È appena uscita la riedizione di Talamimamma, di Anna Maria Farabbi, con tipi editoriali diversi, diversa presentazione dell’autrice, diverso titolo – ninnananna talamimamma – che mostra come la proposta poetica si sia in parte modificata, arricchita com’è di una ulteriore silloge di poesie, proposte lungo l’arco delle ore del giorno e cadenzate tutte sui ritmi di ninnananne (certo, come le intende Farabbi, che da sempre le ‘stornella’, delicate o aspre che siano, per scuotere, far pensare, veicolare temi etici e politici), rivolte, oltre che a bambine e bambini, anche – questa la differenza rispetto alla silloge originaria – a ragazzi e ragazze adolescenti. Per molti versi una silloge diversa dalla prima edita – che in quest’edizione è seconda per posizione – di cui avrò modo di parlare separatamente. Il nuovo testo complessivo, edito ancora dalla collaborazione di due case editrici –  pièdimosca e al3vie – si propone poi in una davvero straordinaria ‘caccia al tesoro’, che sostituisce a note informative o indicazioni di riferimenti-approfondimenti didattici, quasi per ogni poesia, un invito ad andare a cercare ‘in rete’, nell’enorme mare del sapere disponibile sul web, nomi, concetti, suoni e musiche, immagini, quadri e statue e architetture, storie, testi, in qualche modo correlati con le poesie o semplicemente estensioni conoscitive a partire da quelle. In questi tempi di fenomenologie preoccupanti nell’uso di social e siti web, credo si tratti proprio di una indicazione educativa intelligente e maieutica.

Con piccole modifiche, ripropongo qui la riflessione che feci sul n.76, anno XIX, di Atelier, dicembre 2014, a partire da Talamimamma, sulla poesia rivolta ai bambini, che ritengo ancora oggi foriera di tematiche da valutare.

TALAMIMAMMA, poesia bambina.

Non si tratta di poesia per bambini. Che vorrebbe dire, anche se solo in parte, piegare ad una finalità esterna, data cioè fuori e prima del fare specifico della poesia, ciò che non è manipolabile da moventi esterni: quell’‘aseità’ della poesia, come la diceva Galvano Della Volpe, che dà regole e modi e scopi dentro al ποιειν, al fare-costruire stesso della poesia. Anche se poi, dopo che è venuta al/nel mondo, essa può corrispondere a funzioni, fini, ideali, e quant’altro. Non si vuole qui togliere importanza e spessore culturale a quella vasta gamma di opere che normalmente si intende con “poesia per bambini”. Non sarebbe possibile ignorare il grande valore educativo e ludico di opere come quella di Gianni Rodari; ma neanche “il profumo di scuole elementari lontane, un po’ libro cuore e un po’ Gianburrasca”, (“kitsch, d’accordo. Ma anche il kitsch, magari affidato al birignao di Paolo Poli, può essere delizioso”), dice Paolo Mauri, di certe poesie che hanno insegnato a generazioni di scolari come la “pioggerellina di marzo” di Angiolo Silvio Novaro abbia un picchiettare “argentino”, o come agonizzi (“Clof, clop, cloch / cloffete, / cloppete, / clocchete, / chchch…”) la “fontana malata” di Aldo Palazzeschi, e che insieme hanno fatto gustare, in un misto di miele e onomatopea, il piacere del ritmo e dell’eufonia, la potenza magica del dire rituale della filastrocca e dell’anafora (chi, di quelle generazioni, non ha sentito davvero nell’ipnotizzante suono  pascoliano il nitrito della cavalla storna che accusa l’assassino?):

In una prima la maestra stava spiegando la lettera “h”. Senza la “h”, diceva, il gallo fa “cicciriccì”. La classe si divertiva moltissimo. L’alfabeto salva i galli (che magari questi bambini di città non hanno ancora mai visto) e le poesie salvano la natura, le pioggerelline di marzo, i frutti estivi. . . . Se non c’è più Novaro, nelle antologie delle elementari di oggi abbondano i suoi coetanei o quasi e di peso ben maggiore: D’Annunzio è molto presente con Settembre, Gozzano, i cui Colloqui uscirono un anno dopo Il cestello, nel 1911, . . . e poi Ungaretti, Saba. Non mancano i poeti più recenti come Caproni o Raboni, Piumini o Orengo, ma neppure classici stranieri come Rilke o Neruda. [i]

