Foto di Yevhen Sukhenko

In merito alla guerra e alla violenza, la parola poetica penetra molto più agevolmente nei cuori della gente rispetto a tutti quanti i discorsi in prosa che si possano fare: dichiarazioni che spesso – purtroppo – finiscono per assumere toni retorici o rimanere inascoltate perché prolisse o giudicate sterili. Ho scelto dunque cinque poesie a me care, vibrate come le cinque dita di una mano aperta che si elevi e opponga ad ogni tipo di conflitto armato: sempre foriero di morte, pianto e distruzione.

LA GUERRA CHE VERRĂ€ – di Bertolt Brecht

La guerra che verrĂ 
Non è la prima. Prima
Ci son state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
C’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
Faceva la fame. Fra i vincitori
Faceva la fame egualmente la povera gente.[1]

UOMO DEL MIO TEMPO – di Salvatore Quasimodo Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, -t’ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero, gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse all’altro fratello: “Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace, è giunta fino a te, dentro la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue salite dalla terra, dimenticate i padri: le loro tombe affondano nella cenere, gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

PROMEMORIA – di Gianni Rodari

Ci sono cose da fare ogni giorno: lavarsi, studiare, giocare, preparare la tavola, a mezzogiorno. Ci sono cose da far di notte: chiudere gli occhi, dormire, avere sogni da sognare, orecchie per sentire. Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.

SE VIENE LA GUERRA – di Dario Bellezza  Se viene la guerra  non partirò soldato. Ma di nuovo gli usati treni porteranno i giovani soldati lontano a morire dalle madri. Se viene la guerra  non partirò soldato. Sarò traditore  della vana patria. Mi farò fucilare come disertore. Mia nonna da ragazzino mi raccontava: “Tu non eri ancora nato. Tua madre ti aspettava. Io giĂ  pensavo dentro il rifugio osceno ma caldo di tanti corpi, gli uni agli altri stretti, come tanti apparenti fratelli, alle favole che avrebbero portato il sonno a te, che, Dio non voglia!, non veda piĂą guerre”.

FIUMI DI GUERRA – di Erri De Luca

Alle fontane i vecchi le donne con i secchi lungo il fiume e l’aria fischiettava di proiettili e schegge, la banda musicale degli assedi, insieme alle sirene. Danubio, Sava, Drina, Neretva, Miljacka, Bosna, ultimi fiumi aggiunti alle guerre del millenovecento, gli eserciti azzannavano le rive, sgarrettavano i ponti, luci della città, Chaplin, le luci di quelle città erano tutte spente. L’Europa intorno prosperava illesa. Altre madri in ginocchio attingono alle rive, dopo che il Volga fermò a Stalingrado la sesta armata di von Paulus e la respinse indietro e l’inseguì fino all’ultimo ponte sulla Sprea, affogando Berlino. Acque d’Europa specchiano ancora incendi. La Vistola al disgelo illuminata dalle fiamme del ghetto: non poteva bastare al novecento. L’acqua in Europa torna a costare l’equivalente in sangue.

[1]  Der Krieg, der kommen wird (traduzione di Francesco Roat)

Der Krieg, der kommen wird / Ist nicht der erste. Vor ihm / Waren andere Kriege. / Als der letzte vorĂĽber war / Gab es Sieger und Besiegte. / Bei den Besiegten das niedere Volk / Hungerte. Bei den Siegern / Hungerte das niedere Volk auch.

 

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