Foto di isaac Hartman da Pixabay

Il portolano segnala, da Tiro a Marsiglia
o da Napoli a Cartagine, tutte le indicazioni
che consentono di arrivare in porto.
Contiene annotazioni sugli scogli, le diverse profonditĂ ,
le direzioni e le giornate di vela, per ogni segmento
del tragitto. Il portolano non consente di fare il punto,
ma permette di riconoscere singoli punti …

Pierre LĂ©vy

Ne Il sistema periodico, Primo Levi si ispira agli elementi della materia inorganica, idrogeno, carbonio, uranio… e costruisce a partire da questo “alfabeto” una riflessione sull’esistenza umana che va ben oltre l’autobiografia di un chimico. Per chi non ha competenze specialistiche di chimica, i materiali, naturali o artificiali, non costituiscono soltanto l’ambiente in cui ci muoviamo quotidianamente, ma anche un altro “sistema periodico”, piĂą familiare e piĂą ricco di senso. La terra, la pietra, la carta, il ferro… sono anche riserve di simboli: le fonti primarie del nostro immaginario e delle metafore che ci permettono – come diceva Heidegger – di “abitare poeticamente il mondo”.

In questo alfabeto simbolico la carta occupa un posto singolare, perché è contemporaneamente materia e medium. Materia complessa, suscettibile d’infinite variazioni, e mezzo di comunicazione per eccellenza, poiché è stata, per secoli e secoli, supporto quasi esclusivo della scrittura e dunque, a questo titolo, supporto dello sviluppo delle civiltà: La carta è dunque il “fondo” sul quale si stagliano figure e lettere. Il “fondo” indeterminato della carta, il fondo del fondo, in un gioco di mise en abîme, è insieme superficie, supporto e sostanza (hypokèimenon), sostrato materiale, materia informe e potenza in potenza (dynamis), e induce un’anamnesi (de-costruttiva, forse) di tutti i concetti e i fantasmi che si sedimentano nella nostra esperienza della scrittura, della lettura e della visione.

Come materiale, la carta esprime inizialmente l’idea di fragilità, debole resistenza, leggerezza, effimero. Ed è, soprattutto, ciò che può essere facilmente bruciato. Memoria e labilità della memoria. Impero dei segni e impero della distruzione dei segni. La problematica della materia, secondo l’etimologia greca, è un’“iletica”, dalla parola yle, che significa appunto materia, materiale da costruzione, ma anche foresta, e legno, cioè il materiale da cui si produrrà in seguito la carta…

Nell’arte contemporanea troviamo carte tattili; carte illusorie e fertili; carte come morfologie di paesaggi cerebrali o emotivi, sospesi tra l’indeterminatezza del ricordo e l’attesa del futuro… Materiali che arrivano a sfiorare il grado zero della fisicitĂ : materiali mentali, concettuali, volatili, di evanescente concretezza, immediatezza percettiva, ectoplastica evidenza, colmi del fascino di una gestualitĂ  libera e veloce, quand’anche sia esatta e calcolata. Immagini che alternano carezze squisitamente visive, naufragi nel mare oscuro delle emozioni e lucidi percorsi intellettuali. Testimoni, comunque, del fatto che, come dice Pessoa, la vita non basta: occorre uscire dalla vita ed entrare nel labirinto delle sue immagini. Queste carte – una panoramica significativa del mondo dell’arte italiana –  sono insieme il labirinto e gli strumenti per orientarsi in esso. Come antichi portolani.

Nel Novecento, secolo che sconvolge le tradizionali categorie concettuali e scioglie le aggregazioni sedimentate nei secoli, elette e accettate, si dipana, allo stesso tempo, proprio come un labirinto, un intero universo di modi di rappresentazione, simultaneamente a disposizione dell’artista contemporaneo. Un universo compiuto, i cui elementi e materiali diventano l’oggetto della riflessione dell’artista, quasi la natura si fosse arricchita di nuovi individui, e il lavoro di imitatio o electio da parte dell’artista attingesse da questa popolazione allargata. E’ come se la storia dell’arte fosse pervenuta a una stazione terminale – ma solo all’interno del paradigma logico ed epistemologico tuttora in atto (si vedano le teorie di Thomas S. Kuhn): tale situazione permarrĂ  finchĂ© l’attuale paradigma non verrĂ  totalmente distrutto e sostituito da un paradigma nuovo. Per ora, è come se l’intero museo dell’arte, dalle origini sino ad oggi, appartenesse al repertorio visivo dell’artista. Così, all’interno del paradigma storico tra fine Novecento e inizio del nuovo Millennio, nel tempo del “compimento” dell’arte , l’artista opera mediante citazioni, anacronismi, o “spostamenti”: elabora nuovi oggetti “formali” attingendo a questo deposito di forme.

Eppure, entro questa atmosfera di manierismo radicale o eclettismo critico che è lo stile di quest’epoca storica, la costruzione, così come la fruizione dell’opera, richiedono di spingersi oltre la  percezione simultanea e puramente spaziale dell’opera, per inoltrarsi lungo un percorso anche cronologico, scandito dalle tappe di un progressivo avvicinamento all’idea, all’immagine, alla forma, dunque caratterizzato da un andamento progettuale, temporalmente prospettico, in divenire.

