TRAME DI NASCITA

Moretti&Vitali (2024)

È il titolo del libro di Rosella Prezzo, pubblicato da Moretti &Vitali lo scorso anno. Il sottotitolo, Tra miti, filosofie, immagini e racconti, aiuta un po’ a trovarne il contenuto, che è molto più filosofico di quanto i racconti e le immagini non suggeriscano.
Dai miti, da lontano, comincia la riflessione, perché è implicito che i miti sono l’archetipo a cui si collega la narrazione storica. Quanto avanza del mondo antico, si tratti di favola o di avvenimenti reali, poggiati su una lunga tradizione, agisce  nella nostra memoria e sollecita la nostra sensibilità con pari forza; perciò, come l’avvenimento storico troppo remoto sfuma inevitabilmente nella leggenda, così la leggenda si intreccia con la storia, non tanto o soltanto con quella evenemenziale, ma soprattutto con la sua capacità di polarizzare nel tempo, sino a farne una radice culturale, aspirazioni e desideri di un mondo, elevandosi a simbolo privilegiato e trascendente.
Se, come nel caso del libro di Prezzo, l’oggetto della ricerca è il nascere, la nascita, inevitabile partire, per essere nella cultura d’Occidente, da Eva e dalla sua generazione. Due sono le maniere in cui Eva entra in scena: nel primo capitolo di Genesi, “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò. Maschio e femmina li creò”; poi, più avanti: “Il Signore fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo”. Una sorta di taglio cesareo porta alla luce Eva, davanti ad Adamo perché egli possa indicare se stesso nel rapporto con lei. Ma non ne scaturisce un dialogo, piuttosto un complicato gioco di inclusione/esclusione, appropriazione/espulsione. Il linguaggio che nasce finalmente dall’uomo non diventa un dialogo con Eva, ma un appannaggio suo esclusivo che definisce l’altra come secondaria a sé.
Nella tradizione ebraica qui si inserisce il mito di Lilith che compie la ribellione, non vuole sottostare e abbandona il paradiso; Lilith rappresenta il principio demoniaco femminile di cui si alimenterà la cultura medievale.
E questo agli albori dell’umanità.
Il secondo capitolo del libro racconta nascite di divinità della cultura greca e le pone a confronto con esperienze della contemporaneità: Atena nasce dalla testa di Zeus, il dio maschio che si sostituisce alla donna nella funzione generativa, attuando, secondo Nicole Loraux, il parallelismo tra corpo maschile combattente e corpo femminile partoriente. Ponos, il travaglio, che indica la resistenza ai dolori del parto si pone in relazione con ponoi, le fatiche sostenute dal guerriero e il dare alla luce diventa il modo femminile di raggiungere la grandezza maschile.
Nel mito di Erittonio, Atena assume il ruolo materno di custode della crescita di un bambino fecondato nel corpo di un’altra donna, nella forma che oggi definiamo maternità surrogata.
E Dioniso è partorito dalla coscia di Zeus, incisa a forma di utero per accogliere e completare la crescita del bambino di Semele. Orione è chiamato anche tripater perché generato dall’urina di tre dei (maschi).
Si tratta di nascite in assenza di madri e, d’altra parte, è lo stesso Apollo a decretare la funzione materna nel finale delle Eumenidi di Eschilo: “La madre non è la generatrice di colui che viene detto suo figlio, bensì la nutrice del feto appena in lei seminato. Generatore è chi getta il seme…”.
Altri esempi spostano l’attenzione sulla contemporaneità per sottolineare sempre la distanza tra ciò che serve simbolicamente alla costruzione di un venire al mondo funzionale al modello maschile e ciò che invece ha a che fare con il nascere, e la pluralità di presenza che comporta.
Si tratta, invita Prezzo, di sostituire alla ‘mortalità’, al nascere per la morte, proprio della filosofia occidentale fino a Heidegger, la natalità. Il nostro limite è certo nell’essere mortali, ma più interessante e vario e ricco diventa il pensarci come ‘natali’, come dati al mondo in un rapporto plurimo, madre-figlio e altri intorno.
“Non è abituale per i filosofi evocare la nascita”, sosteneva Paul Ricoeur in un capitolo di Filosofia della volontà del 1950. L’inizio della vita assume un valore dirompente se lo si pensa come involontario, come atto che avviene senza alcuna personale consapevolezza dell’origine. Ma la questione per lui resta ancora ferma al momento biologico, all’eredità genetica, al concetto di continuità della filiazione. Tanto che Ricoeur riconoscerà di non comprendere cosa significhi invece ‘natalità’ per Hannah Arendt, la filosofa con la quale si troverà a confrontarsi nei suoi anni di insegnamento a Chicago.
Arendt considera la nascita come questione politica a partire dal fatto che diventa, come puro dato biologico e vincolo di sangue, il motivo dell’esclusione dalla cittadinanza e dalla stessa umanità, per molti, fino alla loro eliminazione. La nascita infatti era stata durante il nazismo per gli ebrei ragione sufficiente per disporre il loro sterminio.
L’ ‘avvenire’ al mondo tra gli altri e a noi stessi, nascendo, è parte integrante dell’umana condizione e induce a un radicale ripensamento della politica, fino a renderlo la categoria centrale del pensiero politico.
La nascita non può essere considerata solo il segno del mantenimento della specie, rappresenta piuttosto la rottura della catena temporale e la potente irruzione del nuovo.
Nello stesso anno in cui Arendt pubblica Vita activa. La condizione umana, Maria Zambrano scrive Persona e democrazia; in questi scritti entrambe affrontano con sorprendente parallelismo la nascita come condizione plurale degli esseri umani, non più ‘mortali’, ma ‘natali’.

