
L’incontro Editoria indipendente: cultura e formazione, organizzato da Adei al Salone del libro di Torino, è la continuazione di un importante lavoro che vede l’Associazione degli editori indipendenti impegnata a costruire connessioni e tavoli di discussione con chi scrive, studia e veicola contenuti all’interno del mondo della scuola, delle famiglie, della comunità.
La scelta delle relatrici in questa sede ha voluto dare, da una parte, un paesaggio di memoria sulle criticità di allora e di oggi, specificando poi certe concrete esperienze all’interno della scuola.
Il percorso di approfondimento e di offerta di punti di vista diversificati è in divenire.
Raffaella Polverini (Editora e socia Adei)
In un tempio laico di cultura come questo, tra un brulichio di libri, menti, pensatori pensatrici, persone a filare arte bellezza scambi internazionali, mi permetto di condensare qualche secondo del mio fiato unito al vostro per Gaza. Non c’è separazione da quell’orrore. Siamo chiamati alla responsabilità.
Propongo questa striscia di silenzio sanguinante per Gaza.
Il lampo che ha squarciato, svelato luminosamente, interrogato, il paesaggio editoriale italiano è stato scagliato da Roberto Roversi alla fine degli anni sessanta. Bologna: 1923 – 2012. Scrittore, poeta, paroliere, giornalista, e libraio, in gioventù partigiano. Dal 1948 al 2006 gestì la Libreria Antiquaria Palmaverde di Bologna. Ha fondato e diretto le riviste Officina e, successivamente, Rendiconti, affiancato da Leonetti e Pasolini.
Non ho aperto la mia relazione con un’acrobatica metafora d’effetto. Roversi effettivamente generò una luce potente, in grado di qualificare e identificare più che due distinte dimensioni editoriali, la grande editoria e la media piccola editoria, due dimensioni culturali, due visioni di politica culturale.
Già ampiamente noto come poeta e paroliere, coltissimo e competente anche per la sua professionalità di libraio, Roversi nettamente uscì da ogni legame con il mercato della grande editoria. Rifiutò qualsiasi contratto con i grandi editori, motivandone pubblicamente le ragioni. Scelse la piccola editoria, minime riviste autogestite, fogli fotocopiati. Scelta da cui ne conseguono costi personali altissimi, imperdonabili direbbe Cristina Campo, li possiamo immaginare, costi determinanti per il proprio posizionamento nel ranking della visibilità e della quotazione letteraria, per i ponti della traduzione all’estero, per tutti quegli obiettivi quotidianamente rincorsi, inseguiti, anche famelicamente, dalla maggior parte degli autori e delle autrici, di allora come di oggi. Un gesto unico, irripetuto, radicale, nel panorama letterario del nostro paese, nel significato politico di scegliere un’altra via a cui consegnare la propria opera, contro aziende dal consumistico marketing, dentro cui la spettacolarizzazione della copertina, e di una linea scrittoria omologata al canone, adeguata e adeguante a conformare e a confermare il pubblico. Un certo pubblico. Il pubblico interpretato come un bacino quantitativo di acquirenti. Qui si tratta non di una facile generalizzazione ma di una centratura di dominanti.
L’altra via significata e praticata da Roversi è stata quella, e permane percorribile, auspicabile, concreta ancora oggi pur nelle sue infinite difficoltà, la via di vivere e contribuire, come editore e autore autrice, a un’offerta culturale di ricerca semantica e stilistica (due volti della stessa figura), di relazione umana, etica e professionale (tre volti della stessa figura), di intenzione e tensione verso una crescita di consapevolezza formativa, espressiva, comunicativa propria del filo plurale che cuce congiuntivamente scrittura e lettura. Scrittori scrittrici e lettori lettrici sotto il mantello dell’editoria.
In sintesi: o l’opera viene concepita di fatto come oggetto di commercio pari a qualunque altro prodotto, o le si attribuisce una funzione cardiaca all’interno della comunità. In ulteriore sintesi: alle coltivazioni intensive che agiscono su leve come fertilizzanti, pesticidi e macchinari, fondarsi invece su orti dentro cui un artigianato colto, sostituisca alla quantità, alla seduzione apparente del prodotto, la qualità e l’incontro corpo a corpo con il fruitore lettore lettrice.
