Mi viene segnalato un e-book da una amica cara, che ne ha scritto la postfazione, Maria Bacchi. Maria è una storica e scrive di bambini nella storia da sempre. Qui è chiamata a ragionare su un libro che raccoglie le conversazioni con bambini e adolescenti russi, effettuate dall’avvio della guerra in Ucraina e trascritte da Julia Yakovleva, autrice di libri per l’infanzia.
Il titolo del libro, pubblicato dall’editrice Il Mulino di Bologna, all’inizio di quest’anno, nella collana Plurali sui grandi temi del presente, è Orrore, schifo, guerra. L’aggressione all’Ucraina nelle parole dei bambini russi.
“Dopo lo scoppio della guerra ho iniziato a parlare con i bambini e a trascrivere le nostre conversazioni. Niente video, né audio, solo carta e penna; niente nomi, né indirizzi delle scuole. All’inizio si trattava dei figli dei miei amici, poi dei figli di lontani conoscenti, infine di perfetti sconosciuti. In ogni caso, prima di contattarli non conoscevo personalmente nessuno dei miei giovani interlocutori, così come loro non conoscevano me”.
Nonostante le perplessità di amici e conoscenti, Yakovleva persegue il suo scopo. Cercare di capire come una guerra di cui non si sentono le bombe, che avviene lontano, che non ferisce coi frammenti delle granate, possa riguardare i bambini. Eppure sono bambini di questo tempo di guerra e la lunga esperienza di lavoro sui diari, le lettere, le memorie per scrivere le Fiabe di Leningrado la prepara ad una riflessione che non si accontenta delle ovvietà.
Subito avverte che, da quando è iniziata la guerra, non è più possibile parlare tra conoscenti, la lingua è mutata. Non per i bambini. Essi continuano a dire, a rispondere a domande elementari e neutrali che non intendono far cambiare idea, o giudicare. Hanno dai cinque ai diciassette anni e sono quaranta in tutto: i piccoli sono accompagnati dai genitori a parlare, i più grandi manifestano ira, severità, confusione ma sono consapevoli della storicità della loro esperienza e sul fatto che questo tempo sia storico sono tutti d’accordo anche i genitori ai quali viene chiesto di poter intervistare i figli.
“Questa guerra ha scosso la società russa, scindendola. Le fratture hanno spaccato famiglie, amicizie, aprendosi sotto i piedi di molti. Tuttavia, alcune cose non le ha provocate la guerra, che le ha soltanto evidenziate, dal momento che si erano sviluppate prima che scoppiasse. Tra queste c’è l’accettazione della violenza, cui ci siamo abituati. La normalizzazione della violenza, dietro alla quale la porta resta chiusa”.
Cosa è cambiato da quando è iniziata la guerra? Le bandiere, rispondono i bambini. Ci sono bandiere ovunque, striscioni e manifesti, ma poi la guerra irrompe nella vita degli adolescenti russi attraverso le finestrelle dei telefoni e lo sguardo su piccoli simboli indirizzati a chiunque voglia vedere: adesivi, graffiti, volantini, figurine, nastri sui quali si esprime la contrarietà alla guerra. Eppure ‘guerra’ è una parola illegale in Russia. “La lingua è mutata, compresa quella che le orecchie dello Stato non possono arrivare a origliare: le conversazioni tra amici, le conversazioni a tu per tu, le conversazioni in cucina, le conversazioni durante una passeggiata. Su di esse c’era una sorta di timbro chiaramente distinguibile: conversazioni del tempo di guerra”. Ma nessuno chiama la guerra contro l’Ucraina “operazione militare speciale”, come è stato proposto dallo Stato. Nonostante la martellante propaganda del governo nelle scuole, gli occhi dei bambini non possono rimuovere la violenza che si è scatenata nelle strade contro i dimostranti, contro le madri soprattutto. “Quando mio padre ha detto che avevano arrestato la mamma, mi è salita l’ansia. Temevo che sarebbero venuti a perquisirci a casa, che avrebbero trovato qualcosa di proibito e che ci avrebbero portato all’orfanotrofio”. “Mia nonna è stata portata via in un cellulare della polizia”. “Aspetta, come dici? Portata via!?”. “Sì”, e mi spiega diligentemente, come se stesse spiegando come si accende il bollitore: “Fanno così. Uno ti prende per un braccio, uno per l’altro, ti sollevano e ti portano via. Insomma, la portano via e lei reagisce così: “Ragazzi, ma come, che state facendo, quello che fate è orribile”. E questo ragazzo, dice lei, un ragazzino giovane giovane, replica: “Il mondo è impazzito”.
Dalle risposte dei ragazzini intervistati affiora l’immagine di un paese diviso tra una generazione di giovani e giovanissimi contrari alla politica putiniana e quella degli anziani, spesso sostenitori delle scelte del presidente. All’interno di questo paese diviso esprimono angoscia e ribellione, disobbedienza alle raccomandazioni dei genitori e soprattutto consapevolezza del loro arruolamento nelle scuole, vere e proprie fabbriche dell’amor di patria, a cui oppongono un categorico rifiuto.
Il libro di Julia Yakovleva è un esempio, aiuta a riflettere e impone di allargare lo sguardo, non solo dall’‘altra parte’, ad ascoltare come la pensano e la vivono i bambini ucraini, ma a sostare su una geografia delle guerre che non è fatta di punti sulla carta del mondo, ma di persone, bambini, che vedono trasformarsi la vita, che cambiano la teoria delle relazioni e rispondono alle domande degli adulti con la forza del loro imprevedibile sentire.

  1. Avatar Beatrice Trenti
    Beatrice Trenti

    Con la descrizione del come la ‘nonna è stata portata via’, mi sono venuti brividi di consapevolezza, perché si pensa istintivamente ai bambini dei condomini bombardati in Ukraina, non certo come ai bambini russi, che, eppure, come qui è riportato, vivono qualcosa che annulla le distanze tra loro e il tempo delle deportazioni degli ebrei, il tempo delle repressioni staliniste, il tempo degli arresti senza ritorno in Argentina, Cile… Il danno della violenza è profondo. E non c’è pseudomotivazione buona o cattiva che valga a cicatrizzare.

  2. Avatar Chiara Pellegrini
    Chiara Pellegrini

    Grazie Nella per questa segnalazione!
    Approfondirò.
    Molto interessante tutto questo numero speciale. Ce n’è bisogno.
    Grazie quindi a tutt*!
    Un abbraccio grande.
    Chiara

  3. Avatar elisabetta chiacchella
    elisabetta chiacchella

    Sì, Nella, vengono i brividi. Grazie grazie

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