L’espressività del canto raggiunge l’irriverenza, scrosta i canoni di un addomesticato nominare e ritmare, torce il corpo provocando squarci violenti di memorie, assoluti strapiombi in cui l’emozione è sottratta per permettere la luce necessaria della visione. Marià lavora in questo fragilissimo equilibrio stilistico e esistenziale, con un espressionismo maledetto, in cui può deflagrare l’efficacia della tensione. Per questo sceglie la folgore sintetica che può produrre energia ignea proiettando la propria cicatrice bruciante e bruciata.

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