Interessante è notare come sia capitato spesso che certe poesie di poeti indubbiamente importanti, come appunto Aldo Palazzeschi, o Giovanni Pascoli o Umberto Saba, dopo essere comparse nei libri di lettura elementari e magari siano risultate molto gradite dai bambini, siano spesso decadute dalla primaria dignità delle letture per adulti e quasi scomparse, ad esempio, dalle antologie liceali. Anche se poi, magari, grandi lettori come ad esempio Giovanni Giudici, a forza di studi e conferenze, magari proprio sul difficile ‘caso’ Pascoli, hanno aperto occhi nuovi e un po’ stupiti sulla “cavallina storna”, rendendola ancora degna di qualche antologia per il triennio delle superiori. Ma ci induce a riflettere Paolo Mauri quando precisa, a proposito della presenza di poeti contemporanei nelle attuali antologie per bambini:

Gli argomenti però hanno alla fine la meglio sul linguaggio ed è facile notare che la vita moderna . . . entra ben poco o per nulla nelle poesie proposte. Tanto per cominciare nessuno parla della tv, o delle automobili che molto più degli uccellini fanno parte dell’esperienza quotidiana dei bambini, specie quelli di città. Nessuno parla dello smog.[ii]

Capita infatti che chi scrive per bambini o organizza libri di letture per bambini, anche chi ha il tocco del pifferaio magico, rinunci a qualcosa del suo ‘dire da grande’, cerchi una ‘minorità’ linguistica e logica, per arrivare – crede – prima e meglio all’anima infantile. Ma già Antonio Porta e Giovanni Raboni, che nel 1978 proposero un’antologia rivolta ai bambini, Pin pidin, edita da Feltrinelli, in cui le poesie erano di poeti contemporanei come Zanzotto e Balestrini, insistevano che era necessario abbandonare la lallazione linguistica e cognitiva attribuita ai bambini:

È noto che autori come Bertolt Brecht e T.S.Eliot hanno scritto famose poesie per bambini senza rinunciare affatto, in esse, alla specificità dei loro temi e dei loro procedimenti espressivi. In Italia in anni recenti, diversi poeti hanno cominciato a dedicare ai bambini, con successo, parte della loro produzione.  La premessa di fondo dalla quale siamo partiti è, insomma, quella di un totale, radicale rifiuto della poesia per i bambini come genere a sé stante, coltivato in esclusiva da “specialisti”, che non siano anche, e prima di tutto, dei poeti. . . . Consideriamo antieducativa per non dire castrante, la pretesa di rivolgersi ai bambini mettendosi “al loro livello” e imitando in modo inerte la per altro ipotetica “facilità”, schematicità e ripetitività del loro modo di pensare e di esprimersi.”[iii]

In Talamimamma di Anna Maria Farabbi è la poesia ad essere “bambina”. Che non vuole significare ‘minore’, solo “più bassa” quel tanto da sentire “i fili dell’erba cantare”, come si diceva nell’exergo dell’inedito, poi scomparso nell’edizione, forse proprio per togliere ogni ambiguità inerente l’‘alto’ e il ‘basso’ nella poesia rivolta ai bambini. Non minorità, allora, ma quella “maraviglia” che “rende l’anima attonita”, diceva Leopardi, quella di cui sono capaci “antichi” e “fanciulli”:

quello che furono gli antichi, siamo stati noi tutti, e quello che fu il mondo per qualche secolo, siamo stati noi per qualche anno, dico fanciulli e partecipi di quella ignoranza e di quei timori e di quei diletti e di quelle credenze e di quella sterminata operazione della fantasia; quando il tuono e il vento e gli astri e gli animali e le piante e le mura de’ nostri alberghi, ogni cosa ci appariva o amica o nemica nostra, indifferente nessuna, insensata nessuna. . .  quando la maraviglia tanto grata a noi che spessissimo desideriamo di poter credere per poterci maravigliare, continuamente ci possedeva. . . Ma qual era in quel tempo la fantasia nostra, come spesso e facilmente s’infiammava, come libera e senza freno, impetuosa e instancabile spaziava, come ingrandiva le cose piccole, e ornava le disadorne, e illuminava le oscure. . .  che magia che portenti. . . quanta materia di poesia, quanta ricchezza, quanto vigore . . .  dal genio che tutti abbiamo alle memorie della puerizia si deve stimare quanto sia quello che tutti abbiamo alla natura invariata e primitiva, la quale è né più né meno quella natura che si palesa e regna ne’ putti. . . [iv]

