Luciano Prandini, KOMMEDIA

Incontri editrice. Sassuolo (Mo), (2025)

Non sono stata in grado né ora potrei fare una recensione di questo lavoro poetico. Non ne ho gli strumenti, esulando Kommedia dai canoni, dagli stilemi a cui riesco ad accostarmi.
Sì, forse, come dice Maria Lia Lotti a presentazione dell’opera, “pur essendo un poema che mima il ‘200, è in realtà un’opera di avanguardia” e forse, come dice Alberto Bertoni nella fascetta di copertina “conferma la necessità per la nostra poesia contemporanea di reintrodurre con consapevolezza sempre più convinta Dante nel canone espressivo che giocoforza è (e sarà anche nel futuro) tenuto a far dialogare lingua poetica e responsabilità civile di chi la pronuncia.”. Bertoni parla dell’opera come di una “parodia”, ma tale che “l’effetto comico può (…) coincidere con un intento satirico, talora a sfondo tragico”. Kommedia di Luciano Prandini, quindi, oltre ad esprimere il “grido di dolore per la tragedia del harakiri dell’umanità”, è da considerare un testo satirico “non in chiave distruttiva o straniante, bensì ricostruttiva e rigenerativa del testo parodiato” e cioè della prima cantica della Commedia di Dante. Nella postfazione di Pietro Civitareale si mette in luce che “il testo poetico è costitutivamente sottoposto ad alcuni divieti normativi di tipo lessicale, morfologico e sintattico”, così che “la struttura fonologica” diventa “struttura di contenuto, un valore tematico”. Sicuramente positivo è, poi, il suo commento al messaggio testuale: “la ricchezza e l’ampiezza degli argomenti proposti, l’identità morale e culturale dei personaggi evocati (…) concorrono a rivelare l’identità umana o, se si vuole, il profilo intellettuale e psicologico dell’autore, in cui sono in gioco tutte le facoltà più raffinate e prensili della sua personalità”; l’opera è “ricca di sapiente concretezza e specchiata allusività, emergenti da una tensione problematica” e da “una particolare ed esemplare sensibilità”.
Mi sento di concordare con molte osservazioni (ubi maior, minor cessat), ma resto intrappolata in una specie di perplessità, che non è questione di giudizi di valore, ma di approssimazione mia all’opera. Dirò quindi solo piccole impressioni, nemmeno ben anellate tra loro.
Quest’opera, distesa in 31 canti, è impeccabilmente espressa in una struttura metrica di endecasillabi e terzine incatenate, con un lessico frequentemente dantesco, ma arricchito da numerose inserzioni di voci alte e basse del presente, di espressioni di settore, tecniche, secondo le necessità dei personaggi presentati. Un’originale immaginazione di un ‘oltrevita’, non certo religioso né spirituale, quanto piuttosto conformato sulla complessità e creatività del mondo interiore dell’autore, costruisce il luogo dell’esperienza. L’energia che fa vivere, parlare, emozionare i tanti personaggi incontrati (da Caproni nel ruolo virgiliano, a Einstein, a Gesù, a Majakovskij, a Dalla, a Margherita Huck, a Ferreri, a Lumumba, ecc.), naturalmente esenti da sofferenze, punizioni o beatitudini, ma sempre presi dall’interesse che non smettono verso il mondo e gli uomini, non è ultraterrena, ma la testimonianza viva di come il poeta li ha incontrati, vissuti, condivisi o discussi, sentendoli comunque anelli di quella catena di civiltà in cui lui si riconosce: sue radici, sua fede prospettica nella costruzione di un futuro. Nonostante il tempo malsano che, anche qui, aleggia sullo sfondo, incombente come un’apocalisse. Sembra quasi una dilatazione della famosa affermazione di Levi Montalcini: biologicamente l’uomo di oggi è del tutto uguale a quello delle caverne; la differenza è tutta nella civiltà e cultura che via via nei millenni l’umanità è andata costruendo e tramandando di generazione in generazione, scegliendo di farlo, credendo nel miglioramento possibile, senza alcun aiuto genetico. Per procedere occorre volerlo e rivolerlo e proteggerlo e tramandarlo e incoraggiarlo. Questo io sento nella grande sfilata di Prandini.
Anche se, alla fine della Kommedia, tutto pare dissolversi, come un sogno, un’allucinazione, un immaginario; torna il mondo attuale, con il suo imbarbarimento, gli incubi, i problemi, le speranze ultime, le delusioni.
Ma dopo aver immaginato un “altro divenire / forse, fuori dal tempo e dall’agone,”, ecco il vero lumicino in prospettiva che Prandini ci propone e a cui si aggrappa: non a caso nel suo dialetto, nella sua lingua profonda, (dopo tanto mistilinguismo, colto, arcaico, quotidiano, specialistico, è il suo respiro, è il suo mettersi in coda nella sfilata), si spalanca un attimo della sua infanzia, come  eternato, in un pieno di minuscole quotidianissime cose, ma tutte vitali segni della grande bellezza che potrebbe essere l’umanità: “un putîn in scapîn coi so fulét / tut insém lugâ a drée la séev, /so madar cla cantava su i radét./ In sla ramada a gh’era un sibióol, / na sivéta, un barbagièen, un falchét / tut sìt insém a scultâr al rusignóol / e na ciuìga in ciél con al so vèers/ e na scala ad piulét su fin al sol. / E mi, Cianîn, con lóor in dl’Univèers.”
(“un bambino quieto con i suoi folletti / tutti insieme nascosti oltre la siepe / sua madre che coglieva i radicchi./ Sulla rete c’era un nibbio / una civetta, un barbagianni, un falco / tutti zitti insieme ad ascoltare l’usignolo / e un’allodola in volo col suo verso / e una scala a pioli su fino al sole./ E io, Lucianino, con loro nell’Universo.”).
Ripeto quello che sentii al primo comparire dell’opera, che nulla vuole togliere all’intelligenza della stessa e del suo autore: mi commuove profondamente tanto amore e fede nella civiltà che l’uomo ha – comunque – saputo costruire, soprattutto oggi, quando sembriamo sull’orlo dell’apocalisse. Mi commuove un canto che prima di tutto, per me, è l’abbraccio di Lucianino all’Universo.

  1. Avatar Michele Lalla
    Michele Lalla

    Mi sembra una recensione perspicace e profonda. Mi piace anche l’approccio: perché dichiarare di non essere in grado e motivarlo è già una critica e una recensione eccellente. Complimenti.

    Non concordo con Bertoni sul rifermento alla parodia, perché semmai è una emulazione, un punto di ispirazione e attualizzazione e personalizzazione dell’opera dantesca.

    Data l’architettura e stabilita la laicità e un al di là quasi classico, ci sta che il finale sia evanescente… “tutto pare dissolversi come un sogno, come una allucinazione” (citato a memoria e può contenere imprecisioni)

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