Ho ricevuto e letto questo breve diario di Benedetta Bressan, volontaria ventiseienne nella ONG No Name Kitchen ( https://www.nonamekitchen.org ) operante al confine serbo-ungherese per assistere i profughi che arrivano sulla rotta balcanica. La situazione è drammatica. La sua voce e le sue parole richiamano con grande forza, intensità e urgenza la MIA, LA NOSTRA ATTENZIONE. Molte persone vanno “al fronte” per occuparsi della CURA contro ogni politica di guerra e distruzione.

Racconti da Subotica

1. L’arrivo

Cara Anni, caro Michi, Mik, Dié, Pasqui, Loris e tuttu,

perdonatemi se non vi scrivo personalmente ma vorrei raccontarvi a tuttu un po’ di cose che vivo qui e mi trovo costretta ad economizzare il tempo, spero non ne abbiate a male.
Sono arrivata ieri pomeriggio dopo un viaggio lungo e faticoso. L’arrivo in Serbia è stato alquanto duro: senza internet né telefono, chiedere informazioni alla gente mi ha subito fatto vedere la realtà della cultura serba: persone estremamente fredde, dai toni violenti, con un inglese difficilmente comprensibile mi rispondevano male se chiedevo una seconda volta perché non avevo capito la risposta.
A Novi Sad, fra un bus e l’altro, ho fatto una passeggiatina nei dintorni della stazione in cerca di cibo. A un certo punto sento uno strattone secco allo zaino, mi volto e un signore, avrà avuto 45 anni, teneva in mano il cerchietto di legno con i colori arcobaleno che mi aveva regalato mia madre e che io avevo attaccato allo zaino. Inizia a sbraitarmi contro cose tipo “vai a pregare fuori di qui, vai a farti fottere” e altre cose che non ho capito. Io gli dico “ridammelo, è mio”, e lui continua con le sue imprecazioni, sempre più forte. Stava urlando, io comincio a tremare fino a che lui si avvicina minaccioso per cui decido di andarmene. C’era gente intorno, seduta nei tavolini del bar. Nessuno ha mosso un dito, nessuno si è avvicinato, quasi non mi hanno rivolto uno sguardo, anche quando mi sono allontanata e non ho trattenuto i singhiozzi. Gelo totale. Qui dicono che è normalissimo, purtroppo. Era un pezzo di legno è vero, ma per me aveva un significato. Non immagino come sia essere lgbt+ in Serbia, se solo un portachiavi è pericoloso. Ci avevo pure pensato al mio arrivo, guardando il mio zaino tutto colorato, se sarebbe stato il caso di coprirlo. Però non so perché ho avuto speranza, una speranza ingenua. Adesso al suo posto c’è un pezzo di metallo attaccato, che vede aver usato il tipo per staccarmi il portachiavi. Lo terrò lì ancora per un po’, non mi va di levarlo, è come un monito che mi genera rabbia ma anche determinazione. Sarà ingenuità, per ora è così.
Qui la casa di No Name Kitchen è molto carina, c’è un bel giardino tutto intorno, due verande, sembra una casa al mare. Ci sono pure diversi gattini del vicinato che bazzicano spesso da queste parti, entrano in casa, qualche giorno fa ci hanno pure portato due topolini morti, segno della loro riconoscenza, che però gli è costato il bandimento dall’entrare dentro casa, comprensibile. Il gruppo delle attiviste è bello vivace: c’è Philou, francese, Carlo, italiano, Pia e un’altra tedesca, Sara e un’altra spagnola, e un’altra.. ancora non so tutti i nomi ma siamo in 8. Molte di loro vanno via fra una decina di giorni, ci sarà un ricambio. Sembrano tutte molto simpatiche, tutte estremamente chiacchierone tanto che ieri sera facevo fatica a seguire i discorsi, non un attimo di silenzio.. mi ci dovrò abituare. Carlo e Pia mi hanno detto di aver avuto problemi di convivenza, Carlo va via prima del dovuto anche per questo, speriamo bene.
Mi hanno raccontato un po’ com’è la situa qui. Questa tratta, al confine con l’Ungheria, è la rotta balcanica più percorsa a livello storico, sin dagli anni ‘90. Hanno provato altre vie, per la Bosnia, Croazia, Slovenia, ma poi la maggior parte delle persone è tornata a passare da qui. C’è un sistema di traffico organizzatissimo e basato sulla corruzione: dei PoM (People on the Move) che sono arrivati prima organizzano dei posti letto arrabattati e ci fanno dormire gli altri a prezzi altissimi. Poi pagano chi gli fa oltrepassare il confine, che è una rete lunghissima. Quello più pagato è chi mette la scala, va dall’altra parte, mette un’altra scala e torna indietro. Alcuni guadagnano fino a 7000 euro a settimana. Poi c’è chi taglia la rete. Fanno accordi con la polizia ungherese che lascia passare le persone che pagano. Altre invece sono respinte, sia dalla polizia serba, che ungherese, e si vede anche qualcuno con la divisa italiana. Tutta pagata dall’Europa, assurdo, o forse no, ahimè. I gruppi di trafficanti hanno faide fra di loro, hanno armi, l’altro giorno c’è stata una sparatoria alla Lidle fra due di questi. La gente del posto non fa una piega, da questa situazione ci può solo guadagnare. I salari qui sono bassissimi, ne approfittano per ospitare i PoM in nero facendoli pagare un sacco, o trasportandoli sotto i camion.
Carlo mi ha detto di sentirmi libera di andare via prima se ne sento il bisogno, dice che tre mesi è davvero tanto tempo, era sorpreso che restassi così a lungo. Già un mese e mezzo qui non sembra affatto scontato. Il 31 ottobre dovrei trasferirmi a Sid, lì la situazione sembra essere più tranquilla, ci sono meno persone, meno violenza, e il gruppo NNK di ora è fantastico. Per ora non mi faccio scoraggiare, sono molto curiosa e determinata, ma ancora non ho visto nulla, comincio lunedì.
Oggi è domenica, giornata di riposo. Andremo al lago e stasera c’è la riunione organizzativa in cui ci dividiamo le cose da fare.
Ora vado, spero di riscrivervi presto.
Un abbraccio e un sorriso,

Benni


2. Primi impatti

Caro Michi, cara Anni, Mik, Pietro, Dani e tuttu,

oggi è sabato, io ho il turno a casa. Il ché significa pulire, preparare la cena per stasera e stare dietro al telefono di emergenza. A breve dovrò andare a comprare delle medicine da portare a un ragazzo al camp. Nel mentre mi prendo un attimo di pausa, cercando di calmarmi il cervello che stamani c’è stato un casino pazzesco qui in casa.
Ieri ha preso fuoco un accampamento in mezzo al bosco, dicono che è stata colpa di un contadino e che i vigili del fuoco non sono mai arrivati. L’hanno spento i PoMs il fuoco, non ho idea di come abbiano fatto.
Non riesco a trovare abbastanza tempo libero per riformulare i pensieri della settimana quindi vi giro gli appunti che ho scritto così come sono. Ho tantissimo altro in testa che vorrei buttare giù ma quelli che all’inizio pensavo essere momenti liberi adesso si stanno sempre più trasformando in liste di cose da fare qui. Inshallah troverò il modo per farlo.

