NINNANANNA TALAMIMAMMA

Kaba edizioni – piedimosca edizioni (2023)

L’ultimo libro della poetessa Anna Maria Farabbi contiene due opere. La prima ‒ ninnananna ‒ è di recente creazione; la seconda ‒ talamimamma ‒ è la riproposta di un testo pubblicato vari anni fa, ma che era scomparso dal mercato editoriale; come accade sempre più spesso oggi anche rispetto a testi validissimi, finiti nel dimenticatoio per lasciare spazio a novità editoriali non sempre eccelse. Entrambi i lavori sono stati scritti per i più giovani lettori, per quanto in tutti noi alberghi pur sempre il fanciullino pascoliano, il cui nutrimento è costituito essenzialmente dalla parola poetica.

L’autrice dedica ninnananna alla befana: figura mitologica ormai molto meno di moda che non in passato; forse perché appare in figura di vecchia ‒ mentre per il maschilismo imperante una donna ha da mostrarsi/mantenersi costantemente giovane ‒, quasi di strega a causa della scopa volante che cavalca  ‒ mentre Santa Claus è personaggio venerato appunto quasi come un santo e presente ovunque nelle vie e nei negozi durante il periodo natalizio; quando invece la befana risulta più appartata, schiva e modesta, anche nei doni: assai meno ricchi di quelli recati ai bimbi dal più celebre/celebrato Babbo natale.

Ma è la befana (scrive Farabbi nell’introduzione) che nella preistoria ‒ dunque prima della scrittura, ai tempi dell’oralità ‒ avrebbe creato le ninnenanne, insegnandole alle madri: “È lei che per prima gliele ha cantate, spiegando loro come usare la voce, la posizione del volto, le braccia per cullare e calmare il pianto dei piccoli”. Ogni ninnananna è dunque insieme testo, vocalità, gestualità e corretto modo di porsi nei confronti degli infanti. Infinite ‒ verrebbe da dire ‒ sono le ninnenanne, ma, per ovvie ragioni di misura, la nostra poetessa ne ha scelte/create appena ventiquattro: una per ogni ora della giornata; tuttavia credo che esse risultino bastanti per le orecchie e per gli occhi di grandi e piccini.

La prima poesia parla di un’uccellapoeta e del suo canto soprattutto “udibile dai sordi  amato dai ciechi”. Infatti, si/ci chiede provocatoria Farabbi: “chi? Chi ha orecchie profonde per sentirlo?”, rivolgendosi all’attenzione dei lettori, che hanno da essere/tornare come bambini se davvero intendono gustare questa ninnananna e le altre che seguono. Come ad esempio la luminosa terza, dove una lucciola, cantando a beneficio dei bimbi poveri: “sazia per qualche ora i crampi della fame / incolla con l’oro i cocci del loro cuore rotto / inventa tra le lacrime dentro i loro occhi chiusi / il caleidoscopio del sonno”.

Altrove l’auspicio è che la ninnananna, penetrata “nel silenzio duro di un ospedale” pediatrico, rivolgendosi ad un piccolo malato: “gli asciughi il sudore calmi il sangue lo accarezzi soffi / aria gentile / la quietezza della guarigione”. O, rivolta ai miseri, sia: “ninnananna a mantello per coprire il corpo / e la solitudine ghiaccia dei barboni / sdraiati sui cartoni come gusci scartati”. Non sempre però povertà significa/comporta necessariamente infelicità, se il non avere alcun possesso implica l’esser liberi di spirito e la gioia di poter dire: “son felice più del re perché non ho castello non invidio / non voglio muri non compro armi per difenderlo”.

Sono poesie, queste, tutte all’insegna d’una acutissima sensibilità empatica nei confronti altrui, nelle quali ogni autoreferenzialità egocentrata è assente e in cui l’autrice abdica nei confronti di ogni primato dell’io per rivolgersi umilmente al tu e al voi, privilegiando la dimensione plurale, giacché: “nel plurale nessuno è primo a nessuno  nessuno è ultimo”. Sono ninnananne davvero accoglienti e commoventi nel senso etimologico del termine: derivante dal latino cum+movere, ossia suscitare la commozione negli altri, abitare con gli altri un’emozione caritatevole. Sono canti lirici d’estrema finezza/scioltezza versificatrice che mai scivola nella ricerca della parola fine a se stessa o del bello stile seducente.

Comunque scrivere per ragazzi dei testi notevoli dal punto di vista letterario/espressivo, oggi come un tempo, non è mai stato facile. Se poi si tratta di poesia, la faccenda si fa ancora più ardua/delicata. Il rischio è sempre quello della banalizzazione o della semplificazione; che spesso poi finiscono per equivalersi, col risultato di offrire ai giovani o giovanissimi un prodotto convenzionale e scarsamente creativo. Mentre anche la seconda opera di Farabbi presente nel libro ‒ talamimamma (ovvero alla mia mamma, ed ogni madre è cantrice e talvolta inventrice di ninnenanne) si rivela una composizione di estrema qualità/puntualità, realizzata dalla poetessa giusto affinché pure i bambini possano accostarsi alla scrittura in versi, tanto negletta ai giorni nostri nel Belpaese, che nondimeno fu patria di Dante.

