Alla fine della mia carriera scolastica, quando il tempo liberato mi pareva tutto o quasi a mia disposizione, ho iniziato a dedicare molta più cura e attenzione al mio piccolo giardino, procurandomi piante di ogni tipo, da coltivare in terra e, non bastando più questa, in vaso. Ero attratta dalla bellezza di fiori o foglie e di come potevano ornare angoli particolari della casa. Studiando i loro nomi e le loro caratteristiche di coltivazione, ho maturato uno sguardo diverso nel tempo, preoccupandomi non tanto o non solo dell’aspetto ornamentale, ma del loro benessere, constatando quanti errori avevo fatto in precedenza poiché avevo su di esse uno sguardo superficiale come se tutte richiedessero stesso alimento o stessa posizione e trascurando come la vicinanza di specie poteva favorire il loro ciclo di vita. L’aspetto della cura crea una vicinanza particolare che è difficile descrivere in termini emotivi perché questi sono in un linguaggio che è conformato sulle emozioni umane e rischia davvero il ridicolo in altro contesto. Di fatto però sotto questa spinta ho avuto la fortuna (ma forse nulla accade per caso) di accostarmi a delle letture scientifiche che ancora una volta hanno mutato il mio sguardo provocandomi un cambio di prospettiva e di considerazione anche sulla mia stessa specie.

Riflessioni dal testo” Discorso sulle erbe” di Fritjof Capra, Stefano Mancuso Aboca edizioni 2019.

Il mondo vegetale occupa l’86 per cento del nostro pianeta, ma gli umani sono in genere poco inclini a volerne conoscere le caratteristiche se non per servirsene, per poterne mangiare, per gli usi più diversi, domestici o industriali, per avere l’ossigeno che serve per vivere, naturalmente facendone spesso scempio o devastando perché quando non si conosce, non si rispetta. La nostra millantata superiorità sul mondo animale e vegetale deriva in fondo dalla nostra ignoranza nonostante il vanto di possedere un cervello. In realtà, secondo le più moderne teorie scientifiche la cognizione è un principio della vita, la vita stessa è un processo cognitivo che compie ogni vivente che per questo è intelligente. La “teoria di Santiago della cognizione” elaborata da Humberto Maturana e Francisco Varela, afferma che l’attività organizzativa della vita in tutti i sistemi viventi è un processo mentale, un processo cognitivo, la mente è immanente la materia. Mente e materia rappresentano aspetti complementari della vita: il processo e la struttura: il processo della cognizione si identifica con quello della vita e ciò avviene anche senza la mediazione del cervello. Il cervello è una struttura particolare che media questo processo, ma non è l’unica struttura attraverso cui opera il processo di cognizione poiché “l’intera struttura dell’organismo partecipa al processo di cognizione, sia che l’organismo possieda un cervello e un sistema nervoso superiore, sia che non lo possieda.”

Questo si accompagna a una nuova concezione sistemica della vita che consiste nel pensare il mondo come un sistema di relazioni, una rete di relazioni: la rete è uno schema comune a tutto il sistema vivente. La metafora della rete fa cambiare il punto di vista e ci fa uscire da una concezione dell’universo inteso come macchina fatta di componenti elementari: il mondo è una rete inseparabile di relazioni e quindi il pianeta nel suo complesso è un sistema vivente che si autoregola. L’umano è radicalmente inserito in questa comunità vivente e da essa dipende in una relazione in cui occorre riconoscere il valore intrinseco di tutti i viventi (ecologia profonda elaborata dal norvegese Arnu Naess).

Tornando quindi al mondo vegetale, tenendo conto di queste nuove frontiere della biologia e della ecologia, è messa certo in dubbio la superiorità dell’umano per il solo fatto di possedere un cervello. La stessa definizione di intelligenza l’umano l’ha sempre riferita a se stesso come termine di paragone, ignorando ogni principio biologico. Così come la riproduzione che appartiene a tutti gli esseri viventi.