19.9.2023

Oggi primo giorno di distribuzione per me. Stamani siamo state al Train Track, un posto dove stanno costruendo dei binari, appunto, e dove c’è un accampamento. Abbiamo portato la doccia, 5 persone l’hanno fatta, tutti afgani, uno di 18 anni. E’ arrivata la polizia, loro sono scappati super velocemente. Uno non ci è riuscito ma per fortuna la polizia gli ha solo detto di andare al camp immigrazione e lui se n’è andato. La pula ci ha identificate. Finita lì.
Nel pomeriggio sono andata al camp. C’erano tantissime persone, la maggior parte siriane. Alcune di loro erano state sparate dagli afgani mentre cercavano di attraversare il confine qui con l’Ungheria. Uno aveva già fatto il viaggio dalla Bosnia fino a Trieste. Era arrivato nel 2020, aveva uno strano documento italiano fotografato male, dice che con quello può tornare in Italia fra 5 anni. Aspetta qui, in Serbia, il 2025. C’erano anche 4 o 5 famiglie, tutte siriane. Una bambina, Samila, 7 anni. Colore preferito: blu. Ho provato a giocarci ma non è facile perché lei non parla inglese e io non parlo l’arabo siriano. Quindi giochi di mani e fischi buffi con la bocca. Altre bambine e bambini erano lì. Io, Philou e Carlo siamo state un po’ con loro a giocare. Alla fine non volevano lasciarci andare, soprattutto una, si aggrappava alle braccia di Carlo e poi alle mie. Non ci lasciava. Samila mi ha aiutata a farle lasciare la presa. Carlo piangeva, al rientro a casa ha fatto una passeggiata per decomprimere. Penso che sia anche perché sono i suoi ultimi giorni qui, giovedì parte.
Io non so cosa pensare, cosa provare.. la luce scendeva, la notte calava e loro sarebbero rimaste lì a dormire mentre noi ce ne siamo andate via, a casa, con una cena e un materasso comodo su cui dormire. Avrei voluto restare lì con loro. Mi è difficile vivere e toccare così da vicino il mio privilegio, quello di essere nata in Italia da una famiglia italiana e benestante. Perché io sono qui e loro sono lì? Perché loro devono patire chissà cosa e io posso stare tranquilla? Perché Samila, che a sette anni dovrebbe leggere, studiare, giocare, fare amicizie, non aveva neanche un libro, un gioco, nulla. E i ragazzi, alcuni avevano dei piedi così gonfi…

21.09.2023

Ieri sono stata alla Factory, a Sombor, vicino al confine croato. C’è una grande fattoria abbandonata dove la gente dorme, soprattutto le famiglie. Gli altri sono accampati nella jungle, ovvero fra le sterpaglie e i boschi lì affianco. E’ un posto controllato dalle working crew, i gruppi organizzati che alloggiano i passengers facendoli pagare un sacco. Sono tutti PoM, chi arrivato prima e affiliato al gruppo, chi dopo. Quasi tutti siriani, quasi tutti giovani uomini. C’erano anche dei ragazzini, quattro o cinque, molto spigliati. Venivano a parlare con noi con un sorrisetto furbo in faccia. Dicevano chissà cosa in arabo, ogni tanto qualche parola in inglese ma poche. A un certo punto si è avvicinata pure una ragazza, accompagnata da un tipo che le stava sempre vicino. Sembrava serena, a proprio agio. Non si è fermata troppo lì.
Abbiamo fatto distribuzione di cibo e accessori igienici, e installato due docce che sono state sempre in funzione. Ci siamo messe in una strada un po’ più distante dalla factory perché lì, da quanto mi dicono, non è proprio un bell’ambiente. Ci sono state in passato molestie sessuali anche alle attiviste, per cui hanno deciso di allontanarsi ma di non mollare il posto. Andiamo lì con il gruppo di H, un team di dottor* e infermier*, e facciamo la vedetta (lookout) in cima alla strada, dove c’è un albero facilmente scalabile per cui ieri ho passato gran parte del tempo appollaiata là sopra a strizzare gli occhi per vedere da lontano (non sarebbe male un binocolo ma non ce l’abbiamo). Un altro lato carino della vedetta, per quanto ingrato possa essere il ruolo, è che alcuni ragazzi si fermano con noi a fare due chiacchiere e ci offrono bevande zuccherate e patatine. E’ difficile rifiutare, loro insistono tantissimo, ma alla fine non mi sono sentita neanche troppo in colpa perché sono quelli delle working crew, i soldi non gli mancano, per quanto sporchi siano (ma anche questa aprirebbe un’altra bella riflessione). L’atmosfera in generale è serena, i ragazzi ci aiutano a riempire i bidoni dell’acqua per le docce, scherzano sulle nostre provenienze (italia = mafia), ci offrono sigarette, troppe. Uno di loro mi ha mostrato il telefono con google translate, arabo-inglese. Mi ha detto di avere una laurea in informatica, vuole continuare a studiare o lavorare, una volta in Europa, voleva sapere se e come può farlo. Gli ho detto che le leggi cambiano da paese a paese, che non è facile ma che ce la può fare, inshallah. So che in realtà è molto difficile che gli riconoscano il titolo di studio, ci sono infiniti casi come lui, ne avevo sentito parlare a Pisa dai ragazzi che frequentavano Arte Migrante o lo sportello immigrazione dell’USB. Ma non ho avuto il coraggio di demoralizzarlo, l’ho incoraggiato a non mollare, cos’altro potrebbe fare?

22.09.2023

Oggi Vitaminka e Applewood, due accampamenti boschivi in una riserva naturale a nord-est di Subotica. Da lì si vede la rete del confine, questa cosa assurda contro cui combattiamo e che genera così tante ferite, sofferenze, morti. Lì era impressionante: la gente (i passengers) partivano per il “game”. Eravamo con un gruppetto di 7 o 8 ragazzi quando si vede arrivare la working crew da lontano. I ragazzi scattano velocissimi, raccolgono le cose, riprendono i telefoni in carica, riempiono l’ultimo goccio di acqua nella bottiglia già camminando e spariscono via. Era il momento. Chissà se ce l’hanno fatta, volevano andare in Germania, come tutti qui, o quasi.
A Applewood un ragazzo ci ha minacciato di tagliare le ruote del van e ha minacciato di morte Pia, una di noi, perché non volevamo riempirgli una tanica d’acqua. Nel van portiamo un serbatoio d’acqua che ogni mattina andiamo a riempire, basta per le docce e per le bottiglie da un litro, non potevamo permetterci di riempirgli un’intera tanica solo per lui. L’abbiamo subito detto al boss dell’accampamento, il capo della working crew, il quale ovviamente ci ha protetto e ha mandato via l’altro. Sanno bene che non lavoriamo a queste condizioni. Siamo rimaste. Le dinamiche di potere fra passengers e working krew sono sempre più chiare. C’è chi guadagna tantissimo e ha il controllo sulla situazione, e chi invece è solo di passaggio e deve stare alle regole per avere una chance di entrare in Europa. Noi cerchiamo di essere imparziali in questo, nei limiti del possibile. E’ assurdo, ma è l’unico modo che hanno per potercela fare e alla fine diviene quasi ovvio che si siano organizzati in questo modo vista la situazione.

