Ha senso riflettere su ciò che nominiamo “piazza”: significare questo luogo fulcrale da un punto di vista sociale, culturale, architettonico, storico, artistico, urbanistico, politico, antropologico. L’urgenza drammatica di questa necessaria attenzione sui luoghi cardiaci della città, le piazze appunto, è imposta da una polverizzazione in atto delle composizioni aggreganti e aggregate nella polis, da una costante devitalizzazione della relazione fisica tra le persone, compensata da una invasiva, compulsiva e frenetica comunicazione virtuale. Non solo.

Spesso, l’ignoranza della dirigenza politica ha con gli anni tolto identità agli occhielli della città, possiamo chiamarle anche così le piazze, sia collocate al centro che in periferia, privandole di strutture che potessero chiamare i cittadini alla sosta, al saluto, alla conversazione, al gioco. Penso alle panchine, penso alla valorizzazione degli artigiani, penso al sostegno non solo economico verso associazioni e eventi che possano nutrirne la vitalità. Non per occasionali, roboanti, consumistiche manifestazioni, ma concependo una cultura che, con continuità, coniughi lievità e significati. 

Penso, riversando ogni responsabilità alle amministrazioni, alla non riqualificazione di spazi, in zone di città lasciate a morire, anche con piani urbanistici sbagliati o del tutto mancanti. Penso ai tanti esempi di non conversione per strutture che avevano bisogno di cambiamento funzionale. Edifici che potevano e possono essere intelligentemente recuperati e utilizzati non per consumistici porti di mercato, ma per porti di comunicazione, di cooperazione, di condivisione, di confronto del fare e della parola. Manca spesso una visione culturale della città. Manca un pensiero filosofico della città. Manca un piano di tessitura globale della città.

Un cittadino, una cittadina hanno diritto di essere amministrati e rappresentati da persone colte. Colte significa che sappiano la storia della città, che l’abbiano camminata e la camminino ascoltando gli abitanti.

Nella preistoria, la creazione della prima piazza è avvenuta in una caverna.

La piazza nasce dal gesto di piantare centralmente un fuoco, nell’accezione architettonica, simbolica, ma anche concreta, per raccogliersi coralmente attorno, riconoscersi, cuocere e spartirsi il cibo o per un cerimoniale sociale o religioso. Questo creare un centro di connessione sociale, culturale, spirituale si è trasmesso nel tempo, trasformandosi naturalmente, fino a creare già alla fine del secolo scorso, notevoli modifiche da un punto di vista urbanistico. Penso alla concezione di una città senza piazza centrale, come Berlino, ma composta da più occhielli spaziali. Certamente non casualmente. Penso anche alla decisione di spogliare le piazze, anche collocate in periferia, da panchine per eliminare possibilità di aggregazione. Io stessa ho ascoltato le motivazioni di assessori convinti della scelta.

Oggi più che mai, dentro un vortice disgregativo, la piazza ha effettivamente perso la sua forza espressiva e comunicativa. Fatichiamo a scendere in piazza, manifestando. Non ci diamo appuntamento in piazza. Infanzia e adolescenza non si ritrovano nelle piazzette.

Senza invocare e evocare un inutile sentimento passivamente nostalgico, c’è molto da riflettere sulle conseguenze di tutto questo, e sullo stato qualitativo della comunità, sul significato che in noi rimane di pubblico, di memoria vivente, di patrimonio storico, artistico, culturale, ereditato e da trasmettere ben al di là dell’immediato riscontro turistico.

Anche per questi motivi, apprezzo la pubblicazione Agorà, ombre e storia nelle piazze di Perugia a cura di Lorena Rosi Bonci, edito nell’anno 2023 da La Valle del Tempo, inserita nella collana Leggere la città.   

La collana intende accogliere delle vere e proprie mappe articolate sul tema della piazza nella città, per tutta l’estensione del nostro Paese, attraverso contributi autorevoli di archeologi, architetti, docenti, storici. Ciascuna voce narra da un punto di vista storico e culturale una piazza a sé particolarmente cara, aggiungendovi una propria personale e emotiva prospettiva. Le due parti si offrono in complementarità e si dispongono non solo per una gradevole e sollecitante lettura, ma aggiungono la loro meditata interpretazione di quello spazio. Oltre la bellezza, indicano errori, sofferenze, confronti. 

Tra gli esempi più frequenti e dolorosi più volte citati, viene riportato come gravissimo il permesso di transito automobilistico, il non rispetto per gli edifici storici della piazza permettendo eventi concertistici di notevole percussività sonora, non ultimo, la progressiva desertificazione del centro storico nella sua abitabilità familiare quotidiana.

Voglio interpretare questa collana come un vero e proprio progetto di politica culturale dentro cui si recupera la visione della città, riqualificandola nelle sue radici.

È chiaro, quindi, che, oltre all’atto di pubblicazione, l’opera si compirà in presentazioni che possano richiamare la cittadinanza a riflessioni, incroci di interpretazioni e confronti risvegliando passione, diritti e doveri. Spero coinvolgendo gli amministratori.

Precedente:
  1. Avatar Tiziana Biganti
    Tiziana Biganti

    La recensione dà contenuti ulteriori a quelli espressi nei testi, proponendo spunti per la riconversione dello spazio pubblico come luogo delle persone. Sembra ovvio, ma non è più così.
    Grazie davvero a Anna Maria Farabbi.

    1. Avatar Lorena Rosi Bonci
      Lorena Rosi Bonci

      Pienamente d’accordo, Tiziana Biganti. Nelle riflessioni di Farabbi molti spunti per un dibattito sul recupero del ruolo delle piazze nelle nostre città . Felice che il libro “Agorà. Ombre e storia nelle piazze “di Perugia stimoli al dibattito. Grazie ad Anna Maria Farabbi e a Cartavetro.

  2. Avatar Clelia Degli Esposti
    Clelia Degli Esposti

    Grazie Anna, penso al bel libro che sto leggendo, Fitopolis di Stefano Mancuso, sulla modifica delle nostre città e quindi anche delle piazze: non più una architettura antropocentrica, ma spazi lasciati al mondo vegetale ed animale, non come estetica, ma come prospettiva di vita armonica con il resto del vivente. Ci aveva provato l’artista austriaco Hundertwasser (la linea retta è senza dio) con i suoi alberi che uscivano dalle case, tanti anni fa. Qualcuno ci ha riprovato a Milano, ma pochi isolati esperimenti. Da riprovarci.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *