L’abitato di Monchio distrutto dopo la strage. Wikipedia

L’eccidio nazista di Monchio, Susano, Costrignano, Savoniero (Modena) 18 marzo 1944
130 vittime, fra cui 4 bambini e 2 bambine, 9 donne, 33 anziani
A seguire:
L’eccidio nazifascista di Cervarolo, Civago (Reggio Emilia) 20 marzo 1944
28 vittime

Nonostante le formazioni partigiane nel marzo del 1944 non siano né numerose, né ben organizzate, nella zona dell’alta valle del Secchia e nei pressi di Villaminozzo (Appennino Modenese e Reggiano) riescono a colpire più volte le truppe naziste di occupazione. Il comandante della Militarkommandantur di Bologna incarica il Rittmeister Kurt Christian Von Löben di effettuare una missione repressiva con la 2a e 4a compagnia della Divisione Hermann Göring nella zona montana modenese tra Monchio e Palagano. Von Löben, dopo aver fatto piazzare una batteria contraerea sulla rocca di Montefiorino, puntata sul versante opposto, prima dell’alba del 18 marzo 1944 fa sparare i cannoni contro le borgate di Monchio, Susano, Costrignano e le cascine isolate. Manda poi plotoni a rastrellare chi ha cercato rifugio nei boschi, chi non ha potuto fuggire perché anziano o malato o nascosto. Ordinano a tutti di uscire di casa, trascinano fuori con la violenza anche chi è malato o invalido e non può muoversi. Frugano dappertutto, sfondano porte e finestre, rubano tutto quello che trovano da mangiare, o che possa servirgli, o che possano tenersi per sé. Anche le bestie migliori. Le case sono così tutte devastate e depredate di ogni cosa che possa essere portata via, infine vengono incendiate le abitazioni, i fienili, le stalle, le porcilaie con dentro gli animali rimasti. Durante i rastrellamenti non vengono fermati e colpiti solo uomini, ma anche donne e bambini. Gli uomini catturati sono avviati, spesso con pesanti carichi sulle spalle, a punti di raccolta dove è programmato di fucilarli. Violenze, razzie, esecuzioni sommarie, incendi, devastazioni avvengono dovunque, casa per casa, senza distinzioni tra chi è sospettato di essere o favorire i ‘banditi’ e chi no: tutti i civili sono considerati nemici da abbattere. In due cascine, alla Buca di Susano e a Vallimperchio, sono orrendamente trucidati tutti quelli che lì sono trovati: soprattutto donne, vecchi, bambini. Alla Buca abitava la famiglia Marasconi: ammazzano la mamma Delia, i figli Orfeo di otto anni e Ausilia di dieci; ammazzano anche un bimbo di Modena che viveva con loro, Carlo, e due anziani che erano tornati dalla Francia ed erano lì come sfollati. Gli uomini della famiglia li hanno ammazzati poco più in là nel bosco. A Vallimperchio, sotto i colpi di mitraglia è scivolata a terra sulla porta di casa la mamma incinta Anna Maria, che abbraccia stretti i suoi tre figli: Celso di sette anni, Viterbo Cesare di cinque e Lavinia, di tre, col suo bel vestitino bianco pieno di roselline. La testina dei bimbi è scivolata sul suo seno e sembra che dormano. A lei la mitraglia ha squarciato la pancia e il bimbo di otto mesi è scivolato fuori: nato fucilato. Dietro la casa i nonni Celso e Clarice, col fratello Massimiliano handicappato, e poco più in là il marito Raffaele con un altro paesano, tutti crivellati di colpi. A Monchio, un folto gruppo di rastrellati, radunato a forza presso il vecchio cimitero, è fucilato in modo sommario.

Lapide alle vittime dell’eccidio posta sulla casa antistante l’aia di Cervarolo. Wikipedia

Due giorni dopo la 3a compagnia Fallschirm Panzer Aufklarungs Abtellung della Divisione Göring occupa Cervarolo e Civago nel Reggiano, poco distanti da Monchio. Uccisioni di pastori innocenti, violenze inaudite a donne e al parroco don Battista Pigozzi, esecuzioni senz’appello anche di persone che si dichiarano fasciste, saccheggi, incendi, ruberie portano ad un totale di 28 vittime, la maggior parte trucidate nell’aia degli Abati, al centro di Cervarolo. Il parroco Don Pigozzi non vuole dichiarare con uno scritto che gli ammazzati sono partigiani, perché li conosce tutti e sa che sono paesani innocenti. Viene spogliato nudo sul sagrato e lasciato per ore e ore in mezzo alla neve, mentre le due giovani nipoti e la sorella stanno rinchiuse in canonica: e ci sono soldati con loro. Don Pigozzi è poi portato anche lui nell’aia e fucilato con gli altri.

I documenti e le testimonianze relative a questi eccidi restarono chiuse e dimenticate fino al 1994 nel cosiddetto Armadio della Vergogna. Il processo contro gli imputati ancora viventi cominciò a Padova l’11 novembre 2009 e ha avuto termine definitivo il 19 marzo 2014. Le condanne dei pochi nazisti colpevoli sopravvissuti non sono state eseguite per la mancata presenza degli imputati.     

L’intervista alla signora Maurizia Vezzali di Carpi (Modena) si connette, non troppo casualmente, alla vicenda dell’eccidio di Monchio, perché un anno dopo, proprio in marzo, sua madre, Lidia Gualdi, lasciò la sua casa di S. Posidonio nella ‘Bassa’ modenese, per arruolarsi con suo fratello Valter, di due anni più grande di lei, nelle bande partigiane che combattevano presso Monchio. Motivazione? Risponde la figlia: “Mi diceva che là c’era bisogno.” La partigiana Lidia Gualdi (nata il 5-10-1924), dai primi tempi della Resistenza aveva già fatto la staffetta per i partigiani nella Bassa Modenese. È significativo della certezza ed immediatezza della sua scelta proprio quanto raccontava alla figlia di quell’impegno: che non sapeva bene a quali rischi andava incontro e lo faceva così, senza pensarci su. In realtà si intuisce quanto fosse salda nelle sue convinzioni per la scelta, nel marzo del 1945, a venti anni, di partire col fratello Valter per raggiungere le bande partigiane nelle montagne di Monchio. Ai primi di aprile, a un niente dalla Liberazione, il fratello morì in battaglia e fu sepolto nel cimitero di Monchio. Lei si salvò perché, avendo la febbre, le impedirono di partecipare a quell’azione fatale. Ebbe la medaglia di bronzo il 25 aprile 2015 da parte della ministra della Difesa Roberta Pinotti. Anche la sua esistenza successiva alla Liberazione ci mostra una donna coraggiosa, altruista, dedita alla salvaguardia della vita.

  1. Avatar Renzo
    Renzo

    Bellissima ricostruzione, racconto che coinvolge il lettore, lo rende partecipe nella comprensione dell’evento. La mano che scrive è stata guidata dagli occhi di chi legge.

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