“A guardare nei ricordi sembra ancora ieri…” comincia così Il ’56,una bella canzone del 1978 di Francesco De Gregori, cantautore mio coetaneo. E questa canzone mi ha sempre intrigato un po’ senza sapere bene perché. Ma quando canta “…eravamo forse solo nel ’56… un bambino, un bambino”, quel bambino ero io, l’identificazione cominciava a prendere forma. Poi più avanti prosegue: “Mi ricordo le fotografie dei carri armati, io passavo i pomeriggi a ritagliarle…” e qui mi bloccavo perché io non ho mai ritagliato foto né di carri armati né di altro, ma i carri armati in foto li ricordo. Erano sul giornale che mio padre portava a casa: L’Avanti. E di carri armati orecchiavo la sera quando mio nonno finita la cena, portava la sua sedia davanti alla vetrina dove c’era la radio e cominciava a smanettare la manopola della sintonia fino a fermarla quando cominciava a sentire gli squilli di tromba che annunciavano l’inizio delle trasmissioni in italiano di Radio Praga. Chissà se ricordo bene, se era davvero Radio Praga o un’altra emittente che comunque arrivava dall’Est, da quel mondo di cui già avevo sentito parlare in famiglia, il mondo lontano e vicino della grande Unione Sovietica, agognato paese dove i lavoratori e i contadini avevano fatto la rivoluzione e ora stavano bene. Non come da noi, sfruttati e uccisi dalla polizia. Nel ’56 io avevo 5 anni ma la mia politicizzazione, lentamente, comiciava così, in famiglia, respirando antifascismo da un nonno memore delle botte ricevute per aver rifiutato il Sì al Plebiscito del 1929 e da un padre che aveva smesso di frequentare la fede e la Chiesa per il tradimento subito nell’elezioni del 1948. E poi dalla zia, che rispondeva ad ogni mia infantile curiosità e mi portava al cinema. Lei era stata in Russia, anzi proprio in Unione Sovietica, tornandone felice ed entusiasta. Quindi quel ’56 che stava vivendo la rivolta ungherese arrivava in casa mia da Radio Praga, dall’Avanti e da Radiosera, con quella sigla travolgente che mi ammutoliva. Ma cosa poi concludessero i miei famigliari non saprei raccontare. Non si può pretendere da un bambino di cinque anni di fare una sintesi così complessa. Sta di fatto che la famiglia era socialista e saltuariamente ospitava in casa le riunioni dei compagni del partito. Un fiume di parole che oltrepassava il muro della stanza dove andavo a dormire per naufragare inesorabilmente ai piedi del mio letto. L’unica cosa che imparai è che da grande volevo diventare un compagno anch’io. Ho ripensato a quell’infanzia per la verità mai sepolta, molto spesso nel corso della mia vita. L’ultima volta seduto al cinema davanti a Il sol dell’avvenire, scoppiettante film di Nanni Moretti, autore che amo molto, e che ritorna alla sua tradizionale poetica dopo una parentesi che non ho apprezzato: quei Tre piani suggeriti da Eschkol Nevo. Moretti ha esordito in Super8, un formato amatoriale che ho praticato anch’io perché era il più economico per una generazione (la mia) che aspirava a raccontare e raccontarsi. E lui lo fece autarchicamente ma in modo divertente e divertito con grande successo, che lo fece uscire dall’undergroud e lo portò sui grandi schermi con Ecce bombo. L’ho visto una decina di volte, un po’ per piacere (due volte), e un po’ per dovere (le altre 8) avendolo proiettato ininterrottamente durante l’occupazione dell’Istituto magistrale a studentesse e studenti di tutta la città. E in Ecce bombo c’è una scena fondamentale. Il gruppetto di giovani in cerca di se stessi vuole vedere l’alba ma sbaglia clamorosamente costa e si accorge che il Tirreno non offre questa possibilità. È fondamentale perché testimonia lo sbandamento, il disorientamento non solo geografico, ma quello di una generazione che non sa più dove volgere il proprio sguardo, cercare un nuovo impegno: il ’68 è lontano, il ’77 le ha lasciato il “riflusso” come magra eredità e quando si affanna a sperimentare una nuova vita l’unica cosa che azzarda è “…mi interesso di molte cose, cinema, musica… leggo…” – “sì, ma concretamente?” – “Te l’ho detto… giro, mi muovo… faccio cose, vedo gente…”. Nel 1978 il mondo era cambiato ed Ecce bombo fotografava e fissava un vero passaggio epocale. Poi arriva il 2023 e siamo in un altro mondo ancora. In un altro film! Leggo che la prima stesura della sceneggiatura viene completata nell’estate 2021, poi mentre la macchina da presa comincia a girare lo scenario internazionale cambia radicalmente. Chissà cosa è cambiato nel film rispetto alla sceneggiatura originale. Moretti, così profetico ne Il caimano, in Habemus Papam, non può non aver pensato che il film sarebbe uscito nell’Europa in guerra. Quindi mi appresto alla visione con una certa ansia. Ho visto il trailer, lui strappa Stalin, c’è il 56, l’Ungheria. C’è un passato pesante nella storia della sinistra. Troverò risposte?
Il sol dell’avvenire ci mostra tanti film nel film. C’è Giovanni, regista, che gira un film su Ennio, redattore de L’Unità e segretario di una Sezione comunista un po’ problematica, alle prese con la repressione sovietica dell’Ungheria. C’è la moglie di Giovanni, che non lo sopporta più e per questo ha intenzione di lasciarlo, produttrice con finanziatori coreani di un film “crime” di becero intrattenimento, il cui giovane regista smania per la violenta scena finale. C’è il film su due giovani innamorati che stanno interpretando una scena in cui lei riceve le battute direttamente dal regista insoddisfatto del copione predisposto e dell’indecisione della ragazza. Giovanni sta anche progettando un film su un personaggio che raggiunge la sua destinazione solamente nuotando di piscina in piscina. E su tutte queste storie, in un mare di canzoni che nascondono ed evidenziano la voglia di un musical, incombe il sarcasmo di Giovanni che pontifica con smisurato egocentrismo e dispensa sentenze taglienti e sprezzanti su tutto e tutti, dalle ciabatte che lasciano scoperti i talloni a Netflix che impera su 190 mercati. Ne risulta un agglomerato estremamente divertente e amaro allo stesso tempo, dove pubblico e privato si mescolano perché proprio come nella vita vera sono inscindibili e confusi. Fino alla scena finale, che non mi piace raccontare, perché la si può trovare in tutte le recensioni, e non amo spoilerare spudoratamente. Alla fine però la mia domanda iniziale resta sospesa. Sarebbe davvero bello poter fare la storia anche con i “se” ed è soprattutto facile rifarla una sessantina abbondante di anni dopo col “senno di poi”. Ma nel ’56 che informazioni arrivavano ai compagni? Quelle di Radio Praga erano quelle degli insindacabili invasori, quelle di Radiosera erano la voce del padrone: non potevano essere vere! E invece… Abbiamo dovuto aspettare il manifesto per cominciare a criticare il socialismo reale e poi Berlinguer per non riconoscere più all’Urss un ruolo guida. Ma nel ’56… tutta un’altra musica.
Oggi il sol dell’avvenire, che sembrava sorgere da un libro, nell’emblema dell’estinto partito socialista, non brilla più nella mente e nelle speranze e non è più presente in nessuna iconografia della sinistra.
L’ha rispolverato Nanni. Come sarebbe bello il mondo se…

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