La lettura di Trame di nascita di Rosella Prezzo, mi ha portata a ritrovare questo poemetto di Silvia Plath che custodisco nella prima edizione, con testo a fronte, del 1982.
Si tratta di un radiodramma, trasmesso dalla BBC per la prima volta nel 1962, che parla di tre donne accomunate dall’esperienza della maternità. Le loro voci si intrecciano, ma non parlano fra loro. Una casalinga che desidera un figlio ed è presa da paure sottili; una segretaria che perde il bambino e guarda intorno a sé i colleghi di cui descrive insistentemente la ‘piattezza’ che fa da contraltare alla rotondità perduta del suo corpo, “È di questi uomini che ho paura: sono così gelosi di tutto ciò che non è piatto!”. Infine, la terza voce è una studentessa che decide di portare a termine la gravidanza non desiderata e lascia la bambina alle cure di altre.
Dolore e tenerezza si alternano, sostenute dalla meraviglia del pulsare del cuore del bimbo in grembo, paradigma dell’innocenza del mondo. Nello stesso mondo in cui si perpetrano i massacri e il principio della vita è offeso e distrutto.
Il poema è scritto per essere recitato e alla base della sua comprensione c’è la voce di ognuna che si confronta con la propria coscienza e si chiede quale sia il suo destino.

Per quanto posso essere un muro, tener lontano il vento?
Per quanto tempo posso rendere
Meno aspro il sole con l’ombra della mano,
Intercettare le frecce bluastre della luna fredda?
Le voci della solitudine, le voci del dolore
Mi toccano la schiena ineluttabilmente.
Come potrà smorzarle questa piccola ninna-nanna?

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