La storia

Il regista Giovanni (Moretti) inizia le riprese del suo ultimo film, ambientato nella Roma del 1956, quando un’intera sezione del PCI ospita gli artisti ungheresi del Circo Budavari. Ma l’Ungheria viene invasa dalle truppe sovietiche e l’esperimento libertario suscita interrogativi sul ruolo della politica italiana togliattiana. I dubbi del regista finiscono però per investire anche il ruolo del cinema che fanno gli altri, la propria famiglia in crisi e le proprie aspirazioni su altri film da fare, che crescono nelle sue fantasie oniriche soprattutto quando i finanziamenti iniziano a scarseggiare e bisogna bussare alle porte di Netflix o dei ricchi coreani. Alla fine il film verrà terminato, con un tocco conclusivo di speranza e ironia. Che è sempre meglio del gettare la spugna.

Un film (auto)citazionista

Con Il sol dell’avvenire Moretti gira probabilmente il suo film più citazionista e autoreferenziale della carriera, un vero e proprio divertissement per cinefili e morettiani della prima ora. Fellini è il riferimento obbligatorio non solo per il topos circense ma per le immagini del finale de La dolce vita, con la purezza di Valeria Ciangottini rispecchiata negli occhiali da sole di Marcello Mastroianni. Il rito del film da riscoprire sul divano di casa riguarda poi Lola – Donna di vita (1961) di Jacques Demy, mentre di Kieslowski diremo tra poco. Non solo. Moretti pensa a un film tratto da un romanzo, Il nuotatore, col protagonista che attraversale piscine dei vicini; è un film che è stato già fatto da Frank Perry con Burt Lancaster, Un uomo a nudo, del 1968. Le autocitazioni, poi, sono una vera manna. Il pistolotto sui sabot rimanda a una vera e propria ossessione morettiana, quella delle scarpe, autentica semiologia socio-psicologica: come non ricordare il casting di Sogni d’oro, o il finale di Bianca contro le espadrillas e le pantofole salvando i sandali dell’adolescenza. Ancora Sogni d’oro torna nella coperta patchwork che avvolge Giovanni, mentre il circo Budavari rimanda inevitabilmente a Palombella rossa (“marca Budavari, marca Budavari, marcalooo”). Infine, quando il protagonista gioca a pallone da solo o prova a danzare con gli altri l’aggancio è con Caro diario, e i rimandi non finiscono qua.

Un film metalinguistico

Il regista ‘romano’ realizza un film in cui si sta facendo un film, se ne sta producendo un altro e se ne immaginano almeno altri due. Ma il metalinguismo de Il sol dell’avvenire non si ferma a questa sorta di matrioska, e trova il suo centro in una vera e propria lezione di poetica.

Moretti ha spesso infierito sul cinema altrui già dai tempi di Io sono un autarchico, che fosse la commedia italiana di Alberto Sordi o di Lina Wertmuller, o anche il film americano di genere come Henry pioggia di sangue (1986), ma in questo caso va oltre esplicitando una teoria del film di formidabile coerenza morale. Tutta la scena dell’irruzione sul set della moglie produttrice (Margherita Buy) è pura etica ed estetica cinematografica: mostrare la violenza non può essere un atto senza conseguenze, compiaciuto ed estetizzante. Il riferimento maestro diventa qui il cinema di Kieslowski, in particolare il Breve film sull’uccidere (1988), in cui l’omicidio genera disagio e ripulsa, e Giovanni lo dice chiaramente pur nel distanziamento autoironico prodotto dagli interventi di esperti (come Renzo Piano e Corrado Augias) chiamati a supporto.

Un’aura testamentale

E’ chiaro che questo, per il regista de La stanza del figlio (ultimo film italiano ad aver vinto a Cannes), non è il “migliore dei mondi possibili” e anche sul versante privato continua l’autoironica confessione delle proprie insofferenze e dei valori sempre più “inattuali” eppure ancora degni di essere difesi. Moretti avverte la durezza del perseverare al punto da accarezzare un finale con impiccagione del protagonista, salvo poi dare ascolto alla musica, che in fondo è una circolazione di energia utopica e collettiva. E’ così che nell’ultima sequenza ritroviamo molti protagonisti del suo cinema, i volti cari dei suoi film come accadeva in parte nella sfilata circense di Otto e mezzo di Federico Fellini. Quasi un congedo testamentale fatto col sorriso e con tanto di Trotszky e di elefanti tra le rovine della grandezza di Roma. Ma la nostra speranza è che non finisca qua, la dolce vita di Nanni Moretti.

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