Secondo Stefano Mancuso ci sono tante definizioni di intelligenza quanti i ricercatori che le hanno date, guidati da una vera e propria ossessione nel tempo per definirla. Una delle prime definizioni per caratterizzare l’intelligenza umana si rifaceva alla capacità di usare degli strumenti, ma poi ci si accorse che questa capacità era comune anche a molti animali. Mancuso dà una definizione molto inclusiva e opportuna: intelligenza come capacità di risolvere problemi, inclusiva perché come si vedrà sarà estendibile al mondo non solo animale, ma vegetale. In genere per la scienza l’intelligenza è frutto di un organo, il cervello. Le piante però non hanno un organo come il cervello e questo le mette fuori del novero degli esseri intelligenti. Il mondo vegetale però costituisce l’86 per cento della vita del pianeta, impossibile dunque immaginare una vita stupida. La capacità delle piante di risolvere problemi passa attraverso un sistema completamente diverso da quello animale in quanto, mentre la caratteristica animale è il movimento, la capacità di muoversi, le piante non possono muoversi, non possono scappare alla presenza di un pericolo, non possono procurarsi il cibo in luoghi lontani, ma hanno una struttura e una organizzazione che permette loro di risolvere lo stesso molti problemi. Del resto, se, secondo la teoria di Darwin, la vita premia il più adatto, noi siamo molto indietro nella scala: le specie vegetali più longeve (conifere, felci, muschi) hanno una durata media di 5 milioni di anni, noi appena 300.000. Per essere superiori dovremmo vivere 4,7 milioni di anni ancora e attualmente l’antropocene segnala già un mucchio di difficoltà per la nostra specie perché continuamente produciamo possibilità di estinguerci.

Le piante sono un modello straordinario di rete: hanno distribuito le funzioni essenziali della vita in modo non gerarchico, come accade nel mondo animale, ma diffuso. Nel mondo animale il cervello è a capo di tutti gli organi che fra l’altro sono singoli o al massimo doppi (come sarebbe bello avere due o tre cuori, sei o sette polmoni, potere usare, come dice Mancuso, la ridondanza…); nelle piante esso è diffuso, con il vantaggio che se si asporta una parte della pianta (fino al 70 per cento), questa ha la struttura sufficiente per sopravvivere, mentre noi siamo individui indivisibili. La biologia vegetale riporta l’esistenza di cellule vegetali che si comportano come sinapsi in cui l’auxina (un ormone vegetale preposto alla crescita) svolge il ruolo di neurotrasmettitore. La pianta vede, respira, sente, ragiona con tutto il corpo, ha cioè una competenza diffusa; non è indivisibile, anzi dividendola può espandersi. È indiscutibile che questo modello è stato quello di maggior successo dal momento che non solo il mondo vegetale è quantitativamente più ricco, ma anche più longevo. La scienza ha esaminato le diverse funzioni che riferiamo all’umano nel caso del mondo vegetale, la comunicazione, le emozioni, l‘apprendimento, la memoria.

Negli animali la comunicazione avviene attraverso organi specializzati, nelle piante tutte le cellule possono trasmettere segnali e interagire con l’ambiente: ogni cellula interagisce con le altre attraverso dei canali fisici detti plasmodesmi  e può sentire, percepire attraverso l’apparato radicale; questo si presenta come una rete in cui funzionano, attraverso cellule chimiche poste nei nodi, dei link che trasmettono segnali a breve distanza, ma secondo un sistema simile al modello idraulico. Il sistema sensoriale si trova nelle punte delle radici e proprio perché la pianta non può muoversi, questo sistema è molto raffinato ed efficiente nello scambio con l’ambiente per la propria sopravvivenza. Nelle piante della stessa specie ed apparentate i segnali sono totalmente condivisi, minore condivisione c’è per quelle della stessa specie, ma non apparentate. Fra piante di specie diverse funzionano solo i segnali fondamentali, ad esempio quelli di pericolo.

Già Darwin era consapevole di queste straordinarie capacità. Nel libro “Il potere di movimento delle piante” scritto con il figlio Francis, egli scrive: “Non è una esagerazione affermare che la punta della radice è così dotata di sensibilità che ha il potere di dirigere i movimenti delle parti adiacenti delle piante, come farebbe il cervello di alcuni animali inferiori”.

