
Il punto cieco, per la medicina, è una piccola zona cieca presente in entrambi gli occhi, dove il nervo ottico esce dalla retina. Si tratta di una parte del campo visivo che non viene percepita perché non ci sono cellule fotorecettrici che rilevano la luce. La sua funzione non è ancora del tutto chiara, ma molti studiosi ritengono che questa macchia cieca sia di fondamentale importanza per sollecitare il cervello a esaminare con maggiore attenzione le immagini osservate. Potremmo dire che il non visto può aiutare a vedere meglio quello che, pur essendo evidente, non viene percepito. Questa situazione sembra descrivere efficacemente il tempo che viviamo: siamo finiti dentro un punto cieco in cui non vediamo più o, forse, non vogliamo vedere, quello che lo sguardo rivela. Assistiamo disorientati, impotenti e dolenti- molti, ma non tutti evidentemente- ad avvenimenti e decisioni unilaterali che scompongono un intero sistema di relazioni e norme, mettendo in crisi, forse irreversibile, Organismi internazionali deputati a far rispettare regole e inverare e tutelare valori e diritti sanciti da Carte e Dichiarazioni. Le sentenze della Corte Penale Internazionale vengono derise e ridotte al rango di fastidiose opinioni; personaggi indagati per una lunga serie di crimini vengono trattati con ogni riguardo; capi di governo su cui pende un mandato di arresto emesso dalla CPI per crimini contro l’umanità e crimini di guerra vengono ricevuti in pompa magna da governi che hanno ratificato il trattato istitutivo della Corte. Ancora, il Presidente degli Stati Uniti dichiara che prenderà, con la forza se serve, la Groenlandia e annetterà il Canada come cinquantunesimo, bontà sua, Stato degli U.S.A senza che questo produca molto di più di un’alzata di spalle o il trattamento che si riserva ad una espressione bizzarra e, in fondo, innocua. L’emergere brutale, senza mediazioni, di una nuova logica imperiale che trasforma il mondo in una piatta mappa per il Risiko dei potenti, in cui persone, popoli, culture, diritti sono ridotti a sbiadite tessere di un mosaico frantumato, scava linee di faglia e solchi che corrono lungo tutte le coordinate geografiche e geopolitiche del pianeta.
La pretesa americana di avere libero accesso allo sfruttamento delle risorse minerarie dell’Ucraina – una vera e propria estorsione, anzi un atto di guerra – come risarcimento per l’aiuto dato per fronteggiare l’aggressione russa, viene spacciato per una soluzione di pace. All’attacco terroristico di Hamas, il 7 ottobre 2023, con l’uccisione 1200 tra civili e militari e il rapimento di circa 250 ostaggi, è seguita la reazione dello Stato di Israele che ha causato oltre 50.000 vittime, fra cui più di 13.000 bambini. La rivista scientifica Lancet, in un articolo pubblicato nel giugno del 2024, afferma che contando anche le “morti indirette” il numero delle vittime potrebbe raggiungere almeno le 186mila persone, cioè il 7,9% della popolazione di Gaza. Nella quasi totalità dei commenti questo è stato definito “un eccesso di difesa”. Anche a voler mettere in discussione i numeri, certo non si può negare che, fossero10.000, 20.000 o 2.000 le vittime, quella in atto è una strage degli innocenti. Per il principio, etico ancor prima che giuridico, dell’autodeterminazione dei popoli, sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, nessun popolo è responsabile collettivamente. Anche questa acquisizione, frutto di un lungo cammino di riflessione ed elaborazione, in particolare dopo i due conflitti mondiali del secolo scorso, sembra sepolta sotto le macerie di Gaza. E che dire della reiterata volontà di Trump di deportare la restante popolazione di Gaza in altri Paesi – come se si potessero lanciare le persone come una manciata di coriandoli – per fare di quella terra una Las Vegas per ricchi milionari? E le reazioni, che pure ci sono state, sono lontanamente paragonabili, per fermezza e incisività, alla violenta protervia di tali affermazioni?
La decisione americana di imporre dazi alle merci provenienti da altri Paesi, in pratica da tutto il mondo, in spregio ad accordi commerciali e trattati ha inferto un ulteriore colpo all’architettura di regole, che pur tra tanti limiti e contraddizioni, ha retto l’ordine internazionale incarnato dall’ONU, dal lavoro delle sue Agenzie e degli altri Organismi sovranazionali. L’eventualità che questa scelta, definita dal Wall Street Journal “la più stupida guerra commerciale della storia”, possa innescare una terribile dinamica di recessione e inflazione, arrivando così ad una stagflazione che causerà ulteriori e gravissimi danni, sembra non turbare né il sonno del presidente americano, né- e questo è davvero molto difficile da comprendere – quello di chi, pur essendo fra i soggetti colpiti si affanna a minimizzare e ridimensionarne le conseguenze.
