L’ORO DI Burri

Recensione della mostra BURRIRAVENNAORO, MAR – Museo d’Arte della Città di Ravenna, fino al 14 gennaio 2024

 “Il mio ultimo quadro è uguale al primo.”

“L’artista non ha nulla da innovare,                                                                                                                        essendo lui stesso a rinascere ogni volta, in parallelo all’arte.”

Alberto Burri

La ricerca artistica di Alberto Burri si è prestata a interpretazioni assai differenti, anche fortemente contrastanti, che di volta in volta hanno messo in rilievo la ricerca sulla materia, la trascendenza della stessa, il rigore formale e strutturale, il tessuto psicologico ed esistenziale, il sostrato culturale e storico-artistico. Una varietà di letture che forse solo nel loro insieme consentono una comprensione accettabile dell’arte di Burri. Un’arte che, comunque – se si osservano attentamente le varie fasi della sua lunga ricerca – appare mirabilmente coerente, si direbbe uguale a se stessa, richiamando in ciò quella di Morandi. In questa comprensione non ci aiuta l’autore, che non si è mai espresso con spiegazioni verbali circa la sua opera: “le parole non mi servono quando provo ad esprimermi sulla mia pittura. Perché essa è una presenza irriducibile che rifiuta d’esser convertita in qualsiasi altra forma d’espressione. [1]
Il MAR – Museo d’Arte della Città di Ravenna, ci ripropone il fascino del mistero Burri, sempre intatto e sempre rinnovato, nella mostra BURRIRAVENNAORO (nell’ambito dell’VIII Biennale di Mosaico Contemporaneo). Una mostra di un centinaio di opere, curata da Bruno Corà (Presidente della Fondazione Burri di Città di Castello), incentrata sull’intenso rapporto dell’artista con la città negli ultimi anni della sua vita.  All’origine di questo, l’interesse del ravennate Raul Gardini – alla guida del Gruppo Ferruzzi – per l’arte di Alberto Burri, interesse favorito dalla mediazione dell’architetto e storico dell’arte Francesco Moschini (divenuto in seguito Segretario Generale dell’Accademia di San Luca). Da ciò era scaturita un’importante committenza rivolta all’artista. Una committenza illuminata e intelligente, quella di Gardini, non rivolta esclusivamente a un ambito privato, personale o aziendale, ma intesa a coinvolgere tutto il tessuto urbano e sociale di Ravenna. In seguito all’avvio di questa collaborazione, Burri realizza alcuni lavori significativi, in stretto dialogo con la storia artistica della città: a partire, nel 1988, dal ciclo Neri a S. Vitale, grandi cellotex (“fogli” industriali fatti di segatura pressata, tenuta insieme con un collante) su tavola, dipinti in nero ad acrilico con pietra pomice, esposti ora in questa mostra. Dimostrano come sia veridica l’affermazione di Baudelaire secondo la quale un pittore può essere un grande colorista anche quando usa un unico colore: i Neri di Burri, giocando sull’opposizione opaco/lucido, intonano una vera e propria sinfonia di ritmi cromatici.

Alberto Burri, Neri a San Vitale, 1988, nell’allestimento della mostra BURRIRAVENNAORO al MAR di Ravenna.

Per proseguire, nel 1990, con la monumentale scultura site specific in ferro verniciato Grande Ferro R, per il piazzale del Palazzo delle Arti e dello Sport “Mauro De André” di Ravenna, dalla struttura che ricorda la carena di una nave rovesciata, memore dell’importanza del mare e del porto, antico (Classis) e contemporaneo, per la città di Ravenna. L’opera – ampiamente documentata in mostra con progetti, foto e plastici – è tutt’ora presente nel luogo deputato, maestosa e incombente, per quanto segnata dall’affronto delle intemperie e soprattutto degli uomini, e bisognosa di restauri. Dimostra molto chiaramente – nell’accensione cromatica e nell’assoluta evidenza dei piani reiterati ritmicamente nello spazio – come Burri, anche quando crea sculture, resti profondamente pittore, e desideri solo “mostrare l’energia di una superficie”.

Alberto Burri, Grande Ferro R, 1990, 10 elementi in ferro verniciato su base circolare, h m 9 x 16,25 m diam.

Un altro ciclo di dipinti – inizialmente denominato Bisanzio – è in lavorazione, sotto la direzione artistica di Francesco Moschini, quandotragici eventi, ben noti, pongono fine alla collaborazione di Burri con Gardini. L’artista non rinuncia però al confronto con l’arte bizantina, che si è espressa a Ravenna producendo i più bei mosaici della storia dell’arte, e porta a compimento il ciclo, intitolandolo Il Nero e l’Oro (1993) – ora in mostra al MAR – con evidente riferimento all’oro dei mosaici nelle antiche basiliche della città. Il percorso della mostra culmina con questi lavori in cellotex su tela dipinti con acrilico nero ed oro in foglia, e con i successivi, splendidi Cretti Nero e Oro (1994), in acrovinilico su cellotex su tavola, con oro in foglia.