24.09.2023

Nel mentre si è fatta domenica per cui ne approfitto per raccontarvi questa: ieri sera abbiamo fatto una piccola festicciola qui in casa. Ci ha raggiunto il gruppo delle ragazze di Sid, l’altra città nel nord della Serbia dove opera NNK. E’ stato tutto molto carino e rilassato finché una delle ragazze di Sid ha avuto una crisi epilettica improvvisa. Abbiamo chiamato l’ambulanza e scattava una segreteria in serbo. Abbiamo chiamato tutti i numeri di emergenza che avevamo e gli unici che ci hanno risposto ci dicevano di chiamare l’altro numero, quello dell’ambulanza, quello con la segreteria. Per fortuna siamo in contatto con un’altra organizzazione, il team medico dell’H, che ci hanno risposto subito e hanno chiamato loro un’ambulanza per noi grazie ai loro contatti. La ragazza è stata portata in ospedale e dopo poche ore è uscita senza danni. Ma insomma, morale della favola: qui non siamo in Unione Europea, se stai male e non sai parlare il serbo per loro puoi pure morire. Fortuna che noi di NNK abbiamo questi agganci e siamo un gruppo bello reattivo, ma mi ha fatto impressione. So che in alcuni paesi purtroppo funziona così, ma trovarsi qui e viverlo in prima persona fa un altro effetto, mi porta a non dare troppo per scontato.
Adesso invio, promesso.
Un abbraccione,

Benni


3. Sorrisi

Cara Anni, Michi, Giulio, Emi e tuttu,

questa settimana ha avuto vento di aria fresca, finalmente. Non è stata sempre facile perché in Italia sono successe e stanno succedendo diversi eventi importanti a cui avrei voluto tanto partecipare. Come la laurea di Michi, che mi ha tenuta attaccata alle foto sul telefono in ogni momento libero della giornata, facendomi contorcere dentro per non essere stata presente anche fisicamente in quel giorno così gioioso, o lo sciopero della fame di Emi e del gruppo bolognese, che ormai è diventato famoso anche in questa casetta. Avete tutto il nostro incoraggiamento.
Vi voglio tanto bene e vi ringrazio di cuore per il supporto che mi mandate da lontano. Grazie anche per aver contribuito al crowdfunding: abbiamo ricominciato ad andare a tutti gli squat e abbiamo abbastanza soldi per concludere il mese serenamente, cominciare ottobre senza debiti e forse aggiungere pure un kit di primo soccorso fra le cose distribuite. Grazie ancora!

ps. il cosiddetto “muro dei donatori” del crowdfunding è pieno di pensieri in italiano da parte vostra che ho tradotto al resto del team: ci avete fatto un gran bene!

26.09.2023

Oggi al camp c’erano davvero tante famiglie con figli e figlie anche alquanto piccole. Ho giocato con loro riproponendo i fischi e i giochi di mano. C’era una famiglia di 10 persone, due bambini, di 12 e 10 anni, e due bambine di 3 e 4 anni. Erano proprio belle, con degli occhi super luminosi, soprattutto i fratelli più grandi, e mi facevano dei sorrisi giganteschi e gioiosi. Mi ha riempito il cuore vedere così tanta bellezza in quel campo, così pieno di polvere, speranza e povertà.
Un’altra famiglia, un po’ meno numerosa, era seduta accanto a due sorelle. Una delle sorelle parlava un pochino di inglese. Con l’aiuto di google translate mi ha detto che l’altra era malata e che aveva bisogno di un “siero”. Mi ha mostrato i piedi: era diabete. Abbiamo chiamato il team medico di H ma la sera non riescono a venire, quindi domani sera, dopo la distribuzione alla Factory, andiamo noi a casa del team medico, ci insegnano a trattare le ferite e poi torniamo al camp con tutto l’occorrente. Per tenerci in contatto con le sorelle usiamo il telefono di un loro amico perché loro non ne hanno uno. Spero davvero di poterle portare un po’ di sollievo.

27.09.2023

Oggi io, Sara e Philou siamo state alla Factory. C’erano una quarantina di persone fra cui almeno 15 minorenni. Ho giocato un po’ con loro mentre gli altri facevano la doccia e si rifocillavano con pane, uova e mele. Una bambina aveva una macchinina senza una ruota ma è bastata per tenerci un po’ occupate. Abbiamo pure raccolto qualche fiore impolverato dal bordo della strada per adornarle i capelli, è stato carino.  Due ragazzi, uno di 15 e l’altro di 16 anni, due amici, viaggiavano da soli. Avrebbero cercato di varcare il confine oggi stesso, inshallah. Un’immagine bellissima che ho ancora negli occhi è l’espressione di un ragazzino a cui abbiamo dato un paio di scarpe da ginnastica nuove. Prima era scalzo e i medici dell’H gli avevano fasciato delle ferite sotto ai piedi. Si è avvicinato al van domandandoci delle scarpe 42 che fortunatamente avevamo. Che gioia! Non smetteva di ringraziarci, sorridere e guardarsi le nuove scarpe ai piedi.
E’ già la seconda volta che vado lì e alcune persone cominciano a riconoscermi. Visto che eravamo solo in 3 di NNK abbiamo rotto la regola dei buddies (per cui si sta sempre in coppia, mai da sole), e io ho fatto il turno di lookout da sola. E’ stato estremamente piacevole e sereno perché mi ha accompagnato H., un ragazzo siriano che ormai vive in Serbia da un anno e ha iniziato a fare il taxista per i PoMs arricchendosi a dismisura. E’ stato tutto il tempo con me e con un amico marocchino che ci ha raggiunto e mi ha chiesto di mettere qualche canzone italiana. Così, col sottofondo di Mannarino, siamo rimasti lì a terra a chiacchierare serenamente, fra arabo (le due o tre parole che sto riaffiorando alla memoria) e inglese, guardando all’orizzonte in caso di macchine della polizia. H. è uno dei boss delle working crew, ora fa il taxista e quando lo ferma la polizia gli basta allungare una mazzetta e lo lasciano andare. E’ estremamente gentile con gli altri, sembra proprio una persona buona. Eppure si arricchisce con i passengers, che però senza di queste persone finirebbero in mano alla polizia. Situazione particolarmente contraddittoria, ancora una volta. Ormai sembra tutto così. H. mi ha detto di essere un ingegnere informatico e di avere parenti in Germania, tutti che lavorano e hanno titoli di studio particolarmente prestigiosi, a quanto dice. Proverò a parlarci un po’ di più anche le prossime volte, chissà che non gli venga qualche nuova ispirazione.
Verso sera, dopo un’altra ora di guida del van (ormai non mi ferma più nessuno, posso guidare macchine e furgoncini come bere un bicchier di.. dài, birra), siamo passate dal camp a medicare una delle due sorelle. Ovviamente si sono avvicinate subito altre persone a mostrarci vesciche ai piedi e ferite alquanto brutte e infette sulle gambe. Abbiamo fatto le foto, domani faremo lo stesso gioco: chiediamo al team dell’H come medicare le persone, prendiamo l’occorrente e dopo la solita distribuzione ripasseremo dal camp.
Al camp c’erano anche 5 o 6 bambini, quelli della scorsa settimana. Samila, che poi in realtà si chiama Salam, errore mio, Mohamed, Rutha (o qualcosa del genere) e altre tre più piccoline mi hanno riconosciuta e mi sono subito venute incontro tutte gioiose. Non ho resistito: ho iniziato a giocare con loro mentre di tanto in tanto controllavo il telefono per comunicare con le altre e cercavo di gestire la situazione sempre più caotica. C’era un tronco di albero tagliato storto, largo quanto mezzo piede di bambina e alto quanto tre. Loro salivano su aggrappandosi a me e quando erano pronte mollavano la presa e insieme contavamo i secondi di equilibrio. E’ stato particolarmente efficace per insegnare loro i numeri in inglese.
Ora ho appena finito di cuocere le 60 uova sode per domani (mi è andata bene, ieri erano 300) e mi godo un po’ di silenzio e le fusa di Steeky, il nostro gattino, che mi si è appollaiato sulla pancia mentre aspetto che tornino le altre dal giretto in centro. Io mi sono immolata felicemente per stare a casa e preparare le cose per domani, perché vivere, lavorare e uscire sempre con le stesse sette persone non mi è sempre facile, ma vedo che sto riuscendo a trovare qualche momento prezioso di solitudine ogni tanto, il ché mi fa un gran bene.