Non lallazione, in Talamimamma, ma capacità di nominare in assoluta originalità il mondo, come anche Pascoli attribuiva al ‘fanciullino’-poesia:

È dentro di noi un fanciullino che non solo ha brividi . . . ma lagrime ancora e tripudi suoi. . . egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. . . E a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare. [v]

Se questa qualità ‘bambina’ è attribuita sia da Leopardi che da Pascoli a tutta la ‘vera’ poesia, nondimeno il primo annotava nello Zibaldone:

Ma ora le persone istruite, quando anche sieno fecondissime d’illusioni, le hanno per tali, e le seguono più per volontà che per persuasione, al contrario degli antichi degl’ignoranti de’ fanciulli. [vi]

Io credo che la poesia tutta abiti in quel “fantastico”, “indefinito”, “vago” che, ‘orizzonte degli eventi’ logico-verbale, confina e sconfina con il ‘buco nero’ dell’indicibile pre-verbale e materico: luogo instabile di burrasca che ognuno ha in sé, tra il sogno e il senso, il tocco della cosa e la parola della cosa. Ma nei bambini che sull’orizzonte tracciato dall’indice della madre, vedendo e toccando, imparano a dare nome al mondo, questo luogo promiscuo, da cui sorge la cosa nella naturalità della metafora e della metonimia e del simbolo, sull’onda del fiato e del vento, questo luogo ha qualcosa di speciale e maggiore:

L’immaginazione è il primo fonte della felicità umana. . . Lo vediamo nei fanciulli. [vii]

Senza dovere per forza cadere nella desolazione da ‘adulti’ leopardiana, però è questa “felicità” che fa la differenza. Che ha lo scatto d’inizio in quel facile annoiarsi dei bambini, così ben definito da Leopardi, se pure si riferisce ad un sentimento adulto:

La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani. . .  sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo . . . e patire mancamento e voto, e però noia, pare a me il maggiore segno di grandezza e nobiltà. [viii]

Ritrovare questa “felicità”, questo “vòto” che è desiderio senza colmabilità ed inappagabile curiosità ed infinita apertura, per lasciarsene scrivere e sentire, credo sia alla base di una possibile poesia “bambina”. E alla base di tutta la poesia comunque. Significative a tal proposito in Talamimamma sono proprio la poesia introduttiva che dà il titolo alla raccolta e poesia bambina nella sezione di Agosto. Se “facciamo che io sono una palla” ci porta immediatamente dentro quella fantasia identitaria che i bambini usano per mettersi in relazione profonda con l’altro-da-sé, allora l’apertura curiosa a “tutte le mani / che dall’inizio del mondo l’hanno giocata” è spontanea. Come non tornare immediatamente a quei versi di Anna Maria Farabbi in Asilo, dal poemetto Abse, non specificamente per bambini, ma assolutamente dentro questa fantasia identitaria: “Il mio gioco invece è intingere un dito / e diventare immediatamente acqua.” o “facciamo che io sono … la pioggia” o:

la nonna ridendo mi dice vento

e io sono il vento    gioco

tra il mare e il grano

sposto continuamente l’ape [ix]

E nei balzi della palla è naturale anche l’esperienza del divenire eracliteo:

facciamo che io sono una freccia faccia rotonda
che girando cambia

se per un attimo ti assomiglia
non puoi trattenerla [x]

La consapevolezza del “giuoco” come di una forma che dà conoscenza (“oro”) dentro il piacere. La palla esattamente come la “poesia bambina”. Un gioco così potente che è già stato profondamente pensato nella poesia di Anna Maria Farabbi:

butto la mia palla gialla nel cuore
della notte
perché ho paura non capisco sento freddo

rimbalza: mi torna indietro una gioia sferica

non so chi sia la bimba là
ma il gioco esiste [xi]

Un gioco che qui, nella prima poesia di Talamimamma, non tralascia rime ed assonanze, ma quasi solo esemplarmente: “facciamo” “faccia” “freccia”, “rotonda” “girando”, “fuoco” “giuoco”, “sonoro” “oro“sono”, che in 11 versi non sono molte. Mentre si osa invece con il doppio spazio del silenzio tra strofe (meglio definirle ‘gruppi di versi’) diseguali.

