Il succo d’arancia offertomi dalla hostess, mi riportò alla realtà.

L’ultima ora prima dell’imbarco l’avevo trascorsa nel mondo virtuale di WhatsApp dove riesco ad esprimere pensieri che a voce suonano maledettamente retorici.

Mio fratello nel salutarmi all’aeroporto mi aveva appena regalato un magnifico diario per prendere appunti. Ora, in aereo, cominciavo a stare meglio e la mente lasciava fluire ordinatamente i pensieri come un fiume che scorre in pianura. Fino a quel momento avevo provato un tumulto di emozioni e sentimenti che si accalcavano gli uni sugli altri in modo frenetico e talvolta confuso, facendo sì che la felicità talvolta si mischiasse al dolore, l’amore, l’amicizia, la riconoscenza, il rancore e la tenerezza si fondessero in un unico fluido che avvolgeva l’anima e iniziai a scrivere e non smisi più fino alla fine della mia permanenza in Eritrea.

Avevo deciso di fare l’esperienza dell’insegnamento nelle scuole italiane all’estero per tantissime ragioni, un po’ perché ciclicamente ho vissuto in varie nazioni europee e negli States ed essendo più di venti anni che stavo fissa a Roma, cominciavo ad essere insofferente. La mia voglia di imparare e fare sempre nuove esperienze, unite ad una grande curiosità, mi hanno spinto ad attecchire facilmente in qualunque situazione, a farmi amicizie nuove e sempre durature che mi hanno accompagnato per tutta la vita. Inoltre, inutile negarlo, il movente economico era piuttosto forte perché dopo la fine degli studi dei figli, i miei risparmi erano esauriti e l’avvicinarsi della pensione mi dava una certa preoccupazione.

La scura notte di Asmara mi accolse fredda, ma non minacciosa. Dalla macchina che era venuta a prendermi all’aeroporto alle quattro del mattino intravedevo, illuminate solo dai fari, costruzioni vecchie, ma che si capiva che erano state belle. Figure sottili di uomini e donne avvolte in candidi abiti tradizionali camminavano frettolosamente: ma dove andavano a quell’ora? Erano diretti alla chiesa. Erano di religione copta e le loro funzioni religiose cominciavano a quell’ora per finire alle nove del mattino. Ne rimasi molto sorpresa.

L’albergo dormiva in un buio pesto. Il mio contatto ad Asmara chiamava al telefono la reception, ma nessuno rispondeva. Finalmente una figuretta di uomo traballante per il sonno e la costituzione gracile apparve al cancello. La mia camera era al secondo piano e mentre già mi disperavo al pensiero di dover trascinare sui bagagli, l’uomo gracile, ma fortissimo, in un lampo portò su per le scale le mie quattro pesanti valigie che contenevano tutto ciò che mi serviva per vivere e lavorare almeno per i primi mesi, fino all’arrivo del container che mi avrebbe consentito di sistemarmi in modo minimamente confortevole in un paese in cui acqua ed elettricità sono degli optional.

Con la forza delle unghie scartocciai la valigia avvolta nel cellophane verde, quello che si mette negli aeroporti per protezione. Avevo fretta di tirar fuori un piccolo accumulatore caricato ad energia solare e così accesi la lampadina collegata ad esso e mi sentii meglio.

La mancanza di corrente oltre a tutti i disagi pratici mi faceva sentire tagliata fuori dalla mia vita in Italia, il buio inghiotte tutto e ci si sente soli. In albergo c’era internet, ma molto debole tanto che con WhatsApp potevo inviare e ricevere solo messaggi di testo, niente foto né chiamate. Il Kindle che ti permette di leggere in qualunque situazione ti salva la testa e l’umore. Seguendo riga dopo riga i pensieri dello scrittore dimentichi i capricci del generatore e la luce sembra accesa.

L’Eritrea è una terra bella e struggente nella sua dignitosa povertà; Asmara ha un cielo che ti riempie il cuore e ti ridà il fiato che l’altitudine ti toglie.

Tutti i giorni ti svegli con la certezza che un sole caldo ed affettuoso splenderà nell’immenso cielo color pervinca solcato da falchi, aquile e cicogne che con ali spiegate volano talvolta ad un’altezza inaudita, oppure bassi bassi da potergli vedere il becco; sono un incanto: ci sono perfino dei piccolissimi colibrì che suggono il nettare dei fiori battendo velocissimamente le ali tanto da restare fermi sospesi a mezz’aria e passerotti di colori sgargianti, blu, rossi e gialli, che sembrano dipinti con i pennarelli.

Certo la vita è difficile: ci sono periodi che non si trova il pane, altri che non si trova il latte, oppure c’è, ma manca il tetrapak e te lo vendono dentro buste di plastica. Per ottenere la bombola del gas occorre una lunga procedura burocratica e in qualche modo te la devi portare a casa, ma il peggio è quando non si trova l’acqua da bere. Quella erogata periodicamente non è potabile, lo sarebbe in teoria, ma ogni casa la accumula in serbatoi che non sono puliti regolarmente e spesso sono pieni di ruggine e di altre sporcizie.

L’Eritrea è un paese ricco di risorse minerarie e materiali preziosi, ma queste ricchezze non sfiorano la popolazione che vive in condizioni miserrime. Le strade sono piene di poveri, bimbi vestiti di stracci che si ammucchiano sulle madri sedute per terra che chiedono l’elemosina mentre li allattano o gli puliscono il culetto dai bisogni fatti per strada. La polizia ogni tanto fa dei raid e li caccia perché il governo proibisce l’accattonaggio.

