Prima di entrare nell’opera, credo sia importare incontrare l’autrice con le stesse parole in cui lei si manifesta nella nota bibliografica:

“gestisce la casa editrice piédimosca edizioni e lo studio editoriale settepiani, con cui fa parte del progetto POPUP, spazio culturale a Perugia con la libreria indipendente e caffè. Trascura il blog comebavadilumaca.wordpress.com. Sotto i denti è la sua seconda raccolta. La prima, Ordine e mutilazione, è uscita, sempre per Pietre vive, nel 2016.”

In questo ordito è visibile una complessità di pensiero e di prassi coerente di Zuccaccia, radicata e fluida al tempo stesso, serissima, creativa e esposta. Le scelte che segna nel catalogo vasto della sua casa editrice, vasto per diramazioni e registri espressivi, sono speculari al suo lavoro nel territorio, dentro cui è divenuta con la sua bottega di pensiero, di libri, e di incontro, un cuore pulsante. Tutto questo senza alcuna autoreferenzialità, anzi sostenendo un lavoro di squadra.

Vorrei far notare anche il tempo di sette anni trascorso tra una pubblicazione e l’altra. Un tempo dentro cui è emerso il mondo professionale di Elena Zuccaccia, ma anche fatti esistenziali al limite dell’ustione, dell’annichilimento. Scosse elettriche che hanno agito in uno sconvolgimento di vertiginosa maturazione, al punto da raggiungere una tessitura lirica originale, asciutta, tesissima, nervosamente destabilizzante, che governa l’opera tenacemente nel proprio viaggio dentro il femminile e nella relazione.

I testi impegnano a un continuo slittamento, come se non sia possibile alcuna tregua né a chi canta né a chi legge. L’incalzante urgenza dell’io è sbattuta continuamente tra la lava e il raffreddamento, tra lo sbilanciamento passionale, animale, verso il tu e le cose, sprofondando nell’esperienza e dall’altra parte, la necessità di prendere distanza, confinamento, pausa ruminante elaborativa. Tutto questo metronomo esistenziale e comportamentale permette al pensiero un rallentamento, una lettura con lente d’ingrandimento sul dettaglio più che sulla visione, più che sull’estensione. Permette a Elena Zuccaccia di cantare.

La prima poesia mi richiama Clarice Lispector: la tensione bruciante, bruciante da divenire gelida, verso un luogo punteiforme. Viverla con occhio dilatato, ipersensibile. Ed è proprio su questa linea di forza, che sento un altro nome vicino a Elena, Paola Febbraro per lo stesso sforzo disumano di portarsi alla nominazione in un processo di sottrazione sia esistenziale che poetica.

Da una parte lavorare l’io fino a sostenere una dimensione esistenziale bidimensionale, frontale, orizzontale come la poeta più volte insiste. Dall’altra, stare alla parola con rigore lessicale, sceglierla e prenderla tra i denti ormai divenuta osso.

Corpo a corpo con la fragilità e, al tempo stesso, corpo a corpo con l’ostinazione di dirla fino in fondo, l’essenza vissuta, la frattura, l’immanenza della perdita, il tonfo della propria caduta per insostenibilità.

Pierpaolo Miccolis, artista visivo, l’accompagna qui, come è stato nella precedente opera, con un tratto intenso e rispondente.

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