamento femminile, e si è riaffacciato sulla scena della contemporaneità, in questi ultimi anni, in seguito al dibattito circa il velo islamico. L’uso di velare la figura femminile, che gli stati islamici più integralisti impongono con legge ispirata alla Sharia, è antichissimo, e coinvolge l’Occidente cristiano che, fondandosi sull’autorità di San Paolo, contemplava per la donna la regola di portare sul capo “un segno della sua dipendenza”. Come sigillo di appartenenza a un uomo, il velo era prescritto tanto alle maritate che alle monache, vincolate rispettivamente a uno sposo terreno e a uno celeste. Le giovani nubili ne erano esonerate. Alle prostitute era vietato indossarlo, per distinguerle dalle donne “oneste”. Fino al 1983 fu imposto in chiesa quale espressione di rispettosa sottomissione a Dio. Del resto in tutti i territori rurali italiani, dalla valle Padana alla Sicilia, fino a qualche decennio fa era normale vedere le donne, soprattutto anziane, con il capo coperto da scialli e foulards…E questo rituale e intrigante “velamento” ha profondamente affascinato, sin dall’infanzia, anche Rosetta Berardi, siciliana di origine, che l’ha utilizzato in vario modo lungo tutto il suo percorso artistico. Scrive l’artista: “Alla morte di mio nonno, io undicenne pensavo con gioia al momento in cui in chiesa avrei indossato il velo nero. A sedici anni ho dipinto donne che indossavano lo scialle nero lungo fino ai piedi, così come l’avevo visto, piccolissima, indossare da mia madre e da mia nonna (…) È un talismano. Debolissimo nella sua trama ma fortissimo nel suo mistero.”                          In effetti, nella storia dell’arte occidentale, il velo ha un ruolo chiave, e non solo nella rappresentazione delle figure femminili: nella pittura, è il primo dispositivo prospettografico di cui si abbia notizia. Leon Battista Alberti lo descrive in quella parte del De pictura che tratta della “circonscrizione” (II, 31), ossia del disegno: “quel velo, quale io tra i miei amici soglio appellare intersegazione. (…) Egli è uno velo sottilissimo, tessuto raro, tinto di quale a te piace colore, distinto con fili più grossi in quanti a te piace paraleli, qual velo pongo tra l'occhio e la cosa veduta, tale che la pirramide visiva penetra per la rarità del velo”[1]                                                                 Il velo che Alberti situa fra il soggetto della visione e l’oggetto della sua rappresentazione costituisce dunque non un limite della visione ma una sua condizione: esso è ciò che permette di realizzare una rappresentazione “fedele” dell’oggetto rappresentato.                                            Veli sono le stesse tarlatane che Rosetta Berardi appone alle superfici di molti dei suoi dipinti, che ne attenuano e insieme ne esaltano le immagini, radicandole nella nostra mente proprio inter-ponendo una sottile trama di tessuto fra di esse e il nostro sguardo.

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