L’imprevedibilità dell’orizzonte in cui ciascuno/ciascuna può tracciare soltanto tra gli altri la sua storia, ricavandone soltanto alla fine il proprio profilo, è il prezzo che ogni esistenza deve pagare per la sua libertà. Senza l’irriducibile differenza natale e senza il carattere inaugurale l’agire si limiterebbe a ripetere, a prolungare un unico modello di “soggetto” neutralizzando ogni effettiva eterogenea pluralità, conditio sine qua dell’esistenza politica. Il totalitarismo ne è la dimostrazione a contrario, in quanto promuove un abnorme Uomo unico.

La capacità di cominciare è insita nella nascita che salda l’unicità con la pluralità, con quell’essere almeno in due e, più spesso, con altre/altri, terreno di radicamento della libertà, che non diventa esercizio di potere, di sovranità, ma assunzione di responsabilità. È una sorta di vocazione a cui si risponde con ad-sum, ci sono, eccomi, a differenza del Da-sein, l’esserciheideggeriano; è la risposta ad ‘altro’, l’assunzione di responsabilità nei confronti dell’umano, il farsene carico in prima persona.
L’ultima sezione del libro si intitola Nascere nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, facendo eco a un famoso titolo di Benjamin (a proposito di opera d’arte), e rimanda alla nascita come tempo segnato dalle biotecnologie, dall’ingegneria genetica e da svariate tecniche di riproduzione.
L’antico assioma mater semper certa pare oggi ribaltato: quell’evidenza che il parto ha sempre prodotto, oggi non è più garanzia. La gestazione per altri/e (GPA) è sempre più diffusa e crea uno iato tra procreazione e gestazione. Un figlio può nascere da una donna, attraverso ovuli di un’altra; ci possono essere più madri: quella che porta la gravidanza e partorisce, quella che ha fornito gli ovuli e quella ‘sociale’ che è riconosciuta come madre; inoltre più complicato ancora è il caso del riconoscimento del legame filiale, da parte di una coppia che sia ricorsa alla maternità surrogata all’estero, in quei paesi che non riconoscono la GPA.
Questa varietà di scelte comporta spesso questioni difficili da dirimere nel campo giuridico, tanto che l’identità materna diventa frutto di un giudizio derivato, proprio come è stato sempre per la paternità: una questione razionale e giuridica a fronte della semplice percezione sensibile della presenza a un parto.
Gli esempi continuano delineando esperienze e situazioni di particolare impatto: i bambini (bambini nati da madri surrogate, destinati a genitori intenzionali impossibilitati a raggiungerli per il diffondersi della pandemia) nella nursery dell’hotel Venezia di Kiev (l’Ucraina si è dotata dal 2004 di una legge sulla maternità surrogata), allo scoppio dell’epidemia di Covid, sono rimasti lì, allineati nelle loro culle in attesa di una soluzione. Allo scoppio della guerra poi, di nuovo bambini sono rimasti in ostaggio degli eventi alla chiusura di voli aerei e delle ambasciate. Ma l’organizzazione che presiede a queste operazioni ‘produttive’ fornisce tutte le garanzie per rassicurare i futuri genitori: le partorienti sono al sicuro (ma non hanno certo la libertà di fuggire dalla guerra), i bambini potranno essere protetti in un bunker costruito apposta, una schiera di avvocati difende i clienti e i ‘loro’ embrioni, ecc.
Ora si aggiunge a queste situazioni il progetto di costruzione dell’utero artifciale.
Rosella Prezzo porta alla nostra riflessione diverse idee delle grandi pensatrici del Novecento, soffermandosi in particolare su Adrienne Rich e il suo Nato di donna. Il sottotitolo originale del libro, scomparso nella versione italiana, era Motherhood as experience and institution, Maternità come esperienza e come istituzione.