A questo sommario quadro si devono aggiungere, altro “vistoso” punto cieco, i cinquantasei conflitti in atto nel mondo – il numero più alto dalla Seconda Guerra Mondiale – che secondo i dati del Global Peace index, pubblicati nel giugno del 2024 dall’Institute for Economics &Peace – hanno causato oltre 233.000 vittime, coinvolto 92 Paesi e costretto alla migrazione oltre 100 milioni di persone. Dobbiamo accettare, possiamo accettare, come un dato di realtà ineluttabile che il nuovo ordine imperiale sia fondato sulla legge del più forte, senza limiti e senza regole? La legge del silenzio imposto, contro ogni parola dissonante e libera?
Nel mese che vede l’ottantesimo anniversario della Liberazione del nostro Paese dal nazi-fascismo, il panorama che viene offerto al nostro sguardo è segnato da una costellazione di punti ciechi che disegnano la mappa, sottesa, di una contemporaneità affannata e immobile sul bordo del presente, come se questa fosse la sola dimensione vera del tempo. Questa religione del presente, questo nuovo feticcio che rende tutto nuovo, tutto epocale, leggero e libero dai pesi delle conseguenze di quanto accaduto e dalle scelte delle donne e degli uomini delle generazioni precedenti, implica, come condizione necessaria per la sua istituzione, una poderosa rimozione di conoscenza e di consapevolezza. Il passato è uno spazio vuoto, abitato da ombre sfumate che non potranno più trovare il corpo della storia. Da qui nascono i continui tentativi di disconoscere l’importanza e il valore della lotta partigiana come atto di nascita della Repubblica; l’azzardo osceno di minimizzare stragi ed eccidi e di equiparare torti e ragioni; l’ostentazione di riti e simboli del fascismo e la rivendicazione violenta di quell’eredità; la “difficoltà” di chi ha giurato sulla Costituzione a riconoscere l’antifascismo come valore fondante dell’Italia repubblicana nata dalla Resistenza. Si vuole fondare una nuova era che non ha nessun rapporto con la storia precedente. Anzi, la storia nasce ora, come figlia legittima di questo nuovo tempo. Pazienza, se poi, a ben vedere il sovranismo non è altro che la versione attuale del nazionalismo autoritario che ha generato guerre e distruzioni e, dunque, nulla di quanto ci viene propinato è veramente nuovo. L’elenco delle aspettative deluse, delle ingiustizie, delle diseguaglianze, dei soprusi piccoli e grandi, delle ipocrisie e delle incoerenze – plateali e no- sarebbe ancora molto lungo. Potrebbe, quindi, sembrare che la somma dei problemi, delle amnesie, delle codardie alzi un muro così alto da scoraggiare qualunque azione. Ma, per nostra fortuna, questo muro, come tutti i muri, è vulnerabile, meno solido di quanto possa sembrare visto solo da lontano. Sotto quel muro scorrono mille rivoli di passioni non domate, di intelligenze non sopite, di consapevolezze non smarrite. Occorrono, ora, correnti di domande, forti ed esigenti, per unire in un grande fiume quei rivoli. Le stesse domande contenute in ogni valore e in ogni diritto scolpito nella nostra Costituzione, nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, nelle Carte e nelle norme che, con grande fatica, hanno edificato l’edificio, certo non perfetto, della democrazia.
Le domande, queste domande, nascono dallo sguardo sul mondo e sulla condizione umana. Per vedere occorre trovare il passaggio, oltre tutti i punti ciechi. Oltre il punto cieco della guerra, della violenza, dei nazionalismi e dei razzismi. Quello che accade con l’occhio umano, in cui i punti ciechi possono aiutare a vedere meglio si può verificare anche con l’occhio collettivo, l’occhio della società, trasformando i punti ciechi in punti di luce, facendone un fattore di forza per costruire, insieme, una visione nuova.
Per far questo, per uscire dalla macchia cieca, dobbiamo far ricorso alla più rivoluzionaria, nella sua accezione laica, delle virtù, alla più trasgressiva delle passioni: dobbiamo dare e darci speranza perché nessun governo, nessun presidente, nessuna violenza, nessun sopruso potrà fermare i moti della libertà e della dignità.
Dopo ottanta anni e guardando al lungo cammino percorso, alle luci e alle ombre che ne hanno segnato i passi, possiamo fare e farci gli auguri, per noi e per la nostra democrazia, ricordando la poesia di Renata Viganò, scrittrice, poeta e partigiana:
Ma io vorrei morire anche stasera
e che voi tutti moriste
col viso nella paglia marcia
se dovessi un giorno pensare
che tutto questo fu fatto per niente.
No, la Resistenza non fu fatta per niente. Ma allora come oggi, in condizioni storiche davvero molto diverse, occorre andare oltre i punti ciechi. Sempre.
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