La possibilità di apprendere è stata dimostrata per la prima volta in un famoso esperimento di Lamarck e Des Fontaines a Parigi su una piccola pianta tropicale studiata per la sua reazione agli stimoli che la disturbano, la mimosa pudica. L’esperimento che conferma la capacità di apprendimento e di memoria delle informazioni ricevute è stato ripetuto, con molto successo, sulle stesse piante, nel Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale (Linv) dell’università di Firenze da Stefano Mancuso, responsabile del Linv, in collaborazione con i ricercatori della University Western Australia, Monica Gagliano, Michael Renton e Martial Depczynski. Lo stesso Mancuso spiega:” Abbiamo addestrato le piante a ignorare uno stimolo non pericoloso, la caduta del vaso in cui sono coltivate da una altezza di 15 cm, ripetendo l’esperienza (sentendo il pericolo la mimosa chiude le foglie). Dopo alcune ripetizioni le piante non hanno più chiuso le foglie mantenendo la memoria per altri 40 giorni… Dobbiamo ancora capire come e dove i vegetali conservino queste informazioni e come facciano a richiamarle quando è necessario. Per farlo applicheremo ad altri tipi di piante, in particolare quelle carnivore, le tecniche utilizzate per studiare il comportamento degli animali” (la repubblica 15 gennaio 2014).

Anche per le piante esistono test di intelligenza, ma occorre usare parametri diversi. Per gli animali il parametro è il tempo, per le piante la direzione. Il classico labirinto in cui si misura la velocità di comprensione di un topo ad un certo stimolo, viene sostituito per le piante dalla velocità con cui una radice si dirige verso l’azoto e sono geniali, non sbagliano mai.

La nostra cecità verso il mondo vegetale deriva dal pensarci la misura di tutte le cose: usiamo degli standard cui vogliamo conformare il resto del vivente. Fra l’altro la nostra struttura verticistica risponde essenzialmente alla capacità di muoverci e di farlo in fretta. Al di fuori di questo la nostra organizzazione è debole. Di fatto invece di risolvere i problemi noi animali ci limitiamo ad evitarli con il movimento. Su questo modello gerarchico abbiamo costruito anche la nostra società: le istituzioni, le associazioni, le aziende. Solo di recente, con le nuove tecnologie si è scoperto il vantaggio della rete, la sua orizzontalità, ma è ancora difficile riprodurla in un modello di vita sociale. La struttura a rete è indubbiamente più creativa, le piante sono più creative proprio perché non possono muoversi e meno conflittuali fra di loro perché l’impossibilità del movimento rende più conveniente una strategia cooperativa. “Le cure parentali fra gli alberi di una foresta sono un esempio straordinario delle capacità di mutuo appoggio delle piante. Un seme che cade in un bosco dà vita ad una piantina che si trova quasi sempre in zone d’ombra o comunque buie in cui la fotosintesi non è possibile. In questi casi le piante vicine si prendono cura della pianta giovane fin quando quest’ultima non è abbastanza alta da poter foto sintetizzare autonomamente” (“Discorso sulle erbe” di Fritjof Capra, Stefano Mancuso Aboca edizioni 2019)

Non si può negare che la struttura a rete è il simbolo della modernità: internet funziona come una pianta con una struttura diffusa e molto efficiente, basta pensare a wikipedia. Eppure continuiamo a costruire strutture sociali sul modello del nostro corpo, un modello gerarchico che mostra enormi limiti primo di tutti la lontananza del luogo di una decisione dal luogo in cui essa ha i suoi effetti e quindi anche la necessità di una burocrazia ineliminabile perché l’ordine deve essere trasmesso.  I limiti possono diventare dramma se riandiamo alle parole di Eichmann, incaricato da Hitler dei dettagli della “soluzione finale”, durante il processo a Gerusalemme, parole riportate da Hannah Arendt nel libro “la banalità del male”: io facevo parte di una organizzazione gerarchica e il modo più efficiente di lavorare in una organizzazione simile è quello di rispondere agli ordini nella maniera migliore possibile”. Una frase che in seguito abbiamo sentito anche durante i processi ai militari delle dittature dell’America latina e che giustificano la mancanza di responsabilità nelle strutture militari e non solo.