Alberto Burri, Nero e Oro, 1993, Acrovinilico, oro, vinavil su tela, cm cm. 109×164, Città di Castello, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Ph A. Sarteanesi
Alberto Burri, Nero e Oro, 1993, Acrilico, oro in foglia, cellotex su tela, cm. 108×164, Città di Castello, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Ph A. Sarteanesi
Alberto Burri, Cretto nero e oro, 1994, acrovinilico, oro in foglia su cellotex applicato su tela, cm. 67.5×175, Città di Castello, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri

Le opere di precedente datazione, a partire dal delicatissimo piccolo Bianco del ’52 (olio, oro e vinavil su faesite su lexan), e da alcuni dei mitici Sacchi – Sacco ST 11 del ’54 e Sacco e oro del ’56 – sembrano raccontare un viaggio verso questa meta, che quasi coincide con la fine dell’avventura terrena di Alberto Burri (1995). A queste opere dei primi anni ’50 si riferiva il critico-sodale Emilio Villa – geniale figura di poeta filologo glottologo antichista ebraista biblista contemporaneista -quando dava luogo a una sorta di alchimia verbale capace di esprimere in poesia la primordiale energia creatrice di Burri:
“… dimessa cosmogonia, elegiaca esterrefatta composita, epos per istantanee tragedie quotidiane, miniatura rapsodica delle grandi formazioni nel tempo, avvenute senza traccia, o eventuali (…) Burri Alberto coltiva come in vitro, anzi come in lino, queste contrattili anatomie di organismi inespressi, incerti tra una parvenza di materiali biologici fuori uso e un ideale di fulminei universi tra il gigantesco e il minimissimo: una ambiguità spalancata, un desiderio di stringere ricordi di cose che devono chiarirsi: l’esistenza del mondo allo stato puro, fatta quasi eleganza, leggerezza pensata all’interno della materia, prima dell’unità e prima delle separazioni.” [2]

Alberto Burri, Sacco ST 11, 1954, Sacco, olio, oro, vinavil su cellotex, cm. 64,5×100.5, Città di Castello,                                 Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Ph A. Sarteanesi

Scritto nel ’53 su “Arti visive”, rivista d’arte della Fondazione Origine di Roma, questo testo criticopoietico s’intona perfettamente con quel “bisogno di attingere alla più ingenua, libera, primordiale natura” espresso nel manifesto del Gruppo Origine – nato nel 1950 e comprendente, oltre a Burri, Ballocco, Colla e Capogrossi – e costituisce nello stesso tempo un perfetto esempio di  quello che secondo Burri deve essere un testo critico, ossia un “discorso parallelo, una creazione autonoma rispetto all’opera stessa”. [3]
Così, allo stesso modo della lingua-azione di Villa [4], l’astrattismo aniconico di Burri può spazzare via simboli e sentimentalismi, recuperando dall’urna originaria tracciati labirintici che lo conducono alle soglie del nulla, nel tentativo di espugnare l’enigmaticità del reale.
Nell’opera di Burri, l’uso di materiali poveri, presi dal mondo della quotidianità (tele di sacco, legno, stracci, catrami, lamiere, terre, materie plastiche) è sempre sottomesso ed una composizione rigorosa, con una grande attenzione per le armonie cromatiche (la gamma sontuosa dei rossi, ad esempio, ha forse un precedente solo in Tiziano Vecellio).  Partizioni, contorni netti, aree materico-cromatiche esattamente delimitate, soggiogano la materia veicolandola in un reticolo di relazioni strutturali, in difficile equilibrio tra casualità e calcolo, tra natura e artificio, che può dirsi una sorta di manifesto di tutta la sua arte. Cade anche l’opposizione materia/forma, “schema concettuale classico di ogni teoria dell’arte e di ogni estetica” (Heidegger).
Come racconta la critica Marisa Volpi, Burri affermava ripetutamente che “I materiali non sono importanti”[5]. Forse, allora, ciò che conta è la materia nella sua trasformazione attraverso il lavoro artistico: la metamorfosi della materia nel tempo. Nel tempo dell’arte, la materia, già consunta, lacerata, oltraggiata, si in-forma.  Ciò che viene posto in essere è una trasformazione di un frammento del reale nella sua fisicità, che manipolato, lacerato, decomposto nel tempo viene ricostituito nel tempo della creazione artistica, secondo una precisa regola compositiva, e secondo una logica estetica. In questo senso, come affermava Fabio Mauri, per Burri “la lingua sperimentale è l’attitudine classica del linguaggio”, che lo apre alla bellezza.
La sperimentazione di altissima qualità nel campo della grafica, che in mostra è testimoniata da numerosi esemplari, e che porta Burri a vincere il Premio Nazionale dei Lincei per l’opera Grafica nel 1973, è forse ciò che spinge la poetica di Burri verso la ricerca di essenzialità e rarefazione, verso quella che Francesco Moschini ha definito “astrazione grafica della materia” [6].  