Così, nelle opere su carta, pur nell’estrema rarefazione e, per così dire, scarnificazione di materiali e mezzi tecnici – di per sĂ© ancorata a una forma di concettuale in senso lato – lo spazio angusto della superficie disegnata si rivela uno spazio imploso, con-citato, virtuale, carico di potenzialitĂ . Uno spazio ricchissimo, nel concreto della superficie, di elementi stilistici e immaginativi: il  divenire-reale, in nuce, di un’idea, o di un complesso di idee. L’esplorazione storico-museale del post-moderno convive qui con lo slancio utopico del moderno, sebbene calato, quest’ultimo, in una dimensione piĂą intima e introspettiva, rispetto a quella delle avanguardie.

Sosteneva Henri Focillon: “Il passato serve solo a conoscere l’attualitĂ , ma l’attualitĂ  mi sfugge. Che cos’è l’attualitĂ ?” George Kubler risponde definendo l’attualitĂ  come “un momento di oscuritĂ  tra un lampeggio e l’altro del faro, l’istante di silenzio nel ticchettare di un orologio: è uno spazio vuoto che scivola tra le maglie del tempo, il punto di rottura tra passato e futuro” [1]. PiĂą che il punto di rottura, si sarebbe tentati di osservare, forse il punto critico, cioè il punto di krisis, di passaggio, di trasformazione, tra passato e futuro.  In tal senso, queste carte sono profondamente attuali, critiche, metamorfiche: aiutano ad abbandonare l’ottica del lavoro artistico come sistema compiuto, per entrare in quella del progetto come prospettiva, cammino, tensione – forse asintotica – verso un’immagine compiuta, o verso un’immagine della compiutezza. In questo modo la rappresentazione, che abita la superficie dell’opera e la fa vivere, viene rapportata a un insieme di spazi non fisici, mentali, che sono parte del sistema dell’opera: la rappresentazione, piĂą che rappresentare qualcosa, allude a un’idea, a un oggetto pensato e sognato, attivando una serie di dispositivi “drammatici” e quasi “narrativi”, nel senso che si pone in prospettiva, prevede uno svolgimento, un divenire,  fisico o mentale, attuale o potenziale. Così queste opere contemporanee, forse, forniscono anche un’indicazione per superare la dicotomia tra orizzonte delle esperienze e orizzonte delle attese, individuata da Reinhart Koselleck, secondo il quale in etĂ  moderna le aspettative si sono sempre piĂą allontanate dalle esperienze, venendo a creare un divario diventato ormai incolmabile [2]. La teoria dello storico tedesco sembra confermata dalle vicende dell’arte d’avanguardia, che si è posta in una condizione di critica, se non di condanna, verso l’esperienza del passato, ossia verso la storia e la tradizione, mentre ha privilegiato la dimensione del futuro. E’ possibile equilibrare l’esperienza del passato con quella dell’avvenire? Trovare, allora, un punto di equilibrio tra un’idea di forma definitivamente strutturata, cioè un’immobilitĂ , e un divenire formale e concettuale?

Le “carte contemporanee” sembrano affidare il punto d’equilibrio in questione all’esperienza artistica intesa come azione nel presente, dove l’azione si radica in un saldo territorio memoriale, ma passa attraverso un profondo desiderio di creazione e di conoscenza, dando luogo a un mutevole gioco di climax e ponendosi sotto un indice vettoriale orientato in avanti.

Si pensi allora alla carta come materiale pieghevole, simbolo del labirintico continuum percettivo della vita, con il suo ripiegarsi in pieghe infinite…

Nel suo bellissimo libro La piega. Leibniz e il barocco [3], Gilles Deleuze, rileggendo Leibniz, ripercorre la sua teoria del continuo come ciò che non si frammenta in parti, ma si avvolge in un’infinità di pieghe. Il labirinto del continuo non è una linea che potrebbe dividersi in tanti punti indipendenti, come la sabbia si disperde in granelli: è invece come un foglio di carta, ripiegabile in pieghe sempre più piccole. La materia-piega è la materia-tempo, ed è la materia-vita, per la sua struttura organica, quasi “muscolare”: la materia piega è, allora, la materia-corpo. Ma la materia-corpo è anche la materia-pensiero: si pensi all’Hérodiade di Mallarmé, definita da Deleuze “il poema della piega”, in cui si parla del giallo ventaglio di Hérodiade attraverso l’ardita espressione metaforica “pieghe gialle del pensiero”.

L’elemento genetico ideale della curvatura variabile è l’inflessione, ciò che Paul Klee individuava come punto elastico, ponendolo all’origine di una linea attiva, spontanea, viva, mentre per il cartesiano Kandinskij il punto è duro, messo in movimento solo da una forza esteriore.

La materia carta-che-si-ripiega è la materia-tempo: la curvatura della linea che progredisce all’infinito è straordinaria figura del divenire.


[1] G. Kubler, La forma del tempo, Einaudi, Torino 1976, p.25.

[2] Cfr. R. Koselleck, La storia sociale moderna e i tempi storici, in La teoria della storiografia oggi, a cura di P.Rossi, Il Saggiatore, Milano 1988.

[3] G. Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, Einaudi, Torino, 2004

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