29.09.2023

Oggi dopo la distribuzione alla farm siamo passate dal camp per medicare la gamba del signore siriano che aveva delle brutte ferite molto infette tanto da farlo febbricitare e impedirgli di camminare bene. Eravamo pronte con il materiale e il piano era questo: andiamo, individuiamo l’uomo, lo accompagniamo in un posto un po’ più distante, nella boscaglia, così che Sara lo possa curare senza che altre venti persone si avvicinino e ci chiedano di curare altre loro ferite (non siamo medici, stiamo discutendo sul da fare ma probabilmente inizieremo a distribuire kit di primo soccorso con disinfettanti e cerotti). Nel mentre Philou avrebbe fatto lookout in cima alla strada per avvisare in caso di polizia e io avrei individuato le famiglie con i bambini con la scabbia (ovvero tutti quelli che avevo conosciuto e con cui avevo giocato) per dare loro la crema e lo sciroppo che ci aveva passato l’H. Dovevamo fare veloce perché era sera e quando fa buio il camp non è più un posto abbastanza sicuro.
Eppure, una volta arrivate non troviamo nessuno delle persone che c’erano il giorno prima. C’erano 3 famiglie con tanti bambini e bambine che giocavano a nascondino ma non erano Mohamed, Salam e le altre che conoscevo. Di loro neanche una traccia: hanno provato il game. Mi ha fatto impressione.. chissà come stanno, chissà come è stato per loro, e dove sono ora? Inshallah, non so cos’altro fare. Neanche il siriano con la gamba infetta c’era. Philou dice che forse ha trovato il modo di passare ed è partito, gamba infetta che sia.
Alla fine abbiamo temporeggiato là, parlando con le nuove famiglie. Io ero un po’ sconvolta per cui mi sono aggrappata nuovamente ai bambini e ho iniziato a sorridergli e parlare con loro, per distrarmi. Tempo dieci minuti che arriva la working crew: ragazzi giovani e super sfacciati, a farci battuttine, sorrisetti furbi, abbracci, foto.. ci stavano piano piano circondando per cui decidiamo di andarcene velocemente, salutiamo tutti e mettiamo in moto un piano b per dare comunque del cibo e dei vestiti a quelle famiglie senza che i regaz ci vedessero e iniziassero a chiederci cose. Abbiamo portato tutto un po’ più distante dal camp, lungo la strada, Sara a guardia delle borse. Io e Philou siamo tornate veloci al camp, il più possibile in incognito, abbiamo chiesto a un genitore di ogni famiglia di venire con noi così che, una volta raggiunta Sara, potevano scegliere scarpe e vestiti per le figlie e prendere un sacchetto di pane e mele. Ha funzionato ma non possiamo continuare così, sicuro la working crew prima o poi lo viene a sapere e non ci dà pace. Avremo un meeting lunedì prossimo per parlarne e prendere una decisione.
Stasera invece sono stata con Pia all’ “interrasso”, ovvero il meeting con le associazioni che operano in questa zona: noi, H e CA. Ci scambiamo informazioni e prendiamo delle decisioni perché spesso lavoriamo insieme sul campo. E’ stato molto interessante e devo dire che mi piace sempre di più NNK per il suo essere orizzontale e di filosofia filo-anarchica. Un punto discusso è stata una questione di genere sulla relazione fra PoMs e attiviste. Non sto a spiegare tutto perché è quasi l’una di notte ma le discussioni che abbiamo avuto anche dopo, fra membri di NNK, mi sono piaciute molto, estremamente stimolanti e per nulla scontate. Ci rifletterò su prossimamente. Sto lavorando non stop dalle 7:30 di stamattina. Big need to sleep.

ps. Steeky è appollaiato in cima alla pila di uova per domani e sta russando alla grande: un’immagine adorabile

29.09.2023

Giornata super stanca, ho commesso due errori: ho dato un sacco di pane a una working crew quando sarebbe dovuto andare ad una famiglia (fortunatamente non abbiamo trovato famiglie subito dopo, mi è andata bene), e stasera ho cotto 420 uova sode invece che 300. Ne avremo anche per la distro di lunedì. Però devo dormire di più.
Oggi il van si è rotto, ha cominciato a fumare a Vitaminka e ce la siamo vista brutta perché scendeva la sera ed eravamo bloccate in uno squat in mezzo al nulla. Appena fa buio diventa tutto più pericoloso per noi: la gente si prepara a partire per il game, l’atmosfera cambia completamente, non sappiamo bene cosa succeda in certi posti. Insomma i PoMs ci hanno circondate dicendo di essere tutti meccanici.. fortunatamente dopo un po’ il van è ripartito e siamo tornate a casa ma fa ancora fumo e ora non riparte più. Domani faremo la distro con la macchina sperando che il meccanico possa risolvere il prima possibile.
Stamani c’è stata anche una scena strana: arrivate a Vitaminka 2, l’unica persona che abbiamo visto era un uomo con un vestito nero lungo in mezzo a dei campi, era un PoM. Lo abbiamo raggiunto per chiedergli se avesse bisogno di medici, cibo o acqua. Era super teso e aveva in mano un coltello da cucina. Ci dice sì per l’acqua e inizia a venire con noi. Da dietro arriva un suv nero, lui corre via velocissimo, la macchina passa oltre, lui torna da noi e ricomincia a camminare. Gli chiediamo di mettere via il coltello e lui lo mette in tasca dicendo che era solo per i polli. Riempie la bottiglia e se ne va.
Con affetto,

Benni


4. Evoluzioni

Cara Anni, Voj, Diè, Pietro, Michi e tuttu,

questa settimana ho scritto un po’ meno forse, passo tanto tempo con il team che mi piace un sacco e con cui sto legando molto bene. La vita nella casetta NNK è alquanto serena nonostante siamo in 8 con un bagno e una micro cucina. Anche il volontario più sulle nuvole sta iniziando a capire come dare una mano, nonostante continui a fare qualche passo falso di tanto in tanto, che però ci regala grandi risate una volta superato il problema.
Il vicinato è davvero gentile, ieri ci hanno portato 4 sacchi di vestiti per i PoM e i genitori dei bambini che avevano fatto la bravata di sbombolettare sul muro della casa e dentro al magazzino sono venuti a ridipingere tutto e a sistemarci il tetto rotto, per scusarsi. Un bambino ogni tanto viene a fare ripetizioni di tedesco con Manu, un volontario austriaco che questa settimana è stato spesso a casa (è lui quello sulle nuvole).
Ci sono diversi miglioramenti in corso. Stiamo curando le relazioni con il gruppo del team medico dell’H e sta funzionando. Io e Tim ci stiamo informando per trovare una soluzione più sostenibile rispetto alle uova sode da allevamento intensivo. Serve qualcosa con proteine, che piaccia alle persone e possibilmente comprato già cotto perché altrimenti saremmo illegali. Questa settimana proveremo con l’hummus, saremo sempre illegali ma per ora è la cosa migliore che abbiamo trovato. Altra super notizia: abbiamo la chitarra e martedì mi arriva il flauto: musica in arrivo negli squat! Poi ieri ho comprato una pila di quadernini e pennarelli da distribuire ai bambini e alle bambine e nel magazzino abbiamo recuperato una palla da basket. Già ieri alla Factory c’è stato un cerchio molto divertente, con due persone in mezzo che dovevano prendere la palla e gli altri che se la passavano fra di loro. Il suolo era coperto di grano, un ragazzino è caduto e si è sbucciato il ginocchio ma una ferita da gioco è un piacere in confronto a una ferita da migrazione.
Ho portato anche un po’ di cultura rigenerativa nel team: ora facciamo check-in emotivi prima delle distribuzioni e dei meeting, e debriefing al rientro a casa. Sembra funzionare, ci stiamo conoscendo sempre meglio e stiamo legando tanto. Martedì scorso tutto il gruppo ha partecipato al care meeting con la psicologa online, non succedeva da mesi. Ci è piaciuto ed è stato utile, la psicologa è davvero brava.
Di tante storie che ho incontrato ve ne ho raccontate alcune, quelle che più mi hanno tenuta sveglia la notte, ma ce ne sarebbero davvero un’infinità. Vi abbraccio forte, soprattutto Emi, Pietro, Nina, Isa, Giulia, Pasqui e tutte le altre ribelli bolognesi immerse nell’impresa dello sciopero della fame. Chissà che un’assemblea cittadina emiliano-romagnola non possa decidere politiche più inclusive in futuro, per dare una speranza a una Boushra, un Mohamed o a qualche altra anima viaggiante che passa da qui. Grazie amiche!

