Quando un poeta, serio, rigoroso, sensibile, con attenzione coltivata, entra dentro la poesia di un altro poeta, porge una via luminosa non solo chiarente ma emozionalmente significativa. Stefano Strazzabosco ha una lunghissima trama di scrittura tra poesia, saggistica e traduzione (O. Paz, A. Arturo, C. Montemayor, J. Gelman, C. Moro, E. Lizalde, G. Fernandez, V. Huidobro, L. Vidales). Vive tra Vicenza e CittĂ  del Messico, dove ha fondato la casa editrice La Vencedora. Siamo onorati di averlo in Cartavetro tra i nostri collaboratori.

Il Ponte del Sale, con questo saggio, torna ancora sull’opera di Andrea Zanzotto. Sappiamo quanto Marco Munaro sia legato, non solo poeticamente, al maestro. Ricordo due altri libri importanti editi dalla casa editrice di Rovigo: quello di Silvio Ramat, Lungo le bianche strade provinciali, Valeri, Barolini, Pascutto, Rebellato, Zanzotto, Bandini, 2012; e, importantissimo, Colloqui con Nino, a cura di Zanzotto, fotografie di V. Cottinelli, Il Ponte del Sale, 2005.

Il libro di Strazzabosco si apre con una narrazione saggistica precisata nella tematica della relazione tra il poeta di Pieve di Soligo e la luna, e si completa con un’offerta antologica dei passi lunari nelle prose, nelle poesie e nelle traduzioni di Andrea Zanzotto. La prima parte, quella del saggio appunto, era stata pubblicata in forma ridotta in Cent’anni dopo Mario Rigoni Stern e Andrea Zanzotto 1921 – 2021, Atti del Convegno, Vicenza, 22 ottobre 2021, Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari, a cura di P. Lanaro, Accademia Olimpica, Vicenza, 2022.

Strazzabosco, nominando i contributi di altri studiosi che hanno approfondito l’argomento, tra cui Stefano Agosti e Stefano Dal Bianco, porta il lettore a vene di analisi con dettagli intimamente suggestivi e intensi. Nel suo viaggio mette a fuoco primariamente forse il rapporto più centrale nella vita di Zanzotto, quello con Giacomo Leopardi. Strazzabosco cita, a questo proposito, il potente e geniale intervento di Zanzotto nel 1963 dal titolo A faccia a faccia. Molto mi ha fatto pensare all’interpretazione di Walter Binni. Cito:

Sì, è vero, Leopardi è radicato più di altri nelle profondità della vita e per questo più di altri ha potuto dare un metro alla negazione, renderla pronunciabile, addirittura armonizzare e “nobilitarne” il linguaggio, senza perciò svuotarla in superamenti dialettici: ma questa misurazione che è ragione e cantare, avviene sempre a quella distanza di sicurezza che è imposta dal ricchissimo alone di difesa intrinseco a una particolare realtà, psichica prima che spirituale.

Lo stare “faccia a faccia” per San Paolo è “tote” in un altro tempo (e qui l’affermazione riguardante una positività assoluta è pienamente riferibile al suo opposto): così è in qualche modo anche per Leopardi, ma senza che a lui sia possibile avvertirlo, per quel suo trovarsi necessariamente sghembo rispetto alla morte sperimentata (se non alla “morte meditata”), quella che esige “si marcisca”, non si maturi con essa. Leopardi, pur con tutte le sue esperienze negative, non cade perché la sua psiche non offre alcun appiglio alla morte, è monade che rispecchia il maleficio ma non lo accoglie mai definitivamente in sé […]

Nel suo percorso raffinato, Strazzabosco conclude che forse per Zanzotto il simbolo, la figura lunare, sia così pregnante da essere la cifra della sua idea di poesia.

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