L’accenno a Roberto Roversi è fondamentale per riaccendere quella luce, proprio oggi, qui al salone del libro, oggi in cui ciò che l’autore bolognese intuiva si è moltiplicato a dismisura, spesso generando febbri di produzione, pubblicazioni seriali, successi commerciali soffiati da efficaci mezzi pubblicitari e mediatici, devitalizzanti la ricerca, l’originalità, la qualità lavorata di un pensiero tenuto da parole esatte e orientanti tessute da artisti integri. Forse oggi, in cui tutto è estremamente complesso, forse nessuno è completamente indenne da tanto mortale inquinamento: grande editoria, piccola e media, e gli stessi autori e autrici. Soprattutto quando si registrano indici drammaticamente bassi di lettura e acquisto di libri. Dove gli editori barcollano per mantenersi in vita e gli autori le autrici non ricevono il minimo compenso per il proprio lavoro. Non siamo andati oltre alla denuncia di Giulio Verne.
La mia scelta politica di affiancare e collaborare con la piccola e media editoria fin dalla mia nascita pubblica a oggi è nella scia di Roversi.
Accenno essenzialmente, per ragioni di tempo, ad alcune riflessioni propositive in seguito alle mie esperienze e collaborazioni.
- Alla piccola e media editoria spetta una capacità creativa di risignificare le potenzialità del libro estendendone la fruizione oltre i lettori: ai non vedenti, alle persone con problemi di vista, alla prima fascia generazionale non verbalizzante. Praticando concretamente non solo una sensibilità sociale dichiarata in altri luoghi, ma concependo la scrittura dell’inchiostro complementare alla scrittura della voce, al lavoro nell’oralità. Indico quindi lettura ascolto come binomio agente nel libro. Formativo, pedagogico. Non solo. Penso a rifocalizzare l’ascolto come altra chiave di accesso all’opera, non solo la lettura. lavorare e offrire l’acustica della parola, il suo ritmo orchestrato, attraverso la grana della voce degli stessi autori autrici o di chi altro. Immaginiamoci i libri di Camilleri letti dalla sua voce, ogni libro di poesia anche in dialetto, così il teatro. Parlo del Qr non dell’audiolibro. O del poadcoast. Non di due tre prodotti ma di un’unica esistenza che compie l’opera. Che la multiforma, la umanizza. La vocalizza. La rende alle orecchie quanto agli occhi.
- Alla piccola e media editoria spetta di credere nell’originalità di ricerca che rompa abituati approcci linguistici, letterari. tematici. Questo esige cultura e intuizione, uscita dai soliti nomi, esplorazione e individuazione di altre prospettive artistiche creanti e creabili.
- Spetta a lei rimettere in discussione le presentazioni frontali tra autore autrice e pubblico, sempre meno partecipate a meno che ci sia un personaggio popolarmente riconosciuto. Le spetta di lavorare con l’autore e l’autrice in una condivisione prospettica dell’opera, creando altri luoghi e altre impostazioni, altre piazze di relazione con chi legge, raggiungere i non lettori e coinvolgerli.
Concependo, quindi, il libro come opera organica, vivente, oltre che una somma vendibile di inchiostro più carta.
- Le spetta proporre a radio tre, alla rai, parlo del veicolo culturale più qualificato, frequentato, autorevole, progetti. Anche a altri media. Per avere, cioè, una via dedicata a esperienze in corso o imminenti particolarmente rilevanti, e utili.
- Spetta alla piccola e media editoria una creatività cooperativa per mettere insieme orizzonti, dividendo costi e valori, moltiplicando forze. Significa oltrepassare dinamiche di concorrenzialità, e esclusività, ma concepire un sovraordine. Non penso solo a coedizioni ma di più a lavorare ognuna di queste proposte insieme. Un ‘associazione impegnata a progetti culturali condivisi, e pubblicamente esplicitati.
