LETTERE DI UNA VITA

Irène Némirovsky

Adelphi (2023)

Irène Némirovsky, la scrittrice di origine ucraina di cui abbiamo letto con passione Suite francese, Il ballo, Il calore del sangue, David Golder…, non ha pensato mai alle sue lettere come a qualcosa che potesse essere riconosciuto come letteratura; le lettere sono pezzi di vita, racconti estemporanei, utili nella storia dei legami affettivi, a raccontare di sé o di ciò che intorno capita; si scrivono spesso con scioltezza e spontaneità, come testimoni di un momento.
Il corposo volume che raccoglie le lettere di una vita di Némirovsky, morta a trentanove anni ad Aushwitz, non è forse letteratura, ma traduce cinque epoche di una breve storia personale di straordinaria forza, attraverso Spensieratezza, Celebrità, Incertezza, Angoscia e Incubo, tappe in cui le lettere sono racchiuse.
Vi è la spensierata giovinezza, come figlia di un ricco uomo d’affari ebreo, curata soprattutto da una governante alla quale dice di dovere tutta la sua formazione e l’apprendimento del francese, che diventerà la lingua della sua opera di scrittrice. Il momento della celebrità, fitto di una corrispondenza con editori e critici, di interventi, di scambi vivaci e densi su opere altrui e sulle proprie.
Dal 1939 comincia il tempo dell’incertezza. Già all’avvento di Hitler al potere Irène aveva avvertito come ‘follia’ l’antisemitismo divenuto dottrina, ma poi la difficoltà ad essere naturalizzata francese con continui ingiustificati rinvii, l’appartenenza sua e del marito all’ebraismo laico, la conseguente perdita del lavoro e l’avvento delle leggi razziali promulgate dal governo di Vichy, rendono la situazione della sua famiglia sempre più precaria e la trasportano poco a poco nel tempo dell’angoscia.
Nella lettera del 22 giugno 1941, avvertendo l’avvicinarsi della catastrofe, affida le sue bambine Élisabeth e Denise alla governante Julie Dumot, insieme ai mezzi per sostentarle e ai manoscritti chiusi in una valigia. Da lì ben presto si avvicina l’incubo: Irène è trasferita il 15 luglio del 1942 al campo di internamento di Pithiviers e da lì subito ad Aushwitz dove muore nell’agosto dello stesso anno. Riesce ad inviare una lettera al marito Michel Epstein: “… copri di baci le mie adorate figlie. Denise deve essere brava e giudiziosa. Ti stringo forte sul cuore insieme con Babet. Che il buon Dio vi protegga. Quanto a me, mi sento calma e forte”.

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