2.10.2023

Oggi siamo state al Ranch e Restaurant (un vecchio ristorante che cade a pezzi e che ormai è occupato dalle working crew, dove stanno diverse famiglie). Ho conosciuto Boushra, una giovane mamma siriana con una figlia di 3 anni e un’altra madre con una figlia di 5 anni. Abbiamo dato loro assorbenti e vestiti per le bambine. Boushra era molto pulita e sembrava alquanto istruita, sapeva l’inglese. Mi ha raccontato che lei e la figlia hanno già provato il game per ben 7 volte, quella sera sarebbe stata l’ottava. Viaggiavano con la madre di Boushra che aveva una gamba rotta e non camminava bene ma per fortuna almeno lei è riuscita ad entrare e ora cerca di andare in Germania, in attesa del resto della famiglia. Boushra mi ha chiesto pure della carta e dei pennarelli per la bambina, per farla disegnare un po’. Non ce li avevamo.. sarà una richiesta che proverò a portare al gruppo, di riservare una piccola parte del budget a materiale ricreativo per le bambine e i bambini che incontriamo. Fortunatamente domani è pure il mio compleanno, il ché significa richieste di regali dalla famiglia, il ché significherà un piccolo finanziamento per queste spese. Non vedo l’ora.
Al Ranch ho avuto il mio primo piccolo crollo emotivo. Ho fatto lookout con Adam, un nuovo volontario inglese abbastanza digiuno di questo ambiente, è stata una bella opportunità per condividere qualche idea e riflessione sulla situazione. Quando ci hanno dato il cambio la distribuzione del cibo era già finita, quindi sono stata per circa due ore a chiacchierare con le persone. Il Ranch è un posto pazzesco, super controllato dalle working crew ma ci sono anche tanti passengers che ho conosciuto. Tutti siriani eccetto un piccolissimo gruppetto di marocchini. Ho parlato per un bel po’ con un ragazzo di 23 anni che vuole andare in Olanda. Era partito dalla Siria con un amico un po’ più piccolo di lui. Hanno attraversato la Turchia e poi la Bulgaria dove sono stati in prigione per un mese. Dicevano “prison Bulgaria no good”. Il cibo era pessimo, le condizioni di vita pure. Fortunatamente dopo un mese sono usciti e hanno continuato il viaggio fino ad arriare in Serbia. La sera stessa avrebbero provato il game. C’era pure un ragazzino di 12 anni che mi stava vicino e guardava il cellulare. L’ho approcciato con google translate perché l’inglese non lo sapeva, gli ho chiesto che musica ascoltava e abbiamo scambiato due parole così. Stavo parlando con lui quando qualcuno della working crew è arrivato, ha detto qualcosa e tutti hanno iniziato ad andare verso il campo lì vicino. Obbedivano agli ordini, erano spaventati tanto da dimenticarsi di salutarmi. Gli ho detto “ciao”, si sono voltati, un sorriso, “ciao ciao” e via verso il punto di raccolta dove avrebbero dato i soldi alla working crew e avrebbero ricevuto istruzioni per il game. Non ero pronta a lasciarli così, è stato uno strappo così immediato e pieno di tensione.. mi sono avvicinata al van e ho iniziato a distribuire acqua a quei pochi che erano rimasti e che mi porgevano le bottiglie di plastica vuote, dando il cambio a Pia. Adam mi ha seguita. Tempo pochi minuti che non ho retto, avevo le lacrime agli occhi, avevo bisogno di elaborare. Un attimo prima chiacchiere amichevoli alla pari e un attimo dopo la tua vita dipende totalmente da un gruppo mafioso e da un’azione illegale mentre la mia no, continua serena e privilegiata grazie a un passaporto europeo, un libretto di carta.
Ho usato la frase in codice “Maria is calling”, che serve per comunicare un disagio sul campo. Adam ha preso il mio posto e io sono entrata nel van con Pia, per decomprimere la pressione con un minimo di privacy. Per fortuna il team è di supporto. La sera birrette e chiacchiere spensierate in giardino, sono stata meglio.

3.10.2023

Oggi altra giornatina tosta ma anche super interessante. Al camp ho conosciuto una famiglia bellissima: due sorelle di 19 e 21 anni, accompagnate dal fratello 22enne. Vengono dall’Afghanistan dove una era insegnante, l’altra dottoressa. Mi hanno mostrato le foto della ragazza in ospedale, con il camice da dottoressa, le colleghe.. erano diversissime da come le ho viste io. Ora sembravano 10 anni più vecchie, con la pelle estremamente rovinata dal sole. Erano disperate: una di loro aveva una brutta ferita a un piede e un’unghia malamente spezzata e bendata alla meno peggio. Me l’ha voluta mostrare nonostante le avessi detto che non importava, le tremavano le mani. Piangevano entrambe, è scesa qualche lacrima anche a me. Se ne sono accorte e hanno apprezzato la vicinanza emotiva. Sono stata seduta accanto a loro per un bel po’, ho provato a incoraggiarle a tenere duro. Le abbiamo dato delle scarpe nuove, dei vestiti, assorbenti e delle garze pulite per il piede. Poi ho conosciuto pure il fratello, M., che indossava delle scarpe troppo piccole a mo’ di ciabatte, con il retro piegato. Abbiamo dato delle scarpe anche a lui. M. parlava inglese. Mi ha raccontato che la madre è stata un’attivista per i diritti delle donne in Afghanistan. Ha ricevuto pure un premio dalle Nazioni Unite per aver fondato il progetto IDP Shura, ora parte dell’UN HABITAT. Mi ha mostrato le foto della premiazione, e poi quelle della famiglia intera in una camera della loro casa in Afghanistan. Che belle che erano, così felici e sorridenti. Assurda la differenza da come li ho visti in quel camp, quasi irriconoscibili. La madre ora è prigioniera in casa per via della repressione dei talebani. Le sorelle mi hanno detto che sono scappate perché in Afghanistan sarebbero state costrette a sposare un uomo qualsiasi, su volere dei talebani, armati fino ai denti, e a condividere lo stesso marito con altre 4 donne. Da quando sono partite il fratello è stato picchiato dalla polizia diverse volte. Non hanno più i cellulari, sequestrati anch’essi dalla polizia. Fortunatamente viaggiano con un cugino che ha ancora con sè il proprio telefono. Hanno provato il game qualche giorno fa ma hanno perso tutto: hanno pagato 1700 euro a testa, i genitori hanno dovuto vendere la loro casa in Afghanistan per mandargli tutti questi soldi. Hanno pagato un trafficante ma la polizia è arrivata in quel momento e l’uomo è scappato via con il denaro. Per cui ora non hanno più nulla, non so come faranno ad andare via di qui. Mentre mi raccontava queste cose M. guardava in basso. Mi ha detto che vede il futuro tutto nero, che non molla per via delle sorelle ma che per lui il futuro è nero. Ho provato a fargli forza, gli ho detto che se adesso è tutto nero non è detto che lo sarà per sempre, che sono una bellissima famiglia e che loro portano dentro il coraggio della loro madre. Ha accennato un sorriso, si è scusato, si è alzato e si è allontanato un po’. Penso che avesse bisogno di piangere e che non voleva farlo di fronte a me. Ho provato a rallegrare le sorelle mettendo qualche canzone dal cellulare. Non penso che abbia funzionato ma hanno apprezzato lo sforzo. La prossima volontaria che ci raggiunge martedì è italiana e mi porterà il flauto. Abbiamo trovato una chitarra, Tim sa suonarla: proveremo a fare un po’ di musica negli squat, almeno quelli più tranquilli, con meno working crew e più famiglie, non vedo l’ora.
Al mio rientro gli altri ragazzi del team mi hanno fatto una bellissima sorpresa: avevano cucinato due super torte al cioccolato per festeggiare il mio compleanno. Mi sentivo esausta dalla giornata, volevo solo piangere e dormire ma mi sono fatta forza e ho spento le candeline esprimendo il desiderio più ovvio che potessi pensare in quel momento. E’ stata una splendida serata: birrette, chiacchiere e giochi divertenti che mi/ci hanno rallegrato e fatto staccare un po’ la testa.
Adam domani se ne va per un errore del team di NNK per cui avrebbe dovuto andare in Bosnia e non venire qui in Serbia. Una notizia difficile da digerire, un’altra. Però è arrivata una ragazza italiana super in gamba, Ginevra.