Alberto Burri, Serigrafia 12, 1986/88, cm. 70×100, Fano, Stamperia Fausto Baldessarini, Città di Castello, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri

I cicli Neri a San Vitale, Il Nero e l’Oro e i Cretti Nero e Oro, rappresentano un apice di purezza, nella ricerca estetica di Burri: lo accompagnano, verso la fine della sua vita, ad una semplificazione estrema della sua materiaforma, che coincide con un rinnovato senso del sacro. Dalle trame tormentate e consunte della tela di sacco del saio di San Francesco esposto in Assisi, di cui parla Francesco Moschini [7], ai preziosi bagliori di luce delle trame musive, nell’oscurità delle basiliche ravennati. Frammenti di un iperuranio bizantino sulla nuda terra. Osservando queste opere in sequenza, si coglie una graduale infiltrazione del nero nell’oro, e viceversa. Sembra suggerirci che ogni creazione di forme pure, chiare, definite, dalle superfici vibranti e luminose, è portatrice di nuove ombre, di oscurità: “L’arte ci ha insegnato che non esiste superficie veramente bella senza una terrificante profondità”, scrive Friedrich Nietzsche.
In questo dualismo luce/oscurità si riaccende una sorta di simbolismo, in Burri, aldilà di ogni retorica verbale. Resta la povertà dei materiali, ma campita in uno spazio di purezza inattaccabile. Non è difficile immaginare i dipinti di Nero e Oro come pale d’altare… Scriveva, ancora, Emilio Villa: “Burri rende contenuti maestosi con mezzi addirittura trasandati, consunti, acidi… Egli ha il sentore delle materie in disuso… Elabora un’articolata, flessibile, lucida litania.[8]

SCHEDA TECNICA

Sede: MAR – Museo d’Arte della città di Ravenna, via di Roma 13 (0544 482477)                                     
Periodo: 14 ottobre 2023 – 14 gennaio 2024                                                                                                             
A cura di: Bruno Corà
Enti organizzatori: Comune di Ravenna – Assessorato alla Cultura e Mosaico, Comune di Ravenna – Assessorato al Turismo, MAR – Museo d’Arte della città di Ravenna, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri
Con il contributo di: Ministero del Turismo, Regione Emilia-Romagna, Fondazione Raul Gardini, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Romagna Acque Società delle fonti
Catalogo: Sagep Editori
Orario: dal martedì al sabato 9-18; domenica e festivi 10-19, lunedì chiuso (il servizio di biglietteria termina ora prima della chiusura)
Aperture straordinarie: sabato 14 ottobre apertura fino alle ore 24.00 in occasione della Notte d’Oro di Ravenna
Aperture festive 10.00-19.00: mercoledì 1 novembre, venerdì 8 dicembre, martedì 26 dicembre 2023, lunedì 1 gennaio e sabato 6 gennaio 2024
Chiusura istituzionale: lunedì 25 dicembre 2023


[1] Cfr. The new decade: 22 European Painters and Sculptors, catalogo della mostra, Museum of Modern Art, New York 1955, pag 82.

[2] E. Villa su Alberto Burri, in “Arti Visive”, n.4-5, maggio 1953.

[3] Cfr. G. Serafini, Burri, Milano, Edizioni Charta, 1999, pag 57.

[4] Emilio Villa è autore a sua volta di un’opera musiva a fondo nero realizzata nel 1986 insieme agli studenti e docenti dell’Istituto Statale d’Arte per il Mosaico G. Severini di Ravenna, e attualmente presso il CIDM – MAR di Ravenna

[5] Cfr. M. Volpi, “Tecniche e materiali – Alberto Burri”, in “Marcatrè”, Roma, 1968, nn. 37/38/39/40, pp. 67-68.)

[6] F. Moschini, Alberto Burri – Passaggi/Paesaggi oltre la soglia, in Alberto Burri – Graphein – L’opera grafica, catalogo della mostra tenutasi a San Gemini, Palazzo Vecchio, Comune di San Gemini, 24 settembre – 9 ottobre 2011, a cura di A.  Masi.

[7] Ibidem.

[8] Cfr. E. Villa, Pittura dell’ultimo giorno, Le Lettere, Firenze, 1996

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