Dopo la pace con l’Etiopia tutti si erano riempiti di speranza, erano state riaperte le frontiere verso il Sudan e l’Etiopia, ma dopo un breve periodo in cui nessuna riforma è stata fatta, tutto è tornato come prima, forse peggio. Lì ho dato un volto e un nome ad alcune di quelle persone, mai arrivate a destinazione, che qui chiamiamo genericamente “migranti”. Ho parlato con le loro famiglie, ho ascoltato le loro storie, ho conosciuto i nipotini chiamati con il nome del parente partito e spesso, troppo spesso, mai arrivato a destinazione.

Sovente le famiglie si danno da fare per raccogliere i risparmi e darli ad un giovane che partirĂ  per il nostro mondo, farĂ  fortuna e manderĂ  a casa il denaro per aiutare la famiglia, diciamo così … da “sponsor”.

Una volta un mio alunno di seconda era molto agitato e distratto e non riuscivo in nessun modo a farlo lavorare. All’uscita venni a sapere che la creatura si era svegliata quella mattina e non aveva trovato la mamma che era partita. Non lo aveva preparato a questo evento perché tutto doveva avvenire in gran segreto per paura che il bambino potesse dire qualcosa in giro e mandare a monte la partenza. In un paese dove la delazione è pratica comune perché incoraggiata, bisogna stare molto attenti.

Ho conosciuto però anche tante mamme terrorizzate al pensiero che uno dei figli prendesse la decisione di partire di notte sulle piste a dorso di cammello per attraversare il confine, superare il deserto e tutte le difficoltà che ormai conosciamo per arrivare da noi.

Lo sappiamo bene, purtroppo spesso non ce la fanno, ma anche quando arrivano a Lampedusa o su altre nostre spiagge, sani e salvi, non sempre riescono a diventare il sostegno a distanza per le loro famiglie e lì allora vengono fuori le menzogne per non ammettere di aver fallito e che l’Occidente non è la terra promessa che avevano sognato. Quando erano a casa non lo sapevano, perchĂ© i racconti sono diversi. Certo in passato non era così: tanti hanno fatto fortuna in America ed in nord Europa, ma ora è piĂą difficile, tuttavia la fame e le difficoltĂ  nutrono sogni ardui da realizzare.

Ho anche conosciuto un migrante riacciuffato e sbattuto in galera. Le prigioni eritree sono molto singolari: prima di tutto le famiglie non sanno dov’è recluso il loro congiunto poi, finchĂ© non si fa il processo, il prigioniero non riceve cibo perchĂ© lo Stato nutre solo chi sta scontando la pena e non chi è in attesa di giudizio. E come si fa quindi? Si ungono un pochino gli ingranaggi e si riesce a sapere in quale prigione si trova il parente e poi si porta un po’ di cibo che viene sempre diviso con coloro che non hanno nessuno che possa ungere ….

Sono rimasta in Eritrea per quattro anni vissuti tra le meraviglie della natura, la bellezza di Asmara, la cordialità e la gentilezza delle persone, la dolcezza e il rispetto degli alunni e delle loro famiglie. C’è stato anche il tempo del Corona virus: la quarantena in una struttura locale e il periodo del lockdown che, già di per sé è un’esperienza dura, in Eritrea ha assunto toni a tratti avventurosi e inimmaginabili per un occidentale. Quattro anni decisamente intensi e indimenticabili. Ma forse, più di ogni altra cosa, Asmara è stata un viaggio dentro me stessa: ho conosciuto la mia anima, le mie insofferenze, la mia pazienza, la mia durezza ed ho messo alla prova la mia resistenza.

Ho conosciuto cose che hanno interrogato la mia coscienza e certe volte ho girato la faccia dall’altra parte per paura, per viltà o per prudenza, ma ciò non mi assolve.

Ho conosciuto più da vicino gli esseri umani: in condizioni di stress, continuare ad essere sé stessi, fedeli alle proprie idee, a ciò che si vuole essere, non è facile. Gli equilibri sono sempre in bilico e si oscilla tra picchi di depressione e frenetiche euforie. Io osservavo, pensavo, attendevo.

Il tema dell’attesa mi ha inquietato; poi ritrovavo lucidità nel rendermi conto che li avevo tempo, tempo solo per me. Pensavo, leggevo, vedevo film, scrivevo e dipingevo. Non è poco: è un lusso che forse non avrei avuto mai più e che forse avrei rimpianto? No, non lo rimpiango. Io ho bisogno dei miei cari, del loro contatto e tutto quel tempo spesso sapeva di prigione.

Le pagine bianche del diario mi sollecitavano a scrivere. Mi aiutavano a fermare pensieri e sensazioni che altrimenti sarebbero scappati, si sarebbero accumulati come in un sacco informe in qualche angolo della mia testa e forse un giorno non avrei saputo piĂą raccontarli.

  1. Avatar Danilo Anedda
    Danilo Anedda

    Il racconto è coinvolgente e traspare che questo rappresenta solo una piccola parte delle esperienze vissute, che si vorrebbe raccontare tanto altro, impetuosamente e travolgente, che ora è solo contenuto nei ricordi ma che fra poco tracimera’ tutto insieme per confluire in qualcosa di piĂą di questo articolo.
    Bello !

  2. Avatar Maura Anedda
    Maura Anedda

    Non so se avrò mai la capacità di scrivere qualcosa di più. Però è vero , ci sarebbe tanto da raccontare soprattutto per testimoniare qual è la realtà eritrea.

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