Un racconto a due corsie molto importante, soprattutto in tempi come i nostri, dove quelle terre così tragicamente colpite dal disastro nucleare di Černobyl, sono di nuovo al centro di cronache tragiche e
dolorosissime. Ho personalmente visto e conosciuto bambini che da quelle zone, come il piccolo Dimitrij,
protagonista della narrazione, venivano ospiti in Italia, per piccoli lassi di tempo, per recuperare un po’ di
forze, di colorito, di serenitĂ . Bambini smarriti, pallidi, raramente sorridenti, spesso chiusi in un silenzio che
non era solo per una lingua sconosciuta, ma era scavato nel profondo, indotto da dure esperienze di miseria, solitudine, malattia. Qualcuno, l’ho visto rifiorire, tra le cure di splendide donne-madri di bimbi che
diventavano fratellini e sorelline, qualcun altro è rimasto misteriosamente nel silenzio, ma rispettato nella
sua libertĂ  e comunque accolto, condizione che alla fine accendeva una luce piĂą azzurra negli occhi. La
guerra ha interrotto molti, se non tutti, questi importanti incontri ed è perciò che il racconto di Dimitrij può
portare tanti ragazzini a fare un’esperienza che ha un contatto profondo con la realtà. Peraltro l’autore è
molto delicato nel presentare lo smarrimento del ragazzo. Le due corsie –dell’immaginazione-favola e della
realtà – permettono di trasferire in tinte più leggere alla cattiva baba-jaga la perdita dei genitori e la ferocia
del disastro di Černobyl, che infatti basta nominare una sola volta, senza per questo sminuire l’autenticità
del dolore e della tragedia. Se anche la speranza, la prospettiva di una redenzione vengono
dall’immaginario di un uccello di fuoco, però il simbolo si salda così bene con la realtà, da divenirne alla fine
realizzazione piena, anzi moltiplicazione. Caldamente consigliato, questo racconto, soprattutto per spostare
i ragazzini dal virtuale al mondo: senza traumi, ma con senso di partecipazione attiva.

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