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Ci siamo preoccupati, almeno per un po’, quando una voce ruvida e profonda, sostenuta da uno sguardo acuminato, ci ha avvertito della “scomparsa delle lucciole” – e di tutto ciò che rivelava – mentre nessuno si è accorto che ci hanno rubato il profumo dei fiori. Da molto tempo, talmente tanto che non si riesce a fissare neanche un vago periodo, ci siamo fatti togliere, da sotto il naso – letteralmente – il profumo dei fiori che abbiamo continuato a comperare, a regalare, a farci regalare. I fiori, avvolti in bozzoli luccicanti sono, ormai, dei sepolcri vuoti: di terra e di memoria. Sempre piĂą simili a oggetti di plastica, i fiori non hanno piĂą odori: gli abbiamo tolto la vita e l’anima. E se un fiore non ha piĂą il suo specifico odore, la sua caratteristica fondamentale, cosa è diventato? Come è potuto accadere questo mutamento, questo passaggio da uno stato ad un altro? E, ancora, cosa ci dice, ora, questa nuova condizione dei fiori recisi e snaturati? C’è, come nel caso delle lucciole, qualcosa di piĂą profondo e generale, che va al di lĂ  dei fiori e dei fiorai, che ci coinvolge tutti e che riguarda un tratto, essenziale ed emblematico, della nostra attuale condizione di abitanti pro tempore del nostro pianeta? Potremmo partire, alla ricerca di queste risposte, chiedendoci se il modo in cui guardiamo i fiori esposti nelle vetrine è diverso da quello che riserviamo a quelli in mostra nei balconi o dentro le nostre case. Ma forse, ancora prima, dovremmo chiederci se guardiamo davvero i fiori, le piante, i cespugli e gli alberi. Se li guardiamo come elementi sfocati di un fondale immobile che chiamiamo panorama, osservato solo dai vetri delle finestre e dai finestrini di auto, tram, pullman e macchine o, invece, ci fermiamo a guardarli scendendo dai nostri nastri trasportatori, per entrare in altri luoghi che non abbiamo mai davvero visti, pur attraversandoli ogni giorno. E, continuando a svolgere il filo delle domande, potremmo chiederci che cosa vediamo accanto ai fiori, alle piante, agli alberi. Potremmo scoprire che, forse, di fondale in fondale, abbiamo perso la prospettiva delle vie e dei vicoli, delle piazze e dei palazzi, scivolando lentamente dentro una dimensione senza angoli, piatta. E abbiamo smarrito, prima ancora, la prospettiva dei volti ridotti a maschere di paure o a visi senza connotati, particelle che fluiscono su binari invisibili che non trovano mai la stazione del nostro interesse nĂ© la disponibilitĂ  alla fatica della scoperta e all’azzardo dell’incontro. Se abbiamo spostato in un altrove, nascosto e rassicurante, al riparo da interrogativi taglienti, i profumi dei fiori e i volti degli altri dovremmo chiederci con quali materiali abbiamo costruito il nostro ambiente umano e naturale. Di domanda in domanda potremmo arrivare a capire quali smottamenti abbiamo provocato dentro le strutture sociali e su quali voragini, di senso e di consapevolezza delle comuni traiettorie umane e delle corrispondenti responsabilitĂ , abbiamo posto il nostro abitare il tempo e il mondo. Ma, soprattutto, dovremmo chiederci se questo mondo lo abitiamo davvero, con tutti i sensi e con la sapienza, quella trasmessaci e quella generata dalle generazioni contemporanee, degli equilibri fra differenze, e delle loro interdipendenze, e la passione per gli altri e con gli altri che, con fatiche diverse eppure così simili, percorrono il nostro stesso spazio geografico, storico e, in ultima analisi umano. E forse proprio dello statuto dell’umano, della sua attuale declinazione e narrazione che i fiori senza profumi e i volti cancellati dall’indifferenza ci dicono qualcosa di veramente importante e cioè che c’è un filo che tiene insieme tutto: fiori, terra, volti, acqua, aria, cammini, racconti, scambi e relazioni e che lasciar fuggire via questa fondamentale coscienza dell’essere è una sottrazione imperdonabile perchĂ© mutila il corpo del mondo e deforma l’idea di umanitĂ  che si restringe sempre piĂą dentro fortini di egoismi. Sulle tracce di lucciole e fiori, guardando bene, si possono scoprire i graffi delle orme di percorsi diversi, a volte nascosti, a volte cancellati ma ben piantati dentro il battito vitale della storia. Allora scopriremo che piccoli segni custodiscono grandi veritĂ  che aspettano le giuste domande per rivelarsi.

  1. Avatar Massimo Pizzingrilli
    Massimo Pizzingrilli

    Grazie anche a Leandro, che stimo sotto tanti punti di vista. Mi ha colpito in particolar modo questo passaggio: “Potremmo scoprire che, forse, di fondale in fondale, abbiamo perso la prospettiva delle vie e dei vicoli, delle piazze e dei palazzi, scivolando lentamente dentro una dimensione senza angoli, piatta. E abbiamo smarrito, prima ancora, la prospettiva dei volti ridotti a maschere di paure o a visi senza connotati, particelle che fluiscono su binari invisibili che non trovano mai la stazione del nostro interesse né la disponibilità alla fatica della scoperta e all’azzardo dell’incontro.” La scoperta dell’urbanità come tecnica dell’incontro, in cui il volto e le sue rue stabiliscono o tornano a stabilire una geografia degli affetti, del sentimentale e dell’ingenuo, ci trasmette una consapevolezza in cui il mondo o meglio l’essere-al-mondo, come mi sembra suggerisca bene Leandro, deve trattenerci sulle sue increspature. Il capitale ai suoi antipodi ci lascia scivolare infinitamente, inavvertitamente, inesistitamente.

  2. Avatar Anna
    Anna

    Rimango sempre piacevolmente stupita dalla poetica eleganza incisiva con cui Leandro Di Donato enuncia e denuncia gli smarrimenti di prospettiva e di senso del nostro vivere contemporaneo. Dai fiori privati assurdamente della loro anima primigenia, alla scomparsa delle lucciole, fino ai volti umani ridotti a ” maschere di paure” o ” cancellati dall’indifferenza”. Eppure, un fil rouge, fatto di “cammini, scambi, relazioni” unifica tutto, e dimenticare questo legame imprescindibile è ” una sottrazione imperdonabile perchĂ© mutila il corpo del mondo e deforma l’idea di umanitĂ  “. Cos’altro aggiungere a parole così vibranti, intense e pregnanti? Semplicemente i miei piĂą sinceri e sentiti complimenti x questa scrittura e x gli impliciti moniti sui quali riflettere e meditare. Grazie Leandro!

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