4.10.2023

Oggi avrei dovuto fare la mia prima intervista, il primo report per denunciare la violenza della polizia. M. aveva accettato, sembrava deciso a farla. Era un eventone, dopo mesi in cui qui a Subotica non si riusciva a vedere un accenno di intervista. Tutto il gruppo era in subbuglio, difficile contenere la gioia e restare con i piedi per terra, ci aiutavamo a vicenda. Ho passato la mattinata a cercare info sulla madre. Solo che il cugino non risponde alle mie chiamate e ai miei messaggi. Restiamo in attesa. Stamani alle 6 ero sveglia, no way di riaddormentarmi. Ho chiesto una chiamata con la nostra peer supporter per capire come gestire tutti questi incontri che faccio e queste storie che ascolto senza intaccare troppo la mia salute mentale perché così non è sostenibile. E’ tutto così assurdo.

6.10.2023

Oggi tornando dalla distribuzione alla Farm abbiamo visto diversi gruppi di persone partire per il game, fra cui diverse famiglie. Si muovono al buio, al calar del sole. Gestiti dalle working crew che comunicano fra di loro, si fanno lookout per la polizia, aspettano il momento giusto dietro a una collinetta, vicino all’autostrada. Mi ha ricordato le azioni di Extinction Rebellion, percepivo una tensione e un’adrenalina simili. La percezione che stai facendo una cosa giusta ma illegale, per cui ti guardi le spalle dalla polizia. Solo che qui se ti scoprono ti possono picchiare,  rompere il cellulare, rubarti tutti i soldi. Se ti va male ti sparano. E non c’è alcun wellbeing, alcuna copertura mediatica, alcun supporto legale. Sei solo in mano a un gruppo mafioso, ti giochi quasi 2000 euro. Se hai il passaporto e vuoi un timbro di ingresso costa sui 5000-7000 euro.
Ho passato la fase depressiva alquanto velocemente, ora ho una rabbia immensa dentro. Con Ginevra ci siamo ripromesse di fare qualche ricerca per capire meglio il giro della corruzione e puntare il dito sui veri responsabili di tutto questo. A chi arrivano i soldi? Quali sono le relazioni fra working crew e polizia di frontiera, e fra polizia e governi? Che ruolo ha l’Unione Europea? Chi decide quante persone lasciar passare e quante respingere? E le persone locali, qui in Serbia, cosa ne pensano? Vedremo cosa ne esce.
Buona domenica, io me la godrò il più possibile, devo dire che l’ho aspettata a braccia aperte questa settimana.
Vi abbraccio forte, vi voglio bene,

Benni


5. Prigioni dorate

Cara Anni, Giulio, Mati, Nina, Dié, Pietro e tuttu,

ho avuto una settimana super piena, ho lavorato tantissimo, dormito poco e continuano a venirci in mente cose da fare, miglioramenti, ricerche, inchieste, contatti. Il tempo non è mai abbastanza, come sempre nell’attivismo. Nonostante tutte le difficoltà sono felice qui, ormai è passato un mese e già mi sento a casa, dove devo stare. Il gruppo di nnk è in continuo mutamento, le attività che facciamo pure, è tutto estremamente stimolante. Ecco alcuni racconti di questa settimana, buona lettura!

9.10.2023

Ranch: tantissime persone, più di 250. Il cibo che avevamo portato non è bastato, alcuni hanno avuto solo mele perché il pane e le uova erano finite. Tanti bambini non accompagnati, molti fra i 10 e i 16 anni. Uno aveva una sola scarpa ai piedi, era fra i più furbi, parlava inglese e traduceva agli altri per noi. L’altra scarpa l’aveva persa nella jungle. Gli abbiamo dato un paio di scarpe nuove e dei calzini. E’ stata una scena molto tenera perché nonostante si atteggiasse ad adulto non sapeva legarsi le stringhe delle scarpe, per cui Sara l’ha aiutato mostrandogli come fare. Altri ragazzini si atteggiavano ad adulti ma poi mi giravano intorno e mi seguivano con nonchalance come se.. non lo so, la mia sensazione è stata che avessero bisogno di una sorella maggiore che si prendesse cura di loro. L’ho fatta, per quanto ho potuto. Tra l’altro un ragazzino mi ricordava tantissimo mio fratello Giulio quando era più piccolo, lo stesso bellissimo sorriso. Tempo 15 minuti e sono arrivati tutti senza una scarpa a chiederci scarpe nuove, avevano afferrato subito, è stato buffo, abbiamo riso insieme. Dopo un po’ li ho radunati tutti (tutti maschi, le bambine stavano dentro l’edificio insieme alle donne), ci siamo messi in un angolino e ho tirato fuori quaderni e pennelli colorati. Abbiamo scritto i nostri nomi, prima sulla carta poi siamo passati alle braccia, non so perché. Molti ragazzi, anche più grandi, si sono avvicinati, alcuni volevano scrivere il loro nome, altri solo guardare cosa stava succedendo. Uno ha disegnato un pallone da calcio. Tutti i bambini e alcuni adulti erano pieni di graffi in faccia e sulle mani. Tantissimi graffietti rossi, molto marcati. Ho usato questo “gioco” per chiedergli come se li fossero fatti. Ho disegnato un bosco, mi hanno detto che hanno dormito nella jungle e si sono graffiati con i rovi, in una foresta fra la Bulgaria e la Serbia, penso abbiano preso vie molto secondarie per restare nascosti dalla polizia.
Un ragazzo era ingegnere in Siria, aveva 10 figlie e due mogli. I genitori avevano perso la casa in Turchia durante il terremoto, mi ha mostrato il video delle macerie della loro casa. Vuole andare in Germania, dove ha qualche amico, per mandare soldi ai genitori e farsi raggiungere dal resto della famiglia, inshallah.
Sono entrata anche dentro l’edificio insieme a Ginevra, per dare cibo, assorbenti e altre cose da bagno alle donne e alle bambine.
Verso le 17 uno dei boss ci dice di andarcene. Poco dopo arriva un taxi di lusso, dentro una donna bionda, serba. L’avevamo già vista un’altra volta, parlava con il boss, dovevano conoscersi bene. Dev’essere la boss dei boss. Chissà se è perché possiede quella struttura o perché è lei che paga la polizia di frontiera. Vogliamo indagare, ma con prudenza. Magari la prossima settimana parlo di più con uno dei boss, quello che conosco meglio.
E’ appena arrivata Alice, la nuova coordinatrice del nord della Serbia, una ragazza super in gamba che avevo incontrato in un campeggio di Arte Migrante a Trento. Io e Gine siamo andate a prenderla alla stazione, uscire con la macchina di sera mi ha fatto sentire molto bene, un po’ di respiro dal gruppo che ogni tanto è un po’ pesantino, soprattutto ora che Pia, la ragazza più simpatica, è partita. Abbiamo fatto due chiacchiere con Alice, è lei che ha aperto il progetto a Sid insieme ad altre 3 persone. Sarà una settimana molto interessante.

