Ottobre. Nove. Circa le sei del pomeriggio.
Settantacinque anni fa, già da qualche ora mio padre aveva dovuto accendere la stufa, perché faceva piuttosto fresco. Che voleva dire ‘freddo’, perché nell’immediato dopoguerra la legna era cara e si accendeva solo per grave bisogno. Ma di là, nell’androne della villa, tagliato con cartoni per farne una camera da letto, mia madre mi nasceva e non poteva lasciarle al freddo, la mamma e la bimba. La padrona della villa aveva dovuto cedere un po’ di spazio a una delle nuove famiglie che uscivano con una gran speranza di futuro dalla miseria e da una brutta brutta guerra, che doveva essere l’ultima. Doveva.
C’era sui campi quella nebbiolina grigia che intrideva le ossa, ma lasciava ancora trasparire i colori rossi, ocra, verdescuro degli alberi.  
Oggi, 29 gradi fin verso sera, ho sudato come ‘st’estate, col vestito di garza di ‘st’estate, le infradito di ‘st’estate, in un ottobre che non nasconde il colore degli alberi: color bruciato, anche il verde residuo di foglie ha i contorni bruciati.
La radio, ininterrottamente, attraversando differenti programmi, parla dei ragazzi, degli adulti e dei vecchi che Hamas e la Jihad hanno ammazzato, preso e portato via dal rave party nel deserto o dalle case e dai kibbutz; i giornali, i social e la tivù mostrano le loro foto, che confermano i riconoscimenti patiti nella disperazione da parte di madri padri amici – terribili quelli dopo i video messi in rete dai terroristi. Poi si sovrappongono i riconoscimenti politici di vari stati: due tre nostri, qualcuno americano, undici thai, e via così con parole gonfie di garantismo giustiziere, muscoli esibiti – flotte già davanti alle coste mediorientali. Un’occasione eccezionale per mostrarsi al centro: ci sarà una ‘importante’ conferenza, siamo stati chiamati anche noi, sì, ma cosa possiamo fare o proporre noi?, l’importante è che ci siamo. Putin gioisce perché l’Occidente si occuperà meno dell’Ucraina, visto che cominciava già a stancarsene; Zelensky trema per il ‘Grande Freddo’ in arrivo; l’Algeria che ci dà un po’ d’energia esulta in piazza per il massacro; l’Iran, che forse è comprimario in questa strategia dell’orrore, ufficialmente se ne sottrae; Hezbollah dal Libano potrebbe decidere di mettersi dentro… e chissà quante altre comparse si muoveranno sullo scacchiere da adesso a quando queste mie parole saranno pubblicate. Nei talk-show si litiga su definizioni di democrazia di vario grado; su valutazioni di terrorismo, se estensibile o no al popolo palestinese, se mai qualche Eta o Ira o Olp o Narodnaja Volja abbia sfumature e risultati diversi; su chi e come proclama lo sdegno più vero con parole più forti; su chi c’entra poco o tanto o forse con le cause della crisi. Se qualcuno – pochi in verità – osa dire che, pur partendo da una indiscutibile condanna dell’attentato, non bisogna schierarsi subito su assolutismi di buoni/cattivi, magari per riandare alle radici storiche del disastro mediorientale e ripartire da quelle: non per giostrare la storia a proprio favore, ma per guardare dritto a quegli egoismi, tanti e di tanti e da tante parti avverse e non, per puntare non solo gli indici, ma tutte le dita contro quegli interessi vigliacchi,  quelle davvero-defezioni dalla democrazia, anzi dal bene della gente, quelli che, ieri oggi domani,  non hanno mai lasciato non lasciano non lasceranno scegliere, decidere, provare strade nuove di convivenza, accettazione, accoglienza del diverso; be’, se qualcuno osa,  è tacciato subito di filo-di qua e filo-di là – proprio come, a dire troppo spesso ‘pace’ per l’Ucraina, vedi il Papa, si diviene ipso facto filorussi. Oppure è deriso come utopista fuori dal mondo reale, anzi come distopico, vista l’astrazione irresponsabile ponziopilatesca dalla realtà cruda. Ma che Buddha, Cristo, Francesco, Gandhi, Mandela, Capitini, Martin Luther King! Un conto sono le belle parole, le speranze, i dream, per carità, necessari come la fede nella resurrezione dei corpi a finemondo. Un conto è il mondomondo, l’economia, il potere.
Il mondo reale fa la guerra, altroché! Sempre stato così. Dura lex, sed lex. Lo dicevano con ricche argomentazioni i nazisti, lo dicevano ieri lungo la storia e lo dicono oggi quasi tutti i generali, i sovrani, i potenti, i sociologi, gli psicologi, i politici, i filosofi, gli economisti, gli storiografi e chi più ne ha, più ne metta, comprese le persone comuni che hanno imparato a non farsi mettere i piedi in testa nelle riunioni di condominio e nella cerca di un parcheggio. Cacciavite in pugno!
‘Tutti figli di mamma’, avrebbe, invece, detto oggi, come disse per non partire con la guerra coloniale, il più giovane dei fratelli Cervi, Ettore.
‘Tutti figli di mamma’ pensavano, dicevano, sentivano le donne in nero israeliane e arabe e palestinesi qualche anno fa, che si erano messe insieme contro la guerra e l’odio dei loro uomini.‘Tutti figli di mamma’, mi diceva mia madre quando raccontava dei tedeschi in fuga, nella notte prima della Liberazione, che bussavano alla porta e chiedevano riparo e che, il giorno dopo, mentre lei andava a cercare mio padre partigiano, se era vivo o no, vide accasciati sui sedili delle camionette, bruciati sui carri armati, accasciati a terra con le braccia larghe e la bocca spalancata, nella lunga colonna della Wehrmacht bombardata, immobile lungo la strada.   
Ma tu da che parte stai? Non sto da qualche parte. Non sto con la violenza, non sto col terrorismo, non sto con la guerra. Ma allora cosa proponi? È la domanda rituale, perché chi non sta con la guerra è ritenuto in dovere di avere a portata di mano valide proposte alternative! Come se la guerra, ‘ste alternative, le avesse mai procurate!
Be’, non ho nessuna magia in tasca.
Dico solo che la guerra si comincia a scardinarla in casa, ogni giorno, in famiglia, in piazza, nel condominio, a scuola, nel gioco, educando a quella che oggi si nomina spesso come interconnessione tra tutti gli esseri del mondo; quella che più semplicemente Francesco sentiva e viveva, rivolgendosi a tutte le creature come frate e sora. Per non citare proprio quell’altro-là, con la faccenda del prossimo come te stesso e roba simile.
Dico che, oltre ai vaccini contro i virus letali, dovremmo dedicare tempo, fiducia, ricerca ai vaccini contro la violenza.
Dico le donne. Pensando ai girotondi, alle senonoraquando, alle donne in nero, alle madri di Plaza de Mayo. A quelle che persino quel maschilista di Aristofene rappresentò come scioperanti contro la guerra dei loro uomini, in Lisistrata. Qualcosa lo avrà pure ispirato delle donne sue contemporanee!
Donne, madri, mogli, sorelle, amiche, dove siete?
Uomini di pace, dove, dove, dove?

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