Si tratta di una silloge poetica costituita da trentasei testi − più uno senza titolo, che introduce la raccolta − suddivisi in moduli, ognuno comprendente una terna di composizioni, abbinati ai dodici mesi dell’anno. Molteplici sono le tematiche cui Anna Maria accenna in tale carrellata temporale: dalla ludicità alla sensibilità ecologica, dall’empatia alla denuncia contro ogni tipo di violenza, dall’apertura nei confronti dell’altro da sé all’amore per ogni forma vitale. Ma forse tema precipuo mi sembra sia un disporsi grato (e un fare in modo i giovani lettori si dispongano di buon grado) a un entusiastico stupore indotto da quel miracolo che è il mondo e l’esistenza che lo anima.

L’avvio della prima lirica è già una precisa dichiarazione d’intenti: “facciamo che io sono una palla / che odora di tutte le mani / che dall’inizio del mondo l’hanno giocata”. Si parte quindi dalla ri-creazione, dalla spontaneità ludica comune a tutti i bambini della Terra, per approdare alla presa d’atto che la gioia (e/o la forma) del libero svago non può essere mai tesaurizzabile/signoreggiabile, se non altro: “perché io sono il fuoco il giuoco / invisibile infinito sonoro / l’oro / della poesia bambina”.

Talvolta lo stupore di quell’eterno fanciullo che è il poeta si fa interrogazione/insinuazione a cui non ha senso tentare di fornire risposta meramente razionale; come quando − in gennaio − ci si potrebbe chiedere: “sono biglie di vetro / o palline di grandine / che battono rimbalzano danzano? // sono manciate di perle / gettate dall’aereo / o sono dadi rotondi / giocati dal cielo?”. Talora una ragnatela al sorger del sole appare: “il mistero di una mappa sensibile e carnivora”, e la domanda da porsi può divenire la seguente: essa “che cos’è / se non la terribile bellezza / dentro cui muore la mosca?”.

In certe strofe la poesia invita a trasgressioni buone, quando d’estate, mentre: “gli uccelli parlano ai cacciatori / narrando la bellezza del volo // io li ascolto / rubo i fucili e li sotterro”; o quando: “con uno stormo di pesci trovo il pescatore / e gli tolgo l’amo dall’acqua / e dal suo cuore”. Altrove si declina in consapevolezza dolente, rivelando come in Afghanistan gli scolaretti: “scrivono senza banco né penna / intingendo un’asticella di bambù / in un barattolo di fango”. Mai rassegnati, però, i versi di talamimamma si fanno piuttosto progetto di accoglienza (“quando sarò grande giocherò con tutte le creature / che vengono dal mare con le barchette bucate / o camminando sulle acque // avrò un pane / e una ninna nanna dolcissima / che addormenterà il dolore”) oppure scelta di rinuncia generosa (“babbo natale non voglio regali / la mia sorellina lontana ha fame / vai laggiù da lei e portale la festa del mangiare”).

Ma il pregio maggiore di queste freschissime poesie bambine sta indubbiamente nella loro vivacità espressiva, nella loro smagliante bellezza metaforica, nel loro estremo nitore coniugato a un profondo e intenso afflato lirico nonché a un felice intento pedagogico. Anna Maria Farabbi riesce persino a far partecipi i suoi piccoli lettori della meraviglia – celebrata da Rilke nelle Elegie duinesi che, a causa della complessità stilistico-tematica, solo un pubblico maturo può gustare – per una “bellezza che cade”; quando tutti noi, adulti o meno, normalmente: “pensiamo a una felicità in ascesa”, per dirla con un celebre verso della Decima Elegia rilkiana.

Concluderò dunque citando quella che è, a mio avviso, una delle più riuscite composizioni di talamimamma, ispirata all’autunno e alla gioia che è possibile trovare addirittura nel venir meno e nel declino. Siamo nel mese di ottobre, gli alberi si spogliano, ma ciò non deve intristirci, semmai bisogna fare attenzione a: “un piccolo silenzio tra una foglia che cade / e un’altra / ognuna è un piccolo colore che si sfa per terra / anche il silenzio ha il suo // e io raccolgo / tutta la luce di questa bellezza / con le mie mani”.

Un libro, insomma, da leggere e regalare senz’altro.

     Anna Maria Farabbi, ninnananna talamimamma, Kaba edizioni – piedimosca edizioni, 2023, pp 127, euro 16,00

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