10.10.2023

Oggi al camp situation super caotica nella distribuzione del cibo: abbiamo tirato fuori dal van le casse di mele, uova e pane e la gente ha iniziato ad accalcarsi sul cibo. Ho visto Gine e Manu, i due incaricati nella distribuzione, sparire sotto la calca, le mani arraffavano, la gente si spingeva, si facevano male. Stessa situazione di ieri al Ranch. Ho chiuso velocemente il van e sono corsa in loro soccorso cercando di gestire la situazione. “There is food for everyone, don’t worry, please make a line”. Abbiamo provato un’altra postazione ma niente, si riformava la calca. Non riuscivano ad aspettare dalla fame che avevano. Ho provato ad essere ferma, mantenere la calma e mostrargli che era nel loro interesse formare quella fila. Volevo restituirgli dignità e assicurargli al tempo stesso che avrebbero ricevuto il cibo, tutti. Ma nulla, a un certo punto avevo tutte le persone addosso, si stava facendo pericolosa. Abbiamo riportato il cibo dentro il van, è stato l’unico modo per convincerli a fare una fila. Un ragazzo della working crew ci ha aiutato molto, non so se ce l’avremmo fatta senza di lui. La distribuzione si è conclusa bene ma c’erano troppe persone, molte più del solito, per cui gli ultimi hanno ricevuto solo un uovo e una mela. E’ stato impattante, dopo non avevo più voce né energie. Mi sono offerta per il lookout e sono andata a comprare delle medicine a un ragazzo, il tempo necessario per decomprimere. Al mio ritorno la situazione era molto più calma, ho giocato a palla con due bambine, gioco che poi si è trasformato magicamente nel “immedesimati nella palla”: se lei gira fallo anche tu. L’ho trovato particolarmente fantasioso, ci siamo ritrovate a volteggiare, saltellare e piroettare sulla strada impolverata, giusto accanto a dei ragazzi della working crew che si erano avvicinati tentando invano di attirare l’attenzione mia e di Sara, che era con me.
Stasera abbiamo fatto un meeting fra le volontarie di NNK, rispetto ai boundaries che vogliamo darci in temini di relazioni con i PoM uomini. Eravamo stanchissime ma è stato comunque super interessante: abbiamo ragionato sui limiti personali, su come accoglierli come gruppo, sui limiti di gruppo, sul contatto fisico da parte nostra e da parte dei PoM, sulle relazioni umane che costruiamo e che implicano dinamiche di genere. Culture diverse, questioni di rispetto, di provenienza, di disagio, di genere.

11.10.2023

Oggi Watch Tower, siamo tornate dopo un mese dalla sparatoria nella Lidl fatta da due working crew nemiche di Watch Tower, per cui avevamo mollato il posto. Arrivo un po’ teso, ci rendiamo conto che la connessione internet va e viene, lì in mezzo alla jungle. Però i ragazzi ci avevano già visto e ci stavano correndo incontro per salutarci quindi arrangiamo un veloce check fra di noi e decidiamo di restare. Montiamo le docce, tiriamo fuori il chai (il té) e la charging box per caricare i telefoni. Erano una decina di ragazzi a cui poi se ne sono aggiunti altri durante il pomeriggio. Una volta montate le tende e sistemato tutto, prendo il pallone, inizio a giocare a calcio con un ragazzo e la cosa si fa alquanto divertente tanto che alla fine eravamo sudati mezzi tutti e due. Questo forse ha aiutato perché poco dopo ci ritroviamo accanto alle docce, appoggiati al van, un po’ lontani dagli altri che erano seduti a bere chai e giocare a carte. Mi ha raccontato diverse cose della sua vita e ho capito un po’ meglio cosa significa far parte di una working crew. Si chiama B., era uscito di prigione da appena 3 giorni, c’era stato tre mesi dentro, in una città che si chiama Kikinda. Guadagna 100.000 euro al mese, il suo ruolo è mettere la scala sulla rete del confine (tra l’altro da Watch Tower si vede benissimo, è proprio lì dietro. C’è una strada che costeggia la rete col filo spinato e fa impressione. Ci siamo passate con il van, avevo il sangue congelato, siamo state in silenzio per tutto il tempo, un silenzio di lutto direi). Insomma B. mette la scala, passa dall’altra parte, mette un’altra scala e torna indietro, così che poi le persone che hanno pagato possano attraversare. E’ il ruolo più pericoloso e pure quello più pagato. Suo fratello maggiore vive in Francia ma torna spesso a trovarlo perché fa fatica a vivere là; i genitori sono in Afghanistan con gli atri due fratelli e tre sorelle minori. B. manda a casa i soldi così che la sua famiglia possa vivere serenamente e pagare gli studi dei membri più piccoli. Lui ha studiato elettronica, o insomma qualcosa con i computer da quanto ho capito. “Perché non raggiungi tuo fratello? magari ti concedono l’asilo politico, ti legalizzi, trovi un lavoro lì e sei libero di fare la vita che vuoi..” Ma neanche il fratello si è stabilizzato bene, la procedura per l’asilo è lunga e non sempre a buon fine. E il lavoro, è quasi impossibile che gli riconoscano i suoi studi. Troppe incognite, troppo pericoloso, troppe storie già sentite di persone abbandonate, la paura della povertà. Ma non solo. “Non posso andarmene senza i miei amici”, mi fa, riferendosi agli altri regaz della working crew, “dove sono loro sono anche io”. Vivere la stessa jungle, la stessa criminalità, la stessa lontananza da casa e tutte le altre mille difficoltà crea un legame pazzesco. Probabilmente anche un po’ tossico. Quella jungle per B. è una prigione dorata: pieno di soldi e al tempo stesso intrappolato, dichiarato illegale. Era molto triste mentre mi raccontava queste cose. Più tardi ci raggiunge Ginevra, un’altra volontaria arrivata da poco ma super in gamba, con cui mi trovo benissimo. Continuiamo a raccontarci e a un certo punto B. mi allunga una banconota da 50 euro: “prendila, non ti vede nessuno”. Ovviamente rifiuto e gli chiedo spiegazioni. “Non me ne faccio niente, non sono nulla questi per me”. Ci credo, non può lasciare la jungle perché la sua presenza qui è illegale, si fanno arrivare cibo e vestiti con i taxi o con amici che fanno loro da corriere. Tutti quei soldi, tutta quella tristezza, l’abbattimento, la sensazione di essere imprigionati. Quanta sofferenza anche nelle working crew, sono grata a B. per essersi aperto con noi. Ci siamo scambiati il numero di telefono, per rimanere in contatto. Chissà che non si possa trovare qualcosa per aiutarlo o anche solo per stare un po’ con lui e fargli coraggio. Chissà che non ci possa dare accesso a un sistema su cui vertono ancora una miriade di pregiudizi e contraddizioni, per capire un po’ di più.
Nel pomeriggio sentiamo due spari in lontananza, poco dopo altri due. Ci allarmiamo per un attimo, ci guardiamo fra di noi. I ragazzi si impegnano ad assicurarci che non sono spari, sono solo bombolette scoppiate, figurati. Erano lontani, la situazione con i ragazzi lì era particolarmente distesa, ci siamo sentite abbastanza sicure da decidere di restare.
Lì vicino c’è un’altra jungle abitata dall’altro gruppo afghano, loro nemico, quello coinvolto nella sparatoria della Lidl. Se si rispettano gli spazi vicendevolmente, ci dicono, no mushkila, ovvero non ci sono problemi.
Abbiamo provato ad addentrarci nella jungle due volte durante quella giornata, per fare outreach e cercare se ci fossero famiglie da aiutare, ma ogni volta qualcuno ci fermava e ci distraeva con qualcos’altro per distoglierci dall’andare oltre il prato dove facevamo la distro. Verso sera io e Gine ci riproviamo e per un pochino nessuno ci vede, tanto da permetterci di fare qualche passo in più e scorgere delle tende nella boscaglia. Ma poi B. ci corre incontro e ci dice di non andare perché ci sono i cani della polizia.
– E le tende allora?
– I cani conoscono l’odore delle persone che vivono qui e non li attaccano
– Quindi non attaccano te, giusto?
– Giusto
– Ma allora se veniamo con te una volta ci puoi far vedere il posto?
– Si certo, una volta vi faccio vedere il posto
– Ora?
B. tentenna, borbotta un “come ve lo posso spiegare…” e poi ci dice che il boss del posto non vuole che noi ci andiamo, possiamo stare solo in quel prato. Chi è il boss allora? B. dice che anche lui è un boss ma non per quel giorno. La prossima volta può decidere lui e arrangiarci un giretto dentro la jungle. Chissà, magari è solo un modo per convincerci a tornare.
Lì abbiamo incontrato un gruppo di documentaristi italiani che vogliono girare un film sulla notte. Erano alquanto sprovveduti però, non so cosa siano riusciti ad accordare con la working crew. Gli abbiamo lasciato i nostri numeri, magari ci troviamo per una birretta a Subotica sabato sera.
Stasera invece abbiamo incontrato Blindspot, un’organizzazione tedesca che si ferma per un mesetto qui e costruisce finestre e porte agli squat dove dormono le persone, per prevenire il freddo invernale. Sono due ragazze e un ragazzo singolari ma anche simpatici, dormono nella casa dell’H.