La visione di Arendt, ostacolata e biasimata dai suoi stessi concittadini, trova conferma in un famoso esperimento condotto dallo psicologo Stanley Milgram (vedi descrizione su internet Stanley Milgram esperimento) a pochi mesi di distanza dal processo Eichmann, che dimostra che in una catena gerarchica è proprio la distanza di ciò che fai dal luogo in cui quello che fai ha un effetto ad avere conseguenze potenzialmente drammatiche.

Uno degli impianti istituzionali più fortemente gerarchici è quello della Chiesa cattolica, una istituzione che proprio nello strutturarsi in questo modo ha tradito il messaggio evangelico trasformando la fede in qualcosa che è soggetto al potere di questo mondo (ivan ilich, pervertimento del cristianesimo a cura di Fabio Milana quodlibet).

C’è una voce che sale dal bosco: è quella di un vecchio albero che vive lì da sempre e adesso vuole dire la sua. Perché anche le piante hanno una personalità, delle passioni, ciascuna ha un proprio carattere. Cercano sottoterra per guardare il cielo. Si studiano, si somigliano, si aiutano (Stefano Mancuso, “la tribù degli alberi” Ed. Einaudi 2022).

Eppure questa voce pochi la sentono. Lo dimostrano le notizie che provengono dalla stampa:

Da “La stampa “di Torino: la strage di alberi continua a Torino: in 15 giorni abbattuti 1000 esemplari” maggio 2023.

Provincia di Viterbo” 50 alberi abbattuti a Corchiano” giugno 2023, articolo di Beatrice Masci.

Strage di alberi in piazza Spogliatore a Vibo Valentia, agosto 2022.

Ad Albenga continua la strage di alberi; maggio 2023.

Strage di alberi sani sulla Francesca tra Cologno e Ghisalba per ordine della provincia; dicembre 2022.

Strage di alberi alla Stanga di Padova nella notte: abbattute dalle ruspe 120 piante (Padova oggi2022).

Salara (Ro): via i tigli per fare posto alla rotatoria (Il Gazzettino 2022).

Partito l’abbattimento dei pini di viale Redi a Firenze (Firenze today agosto 2022).

Strage di alberi sulle rive del Lambro: pioppi, ontani, salici in una area di 3 km. Articolo di Stefano Prato marzo 2020.

Abbattimento di alberi per fare posto ai tornelli dello stadio a Ferrara: quindici piante secolari, tigli, bagolari, ginkobiloba.  (il resto del carlino 2016).

La Scozia ha abbattuto 16 milioni di alberi per avere l’energia “green”.

  1. Avatar Lucia Fornieri
    Lucia Fornieri

    Ciao Clelia, applaudo e sottoscrivo il tuo intervento. Ricordo che abbiamo i dendriti nel cervello.

    1. Avatar Clelia Degli Esposti
      Clelia Degli Esposti

      Grazie cara Lucia. Prendo coraggio per continuare su questa strada

  2. Avatar Beatrice Trenti
    Beatrice Trenti

    Felice della sintesi chiara e esaustiva con cui hai illustrato una realtà che solo adesso sta diventando conoscenza condivisa. Ho sempre pensato, anche senza saperne niente di scientifico, che l’arboreo avesse vita complessa e intelligenza, più raffinate, poliedriche, efficienti di quelle animali… ho sempre anche pensato che fossero capaci di vivere “in arte” per la bellezza delle loro forme e composizioni corali… Mi pare davvero un ottimo riferimento per ripensarci, noi animali sapiens, in consorzio corale, in rete, relazione autentica, reciprocità e tutto quanto ne consegue. Grazie della bella riflessione e… buon vivere con le amiche del giardino.

    1. Avatar Clelia Degli Esposti
      Clelia Degli Esposti

      In effetti forse non sono riuscita a rendere bene il fatto che non sono gli animali ad essere messi in crisi dal modello vegetale, ma gli umani perché sono arroganti nella loro diversità. Ci riprovo con un altro piccolo saggio. Grazie infinite dell apprezzamento.

  3. Avatar PAOLA BIANCA CAVALLARI
    PAOLA BIANCA CAVALLARI

    grazie Clelia di questa interessante riflessione

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