Nell’altra poesia bambina la potenzadel gioco si fa addirittura sovversiva:

andremo dal re

per farci ridare i pani e i pesci e l’acqua bella da bere

in cambio porteremo dei giocattoli di fango

per le sue manine ladre

e gli insegneremo a giocare alla pari

con i poveri del mondo [xii]

È una poesia, in effetti, capace di proporre con leggerezza temi pesanti, impegnati, senza scadere in modi retorici o troppo intenzionalmente ‘educativi’. Lievissime le “rose” che in Maggio fanno il giro del mondo, accomunando le “noi bambine” italiane che le odorano alle “amiche indiane” che “buttano i petali nel Gange / per salutare le nonne che torneranno a rinascere”, alle “sorelline nomadi” nubiane che giocano con le rose del deserto. [xiii] Così come molto delicata, quasi in ritegno, senza togliere drammaticità alla situazione di cui si tratta, è la poesia di Giugno:

quando sarò grande giocherò con tutte le creature

quando sarò grande giocherò con tutte le creature
che vengono dal mare con le barchette bucate
o camminando sulle acque

avrò un pane
e una ninna nanna dolcissima
che addormenterà il dolore [xiv]

Conferendo, anzi, una sacralità semplice, sottesa a quel camminare “sulle acque”, all’evocazione di “un pane”. Temi difficili, senza perdere mai la fiducia gioiosa dei bambini nella propria ‘magica’ onnipotenza:

gli uccelli parlano ai cacciatori
narrando la bellezza del volo

io li ascolto
rubo i fucili e li sotterro [xv]

È un’onnipotenza che si manifesta soprattutto in uno spontaneo ‘sapere’ (“io so parlare alle nuvole mentre passano”, “oggi canteranno i pesci / e io saprò ascoltarli” [xvi]), che è insieme un ‘sentire’ sé e dall’altra parte di sé (“puoi sentire perfino il suono del filo / dell’erba  che canta” [xvii]):

uccelli e farfalle non sono abbastanza

se fiorisce il melo bianchissimo

e ha una testa che parla [xviii]

Non solo permette di conoscere, ma anche di agire fuori, sopra, oltre i normali limiti, arrivando, appunto, anche a capovolgere il classico andamento di favole o altri luoghi comuni consueti:

un giorno lo giuro disubbidisco alla mamma:
porterò il mare in cima alla montagna [xix]

***

corro sul sentiero del bosco
la mia mantellina rossa vola verso la nonna
che a quest’ora ci scommetto
bacia e colora di pace

il lupo

Si tratta di un’onnipotenza che si insegue sul filo incessante del “che cos’è?” dei bambini, che mentre chiede già spiazza la logica del possibile degli adulti:

sono biglie di vetro
o palline di grandine
che battono rimbalzano danzano? [xxi]

***

Perché gli uccelli volano esatti?
. . .
Perché io non ho in me il volo degli uccelli? [xxii]

***

che cos’è

se non la terribile bellezza
dentro cui muore la mosca? [xxiii]

C’è qui una durezza che l’antitesi ‘bellezza’ vs ‘morte’ rende particolarmente aspra, così come il disegno da colorare corrispondente (tra quelli posti in fondo al libro, oltre l’indice) non attutisce assolutamente la drammaticità. Così come nel gelo di Gennaio non si nasconde che:

trema dalla fame e dal freddo
la luce del mio piccolo cuore
passerotto

ascolto l’inverno così
senza cantare
nel mio nido profondo [xxiv]