- Spetta alla piccola e media editoria offrire prospettive, seminari di approfondimento, collaborazioni continuative, convenzioni, con i luoghi del pubblico, ripeto con i luoghi del pubblico: parlo di biblioteche, centri per anziani, scuole, università, amministrazioni, ospedali, carceri, anche qui con una creatività fiorente soprattutto per la e nella connessione con i propri autori e le proprie autrici.
- Spetta a lei la vivificazione di piazze virtuali, che abbiamo sì imparato in tempo di covid ma non ancora usato nella giusta potenzialità, quell’on line dentro cui lavorare la parola tra autori e autrici in compresenza di chi legge e, soprattutto, di chi non legge. Cioè creare coinvolgimento tra non lettori.
- Spetta a lei offrire alternativa ai soliti corsi di scrittura creativa con oasi di creazione con cui accedere a una formazione permanente nella crescita individuale e plurale nel corpo della lingua, e della propria interiorità. Dentro la conoscenza dell’esistenziale, del sociale, nel labirinto divenente del pensiero. Anche attraverso opere di riferimento.
- Spetta alla piccola e media editoria creare occasioni di incontro trasversale generazionale, fili tematici e riflessivi interreligiosi interculturali inclusivi che accedano nel colloquio tra bambini, ragazzi genitori, nonni. Nel sistema concentrico: individuo, famiglia, scuola, azienda lavoro, comunità.
- Spetta a lei entrare nella scuola, fisicamente con gli autori le autrici, captando e sintonizzandosi con l’anamorfismo linguistico che vertiginosamente non solo confonde ma svuota spesso la comunicazione. Mettendo a fuoco l’empatia, il coinvolgimento, i cardini della comunità umana e non solo attraverso l’arte. L’arte della relazione nella lingua.
- Spetta a lei organizzare cuori di pensiero e confronto come questo magari articolato con maggior tempo tale da permettere approfondimenti, esempi, fattibilità possibili e verificabili proprio per tendere a un’unione di forze, per un plurale sempre più consapevole e aggregato nel fronteggiare l’oceano del mercato, dentro cui galleggiano e navigano granitici giganti editoriali.
Si tratta di concepire una direzione culturale dell’associazione che lavori nel portare alcuni progetti condivisi e renderli all’opinione pubblica per tracciare davvero un’identità gruppale pur nelle differenze di ciascuna casa editrice. Progetti nazionale e internazionali che, nella loro forte e mirata tensione culturale, sfocino anche nella vendita del libro. Anche nella diffusione mediatica.
Non si tratta di replicare quindi il gesto di Davide contro Golia. Non c’è scontro con la grande editoria, con il mercato globalizzante. La grande editoria ha le sue problematiche, le sue trame svenate se pensiamo alle figure originali genitoriali rabdomantiche come Calvino, Pavese, Ginzburg, Mila, Pintor, Vittorini, Bobbio e confrontiamo i risultati rivoluzionari di allora, a quelli di oggi. Penso alla poesia alla collanina bianca Einaudi tanto per non lesinare la mia pronuncia.
C’è un altro mondo creativamente viaggiabile. Un impensato da lavorare in grado di affrontare la desertificazione morale, umana, professionale, con energie e visioni ancora non ampiamente vissute o del tutto portate a compimento.
Quello che ho proposto, in sintesi e in riduzione, è ciò che sto lavorando da anni, in parte solo con impegno personale, in parte con esperienze condivise con vari editori, tra cui qui nomino Raffaella Polverini che ringrazio. Sono proposte che chiamano concretezza ma anche impegno continuativo e tenace, dedizione sofferta ma anche goduta, uso del lavoro come mezzo per stare al mondo responsabilmente, oltre che commercialmente, prossimi a ciò che vogliamo nel mondo: etica, qualità, crescita, inclusività, cooperazione e costruzione di pace. Pace non come sentimentalistica utopistica bandierina da sventolare. Pace in accezione capitiniana: essere costruttori e costruttrici di pace. Costruire vie altre, non semplificative, non globalizzate né globalizzanti, non nel dominio massificante del denaro, di quel soldino in più, ma per la complessità della qualità artigianale interiore e plurale.
I piccoli hanno in mano la fiaccola del futuro. Vale anche per editori.
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