L’istituzione (in sé “intangibile e invisibile”) della maternità è la costruzione di un universo normativo, teso ad assicurarsi che la potenzialità generativa del corpo delle donne rimanga sotto il dominio maschile anche attraverso l’istituzione della famiglia. Quella stessa istituzione ha però creato, contemporaneamente un ordine simbolico che ha fatto della maternità un modello ideale, un’idealizzazione fungente da alto esempio di altruismo, sacrificio e oblatività che le donne, se sono davvero tali, devono far proprio.

Ma al di là, o meglio al di qua, dell’istituzione maternità, nella sua duplice veste, normativa e sublimata, occorre dar voce e pensiero all’esperienza della maternità che proprio quell’istituzione mette a tacere. Perché se la maternità non definisce certo il proprio essere donna, non ne sta nemmeno fuori anche solo come sua possibilità. Che una donna scelga o non scelga di essere madre, la sua potenzialità è infatti qualcosa con cui essa si confronta inevitabilmente.

Rich demistifica la concezione idealizzata del materno per far posto a una descrizione più fedele alle esperienze, in cui spesso amore e rabbia, paura ed entusiasmo, euforia e depressione, senso di onnipotenza e senso di colpa si alternano e si affiancano.
E “bisogna pensare nell’urto del presente”, come dice Hannah Arendt, accorgendosi della trasformazione, della diversità del presente, dei cambiamenti che si sono prodotti nel tempo. La letteratura, oltre alla filosofia e alle sue necessarie immagini, aiuta a caricare di senso la riflessione. Silvia Plath e il poema Tre donne, sull’esperienza del parto e le contraddizioni che comporta, L’evento di Annie Ernaux, sulla dura prova dell’aborto in Francia negli anni sessanta, e altre ancora si affiancano alle opere di artiste che si occupano della nascita umana, come Anne Kelly che disegna una donna nella stessa posizione dell’Adamo di Michelangelo, una donna che protende il dito non al dio creatore, ma a un monitor d’ecografia che raffigura un feto sospeso nel liquido amniotico.
Le suggestioni, molteplici e tutte interessanti, non indicano soluzioni, ma affondano nella densità del problema:

… il nascere umano non è assorbibile in un ‘fare’ (fare figli) e, di conseguenza, non è surrogabile da una nuova e più efficiente catena di produzione. Né, d’altra parte, esso è un semplice patire ineluttabile. La nascita come evento è un agire trasformativo e trasfigurante, in cui si con-viene al mondo, nella originaria e comune non-autoctonia e non autosufficienza.

Inoltre la stessa ‘venuta al mondo’ di noi comuni natali non salda forse anche il concetto stesso di mondo con il dramma dell’arrivato, del nuovo venuto, dell’adveniente? Come ogni giorno ci è dato vederlo approdare al ‘nostro’ mondo.

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