Perché bisogna sapere riconoscere nel mondo anche i segni e i modi della sofferenza (senza cadere nell’eccessivo patetismo del “nido” che “pigola sempre più piano”). [xxv] E perché i bambini non sono sempre felici. L’importante è che il male non resti infruttifero, che non capiti come a quel ragazzo Valentino-Zvanì di rimanere incastrato tra un’infanzia rimasta incompiuta nel dolore ed una giovinezza tanto piena di desiderio quanto soffocata dall’incapacità di viverlo. Così qui il “passerotto”, che non è un termine di paragone reale, ma l’aggettivazione metaforica del “mio nido profondo”, spinge lo sguardo, con tenerezza, verso quell’interiorità che può certo fare esperienza della “sciabola” gelida della solitudine, ma senza esserne sopraffatta, perché il “nido” è “contro vento” e resiste:

la neve

bianca che copre e addormenta
con un silenzio buono e morbido [xxvi]

***

nevica azzerando la maestra la scuola il quaderno
matita e colori

e io sto dentro il vuoto dello zero
perché è il mio nido di neve [xxvii]

Così la ragnatela mostra la “mappa sensibile” del “mistero” del mondo, senza far chiudere gli occhi davanti al fulgore che “brilla di brina”, né alla sua realtà di trappola “carnivora”. Anche il tema della madre è toccato in modo diverso dal solito:

non è il cono della montagna su cui gli uccelli
atterrano
. . .
è l’inferno della discarica mi dice la mamma senti
i gabbiani la strappano con il becco mentre cresce

abbi cura di ciò che vive
. . . [xxviii]

Insegna il mondo, è la certezza consueta a cui la “bimba pesciolina” disubbidisce per imparare a scegliere, è l’anello più vicino di una lunga catena genealogica:

il mio nome in fila indiana

dietro a quello di mia madre  di mia nonna

e della madre della madre di mia nonna [xxix]

La si sente lì, di fianco, magari con le mani nell’impasto del pane o qui, in un letto d’ospedale, vicina vicina, ma già nello strappo definitivo, come è stato per la poetessa mentre scriveva questo libro. Motivo del titolo, Talamimamma, che in dialetto perugino dice “alla mia mamma”, ma tutto attaccato insieme: il volgersi alla potente nominazione della propria origine, il pieno possesso di un rapporto che sconfina i confini.

io voglio una sola

lunghissima morbida carezza

dalla mia mamma

che ha la mano più grande della mia

su cui ora poso il sonno

e il suono del sogno [xxx]

 Note


[i] Paolo Mauri, La pioggerellina di marzo, La Repubblica, 22 marzo 2009

[ii] ibidem

[iii] I brani dall’Introduzione di Pin pidin sono citati nell’articolo di Paolo Mauri.

[iv] Giacomo Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, 1818

[v] Giovanni Pascoli, Il fanciullino, 1897

[vi] Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, 169

[vii] ivi, 168

[viii] Giacomo Leopardi, Pensieri, LXVIII

[ix] Anna Maria Farabbi, Abse, Asilo, Rovigo, Il Ponte del Sale, 2013, 104 – 107

[x] Anna Maria Farabbi, Talamimamma, Lecce, Terra d’ulivi, 5

[xi] Anna Maria Farabbi, Abse, cit., 103

[xii] Anna Maria Farabbi, Talamimamma, cit., poesia bambina, 37

[xiii] ivi, il mese delle rose, 24

[xiv] ivi, sulla riva del mare mentre sbarcano, 29

[xv] ivi, il cielo e la terra, 28

[xvi] ivi, 18, carnevale, 13

[xvii] ivi, il canto, 32

[xviii] ivi, 21 marzo: primavera, 17

[xix] ivi, la bimba pesciolina, 41

[xx] ivi, la favola di cappuccetto rosso, 36

[xxi] ivi, due domande con l’eco / a naso all’in su, 10

[xxii] ivi, domandine invernali tonte, 49

[xxiii] ivi, la ragnatela all’alba, 12

[xxiv] ivi, il nido contro vento, 8

[xxv] Giovanni Pascoli, X AGOSTO, Myricae, 1891.

[xxvi] Anna Maria Farabbi, Talamimamma, cit., la neve, 52

[xxvii] 27-ivi, 53

[xxviii] ivi, poesia della differenza, 48

[xxix] ivi, la luce del niente, 50

[xxx] ivi, 38

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