12.10.2023

Oggi abbiamo fatto uno scouting a Majdan, una piccola cittadina a nord-est, dove si incontrano i tre confini fra Serbia, Ungheria e Romania. Un’anno fa c’era uno squat super popolato, a pochi metri dalla rete, in cui la gente si rifocillava prima di riprovare ancora una volta il game. Lì era un continuo andare, essere respinto, tornare indietro, riprovare. Il team di NNK prendeva testimonianze di pushback violenti appena commessi. Oggi invece era deserto, siamo entrate nell’edificio abbandonato, era pieno di scritte in arabo, nomi di persone, qualche disegno. Su un muro c’era scritto “welcome to hell”. Un posto vuoto ma anche estremamente vivo, potevi sentire l’energia nell’aria.

13.10.2023

Giorno a casa per me, il ché però non significa riposo ma tasks come pulire, cuocere un’infinità di uova sode (penso che una volta rientrata in Italia non ne vorrò vedere per almeno sei mesi), fare le lavatrici e accogliere la nuova volontaria. Le ho fatto l’onboarding: un’ora e mezza di spiegazioni su come funzionano le distribuzioni, la vita di casa, i protocolli di sicurezza, il magazzino.. Le altre hanno avuto una distribuzione particolarmente tesa, al rientro a casa erano visibilmente provate. Un ragazzo ha allungato troppo le mani con due di noi, una aveva un neonato in braccio, mentre stavano per andarsene alcuni si sono messi davanti al van, altri hanno cercato di entrare dentro dalle porte posteriori. Estremamente pericoloso. Per fortuna ce l’hanno fatta e se ne sono andate ma è stato brutto. Discuteremo per decidere se tornare o meno in quello squat. Stasera riunione con le altre associazioni, siamo stanchissime ma andiamo lo stesso, sarà importante.

14.10.2023

Alla Factory c’era meno gente del solito perché ieri a quanto pare c’è stato uno sgombero della polizia che è arrivata di notte e ha picchiato chi non è riuscito a scappare. H., uno dei boss, mi ha dato una versione diversa: c’è stata una lite fra un ragazzo afghano e gli altri siriani. Dice che gli afghani sono molto razzisti nei loro confronti. Il ragazzo afghano ha accoltellato un siriano così che loro sono stati costretti a chiamare la polizia che ha portato il ragazzo in ospedale. Una versione non esclude l’altra. H. era particolarmente triste.
Notizia super bella: vi ricordate di Boushra? La madre siriana con la figlia di 3 anni a cui avevamo dato dei vestiti e che ci aveva chiesto carta e colori per colorare? E’ lei che mi ha dato l’idea di comprare pennarelli e quaderni per le bambine e i bambini che incontriamo. Ecco, mi ha mandato un messaggio bellissimo con una foto di lei, la figlia e il marito in Germania! Erano super sorridenti, ce l’hanno fatta! Che gioia, mi ha dato un sacco di carica e ho visto tantissimo senso nel lavoro che facciamo qui. Tra l’altro l’ho visto di sera, ero stanchissima, no energy anymore e mi ha rivitalizzata. Saltellavo per casa, abbiamo brindato a loro con birra, rakija (una grappa tipica serba) e il succo di mela che Nada, la vicina, ci ha regalato.
Altra cosa bella: io e Tim abbiamo iniziato a suonare un po’ insieme qualche sera. Ancora non abbiamo avuto il tempo e il modo di portare gli strumenti agli squat ma ci sta, dobbiamo fare un po’ di prove prima, prossima settimana magari proviamo.

15.10.2023

Oggi è domenica, stamani Sara è partita, è tornata a Madrid dalla sua famiglia. E’ stato triste accompagnarla alla stazione dei bus, ma anche molto bello vederla partire per altre esperienze, altre avventure, chissà cosa combinerà. Ci siamo scambiate due parole prima dell’ultimo abbraccio, quanta ricchezza nel nostro incontro, per entrambe e per il gruppo, è stato proprio bello. Nel pomeriggio proveremo ad andare in un parco bellissimo qui in Serbia, pieno di monasteri e posti in cui si arrampica. Dobbiamo sfruttare il più possibile il giorno off che non sarà troppo off in realtà perché ora che ci penso dobbiamo fare un bread drop al camp prima che tutto il pane avanzato da ieri non sia troppo vecchio da distribuire.
A presto e daje tutta alle ribelli bolognesi che continuano lo sciopero della fame, grandi reghiz, grazie!
Un sorrisone,

Benni

ps. in esclusiva vi giro pure alcune foto che ho fatto, del confine, il team, i disegni, lo squat di Majdan

  1. Avatar Alessandro Pelligra
    Alessandro Pelligra

    Racconto toccante e vero: indispensabile se vogliamo comprendere da “dentro” le logiche, gli equilibri e le dinamiche del nostro tempo, non voltando le spalle al fenomeno epocale dell’ emigrazione. Da guerre, carestie, povertà, siccità, e persino ricerca di un sogno esistenziale…

  2. Avatar Lorena Rosi Bonci
    Lorena Rosi Bonci

    Grazie per quello che fate e per quello che ci comunicate. Tutti dovrebbero conoscere queste realtà! Ma come raggiungere l’ignoranza dei più che genera egoismo e razzismo? Cerchiam9 di difgondete il più possibile…

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